dopo aver deciso di credere alla versione di Britney, secondo la quale non sarebbe stata lei a spingere suo cugino tra le mie braccia, imbastire un discorso per declinare gentilmente quell’invito inaspettato — per giunta così: su due piedi — è stato più difficile del previsto.
Cosa avrei dovuto dire? Ti ringrazio ma non sei il mio tipo? Non posso accettare perché non voglio illuderti?
Quando si rischia di ferire la sensibilità altrui, non si può essere sinceri.
E seppure abbia considerato l’ipotesi delle intolleranze alimentari più comuni: glutine, lattosio e nichel — che non ho — e che ho poi scartato considerando che avrebbe potuto rilanciare con una serata al cinema, ho preferito fare leva sulla reale precarietà della mia situazione affettiva: di fatto, non posso ancora definirmi ufficialmente single.
Gli ho detto che se non fossi stata impegnata, avrei accettato con piacere, lui ha incassato con un sorriso, ha promesso di tenere Django a digiuno, di sostituire l’acqua con la fisiologia e, prima di uscire dall’ambulatorio, ha aggiunto che il mio ragazzo è fortunato.
Avrei voluto rispondergli che Luca la pensa diversamente o non sarebbe fuggito per tornare a Milano.
È già passata una settimana e la situazione affettiva di cui sopra non ha visto sviluppi: lui non si è fatto sentire, io nemmeno. E sono sollevata al pensiero che Cassandra non ne sappia nulla o interpreterebbe il mio modus come una volgare ripicca, quando invece è solo una forma di difesa nei confronti del terrore di poter essere respinta.
Una volta qualcuno ha scritto che l’amore è un gioco pericoloso, sottoscrivo in pieno, nel mio caso, un gioco di società: L’allegro chirurgo. La partita è quasi giunta al termine, rimane solo un pezzo che aspetta di essere estratto, non a caso è il cuore infranto, vicino alle costole di ricambio — per cui mi pare di aver già dato — e non voglio essere io a sbagliare. Preferisco lasciare le pinzette sul tavolo e aspettare. Può sembrare una strategia, ma in amore non si fanno strategie, nessuno vince, nessuno perde, vorrei solo che ci fosse l’opportunità di fare squadra con Luca per far uscire quel cuore con successo, evitando di mandare all’aria l’intera partita a causa di un naso che si illumina, che per coerenza, assomiglia al mio: mi sono pure beccata il raffreddore.
Potrei usarlo come scusa e sabotare il mio sabato sera, ma Cristina mi ha ricordato che ultimamente sono stata solo casa e clinica, e mi ha imposto di abbandonare la “cuccia” — così ha definito il mio appartamento — e di uscire a frequentare un po’ di mondo, sostiene che questo mi farà stare meglio. Sarà, ma io preferirei un Tachifludec e una coperta. E lì, mentre guardo il divano sospirando, l’immagine della TV accesa su Fox Crime e della famigliola canina che dorme beata accanto a me, distrugge definitivamente la voglia e l’energia di salire di sopra a prepararmi che già vacillavano. Mi chino verso i cuccioli, li accarezzo e i loro sbadigli confermano che il sabotaggio della mia serata è una buonissima idea. Ho deciso: chiamo Cristina e le dico che ho la febbre a trentanove. Faccio per prendere il telefono quando suonano alla porta. Non aspetto nessuno, chi può essere? Se fosse lei con mezz’ora di anticipo? Lo specchio che ho di fronte dice chiaramente che non sono in gran forma: ho gli occhi lucidi, il naso arrossato, del trucco di stamattina è rimasto poco e niente, ma i capelli sono in ordine e anche la mise che indosso, nella sua estrema semplicità, è elegante e decorosa. Non mi crederà mai, non sembro affatto febbricitante.
D’istinto mi arruffo i capelli, strofino il mascara avanzato sulle ciglia per dare al mio sguardo un effetto panda e controllo di nuovo il mio aspetto: ora sì che ci siamo. Ma proprio mentre raggiungo l’ingresso, pronta ad afferrare la maniglia per aprire, mi sorge un dubbio: e se fosse lui?
Il campanello suona per la seconda volta, non c’è più tempo, devo scegliere se sistemarmi i capelli o eliminare l’effetto panda: scelgo i capelli, spalanco la porta e al di là del cancello, illuminato a mala pena da un lampione, scorgo una sagoma.
“Chi è?” chiedo con un colpo di tosse tattico.
“Sono io.”
Non è lei, non è lui, è Cassandra.
“Entra…” dico spingendo l’interruttore di apertura.
La aspetto sulla soglia, Max e Lolita che mi hanno appena raggiunto, sembrano felici di vederla almeno quanto me, lo capisco dalle folate di vento sui polpacci, provocate dall’agitarsi delle loro code.
“Non saltarle addosso.” raccomando a Max spettinandogli la frangia, ma è Lolita la prima a non curarsi dei miei avvertimenti: anticipa Cassandra sulle scale e le gira attorno in cerca di attenzioni.
“Ciao mammina.” esordisce accarezzandola.
A interrompere quel momento di intesa femminile è uno dei miei starnuti, Cassandra sposta gli occhi su di me e la sua rapida occhiata fa il punto della situazione: “Melissa hai un piede nella fossa o sbaglio?”
“Solo un po’ di raffreddore, vieni…” dico frenando Max per il collare mentre le faccio segno di accomodarsi.
“Che ti è successo?” insiste continuando a fissarmi. “Sicura di stare bene?”
Credo che brevetterò il mio contorno occhi effetto panda: tutte le donne, d’ora in poi, potranno boicottare una serata facendosi credere più malate di quanto siano in realtà.
“Sto bene, davvero…”
“Stai aspettando Luca?”
È da un po’ che lo aspetto.
“È fuori per lavoro.” rispondo prontamente.
“È andato a cercare altri cavalli?”
Milano è piena di cavalli.
“Per lui non sono mai abbastanza… ma tu, piuttosto, come ti senti?”
“Ieri sono stata dalla mia dottoressa per un controllo.” dice togliendosi un’adorabile pelliccia gialla, che giusto lei può permettersi di indossare, io sembrerei Pikachu.
“Cosa ti ha detto?”
“Va tutto bene e contrariamente a quanto ne sapessi, non è necessario aspettare dai tre ai sei mesi per tentare un nuovo concepimento.”
“È una splendida notizia!” esclamo con gioia mentre mi offro di prenderle la giacca.
“Secondo uno studio americano appena pubblicato su una rivista di settore…”
Esistono riviste tipo ‘Ostetricia e Ginecologia’? Forse, dopo ‘Cavalli e Segugi’ tutto è possibile.
“… se una coppia si sente emotivamente pronta, non esistono ragioni fisiologiche per aspettare, al contrario, chi desidera tentare nell’immediato pare che abbia maggiori probabilità di successo, rispetto a chi attende più a lungo.”
Non so dire quale parte del suo volto mi faccia intuire che la teoria sia chiara, ma la pratica non proprio. Seppure il suo tono sia molto convincente, lei sembra piuttosto titubante e non voglio fingere di non averlo notato.
“Eppure… qualcosa ti turba, non è così?”
“Hai indovinato.” mormora lasciandosi cadere sul divano.
La vocina che sento bisbigliare al mio orecchio, implorandomi di mantenere la calma, viene travolta dalla preoccupazione. Sarà meglio sedersi.
“Dimmi tutto.” dico in tono premuroso.
“Non so se sono pronta a rimpiazzare così alla svelta quella piccola vita che mi è stata tolta…”
“Io credo invece che quella piccola vita continuerà a vivere nei tuoi pensieri per sempre.” la interrompo prendendole le mani. “E sono certa che sarebbe felice di vederti sorridere di nuovo.”
“E se invece non meritassi di essere mamma?”
“Hai commesso dei crimini di cui non sono a conoscenza?” chiedo cercando di sdrammatizzare.
“Noooo…”
“Quindi? Come puoi dire una cosa simile?”
Le lacrime che tenta di frenare le stanno letteralmente annaffiando le guance. Faccio leva sulle gambe e con un balzo sollevo il sedere dal divano per avvicinarmi un po’ di più, stendo la gamba sinistra, infilo la mano nella tasca dei jeans ed estraggo prontamente un pacchetto di fazzoletti che si trova lì proprio grazie al raffreddore.
“Non piangere…” dico offrendoglielo.
Ma Cassandra preferisce asciugarsi sul mio pullover azzurro, la stringo a me, cerco di calmarla e quando il pianto si placa, mi accorgo che anche i suoi occhi sfoggiano un delizioso effetto panda.
“C’è una cosa che devo dirti…” mormora soffiandosi il naso nel fazzoletto che alla fine ha deciso di accettare.
“Forza, cosa avresti fatto di tanto terribile?” chiedo mantenendo un umorismo quasi indispensabile.
“Sono seria.” ribatte con rimprovero.
“Okay, scusa, ti ascolto.”
“Un’ora fa mi ha chiamato Mila.”
Sedersi è stato saggio: mi sento mancare.
“Ah sì?”
Quei due monosillabi pronunciati con finta nonchalance se la stanno facendo sotto.
“Pensa che ha dovuto chiedere il mio numero a Enrica, quello che gli avevi dato tu era inesistente…”
“Com’è possibile?” chiedo fingendomi sorpresa. “Avrà sbagliato a scriverlo.”
“Be’ comunque, il punto è un altro: mi ha chiamata per avvisarmi che il redazionale uscirà giovedì prossimo.”
Non lo dice con aria felice: c’era da aspettarselo.
“Lo sapevi, vero?”
La stessa vocina di poco fa torna a farsi sentire e stavolta mi implora di non bluffare, di essere sincera.
“Sì, ma non ho trovato il coraggio di dirtelo.” mormoro abbassando lo sguardo.
“Perché?”
“Perché non sapevo come avresti reagito, ero certa che ne avresti sofferto e per impedirlo avrei fatto sparire tutte le copie nel raggio di venti chilometri. E sai cosa penso?”
La domanda è posta solo per condire il resto del discorso alla Perry Mason che, seppure improvvisato, avrà un impatto notevole.
“Penso che se ritenessi opportuno bloccare l’uscita di quel redazionale, io ti appoggerei, potremmo trascinare Mila in tribunale, farle causa e vincerla. La legge sulla privacy parla chiaro e…”
“Melissa, ferma il cervello!” mi interrompe bruscamente. “Sapeva della mia perdita e si è offerta di modificare l’impaginazione.”
Questo sì che è notevole.
“E io le ho chiesto di non farlo.”
La sua frase mi spiazza, ma piacevolmente: il suo sguardo ha ripreso a sorridere.
“È questo che volevo dirti: se in un primo momento ero tentata di accettare la sua offerta, poi, ci ho ripensato, anzi, lei ha insistito perché ci ripensassi e aveva ragione. Quella foto ha immortalato un momento indimenticabile in cui avevo ancora la mia bambina ed è un bellissimo ricordo, non voglio privarmene.” conclude commossa.
Io lo sono forse più di lei: ora è Cassandra a passarmi l’ultimo fazzoletto rimasto nel pacchetto.
“Non potevi darmi una notizia più bella: ero lì quel giorno, ti ho vista camminare sulle nuvole, eri meravigliosa e sì, avrei saccheggiato ogni edicola del paese, se fosse stato necessario, ma avrei tenuto una copia per me, sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui avresti guardato ciò che poteva farti soffrire con occhi diversi. Quegli occhi li vedo oggi e ora, sembra anche a me di camminare sulle nuvole… grazie!”
Il forte abbraccio che ci scambiamo riesce a farmi dimenticare il raffreddore: mi sento meglio. Anzi no! In teoria ho la febbre altissima, devo chiamare Cristina e dirle di non passare. Ma prima che possa alzarmi e prendere il telefono che ho lasciato sulla mensola dell’ingresso, Cassandra mi trattiene.
“Mila mi ha detto anche di Luca.”
Perché nelle mie storie non c’è mai il classico lieto fine? Perché?
“Cosa ti ha detto… di preciso?” chiedo con voce tremula.
“Sai di cosa parlo.”
Sto iniziando a sudare freddo.
“Be’ vedi…”
“Non volevi che lo sapessi?”
Britney doveva già essere qui: dove diavolo è finita?
“Avrei preferito evitare… ho le mie buone ragioni.”
“E invece ho apprezzato moltissimo la sincerità di Mila: mi ha confessato di aver avuto qualche ripensamento sul redazionale e che tu e Luca avete insistito per farle cambiare idea, sono io che devo ringraziarvi.”
Sarei quasi propensa a vuotare il sacco pure io, non avrò mai un’occasione migliore di questa, ma il campanello suona e visto il lieto fine inaspettato, mi è venuta voglia di uscire a festeggiare: sarà per la prossima.
SETTANTESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Teranova