ono una fan del concetto di squadra.
Sono il D’Artagnan di famiglia.
“Tutti per uno, uno per tutti!”
Lo dico sempre alle bimbe: collaborare rende tutto più semplice, ma nove volte su dieci, chi collabora siamo solo io e Giaco — e qualche volta, canna anche lui.
Ma per quanto i miei super poteri mi galvanizzino, visto che solo io mi accorgo delle briciole sul pavimento, dei piatti sporchi nel lavandino e della cacca di Sissi nella lettiera, penso sia giunto il momento che anche le bimbe si rendano utili e pronte a battersi per la causa.
L’unione fa la forza.
Sto scendendo le scale per andare da loro e gradino dopo gradino, penso a come formulare la mia richiesta. Mi serve un escamotage per chiarire loro questo concetto e se allo stesso tempo possono aiutarmi, perché non approfittarne. Nessuno mi denuncerebbe mai per sfruttamento di minori.
Arrivo in soggiorno e chiamo i loro nomi ad alta voce.
“Ragazze… Ragazze…”
Al quinto ragazze, mi faccio la domanda che tutti i genitori si fanno in questi momenti: perché quando chiami i figli, questi non rispondono mai? Stempero la frustrazione raccogliendo calzini abbandonati sul pavimento, bottiglie d’acqua che giacciono mezze vuote sul divano e poi ancora: “Ragazze!”
La mia voce viene fuori così furiosamente isterica da ricordarmi quella del pazzo di Seven quando al comando di polizia grida ‘DETECTIVE’ all’agente Mills. Ma ancora niente. Ricaccio i calzini sul pavimento, le bottiglie sul divano e butto giù la porta della zona notte con un calcio — questo purtroppo solo nei miei sogni — la camera di Carola è a destra, quella di Emma a sinistra: ora dovrebbero sentirmi.
“Ragazze…”
Le porte delle due stanze si aprono quasi in contemporanea.
“Sì mamma.” dicono all’unisono.
“Seguitemi, mi serve una mano.”
“Io devo studiare!” dice Carola.
Emma la fulmina con lo sguardo.
“Mamma, vai a vedere la sua camera, ci saranno cento Barbie sul quel pavimento! Io stavo studiando non lei.”
“Benissimo. Allora facciamo così: qualsiasi cosa stiate facendo, interrompetela immediatamente.
Ho detto che mi serve una mano.”
Le mie piccole donne mi raggiungono in cucina, chiedo loro di sedersi e di prendere appunti sui fogli che hanno di fronte accanto alle penne.
“Dunque ragazze, in questo periodo sono incasinata con il lavoro, sto finendo di revisionare il libro e sulla pagina non riesco a pubblicare come prima. Perciò è necessario che liberiate le vostre menti e che scriviate un articolo dedicato alla mamma.”
“Perché?” chiede Emma.
“Perché sono una madre egocentrica. Forza coraggio, prendete appunti.”
Seppure non sprizzino gioia da tutti i pori, le bimbe iniziano a scrivere.
“Non voglio una cosa smielata, vorrei che mi descriveste con pregi e difetti che mi distinguono. Gli episodi in cui vorreste uccidermi e quelli in cui divento provvidenziale: una cosa semplice, con il cuore.” dico in tono incoraggiante.
“Quanto tempo abbiamo?”
Perché è sempre e solo Emma a farmi domande?
“Adesso. Vi lascio un ‘oretta.”
“Per fare cosa?” interviene Carola con la faccia di chi sembra appena stato sulla luna.
“Come che cosa? “ le chiedo avvilita.
“Eh Carola? Di cosa abbiamo parlato fino a ora?” chiede Emma divertita.
“Ripetilo tu.” le dico. “E tu Carola stavolta ascolta.”
“Allora, la mamma vuole che scriviamo qualcosa su di lei. In pratica vuole una storia in cui raccontiamo come la vediamo tutti i giorni, con i suoi pregi e i suoi difetti, capito?”
“Capito.”
“Ma siccome in casa l’artista sei tu: io butto giù uno schema per descriverla e tu ci ricami sopra la storia, okay?”
“Va bene dai… L’unione fa la forza.”
E lì, anche se so benissimo che la collaborazione è a spot e che non arriverà all’ora di cena, riesco comunque a commuovermi.
Ma per scrivere qualcosa che mi riguardi, senza causare ripercussioni negative sul rapporto madre-figlie, su cui lavoriamo da anni, serve più di un’ora: le bimbe mi chiedono di concedere loro una piccola dilazione.
Dilazione accordata.
“Tre giorni: il seguito della storia deve uscire venerdì, mi raccomando.”
Emma e Carola annuiscono, sorridono.
È bello vedere nei loro occhi ciò che speravo: finalmente hanno capito che il loro contributo è indispensabile a concludere un progetto. Ma allo scadere del terzo giorno, credo di aver visto male: la consegna non è stata rispettata.
Scendo le scale, la scena si ripete.
Tiro il pupazzo a Boy per poi sgolarmi perché le mie figlie non rispondono. L’ugola fa a braccio di ferro con questi muri troppo spessi, ma al quarto ‘RAGAZZE’, pronunciato come il pazzo di Seven, mi arrendo e torno sullo stesso corridoio che si affaccia sulle porte delle loro camere e le incendio con la fiamma ossidrica. — Sempre e solo immaginazione purtroppo.
“Ragazze il tempo è scaduto.”
“È ora di cena?” chiede la Carola appena scesa dalla luna.
“No amore: stavo aspettando il vostro pezzo scritto.”
“Lo stiamo finendo.” dice Emma un po’ in imbarazzo.
“Non lo avete neanche cominciato, è vero?”
Prima guardo Emma, poi Carola. Mi piace la complicità che leggo nei loro sguardi, ma non se la usano per prendermi in giro.
“Bene: ringrazio per il vostro menefreghismo e cercherò di fare altrettanto quando sarete voi ad avere bisogno di aiuto.”
Giro i tacchi me ne vado, sento un brusio alle mie spalle mentre mi allontano e mi fermo in cucina, aspettando che succeda qualcosa. Dopo una mezz’ora, le bimbe tornano con l’ostaggio che riscatterà la mia fiducia.
“Tieni mamma…” mormora Carola porgendomi un foglio. “Ci abbiamo lavorato insieme, però lo ha scritto Emma.”
Cerco di leggere, ma è scritto così in piccolo che mi ci vorrebbe una lente d’ingrandimento.
“Emma… sai quando mi dici che le insegnanti ti sgridano perché scrivi in minuscolo… be’ hanno ragione.”
“Non è vero: si legge benissimo.”
“Carola…”
“Sì?”
“Prestami una lente d’ingrandimento per favore .”
Mi ritiro per deliberare — in bagno, come Fonzie — e inizio a leggere.
“La mamma ha tanti pregi ma anche alcuni difetti. Tra i pregi, pensiamo che sia creativa, disponibile, stilosa e molto positiva. Ci aiuta sempre quando abbiamo bisogno ed è un po’ la nostro autista: ci accompagna sempre dove vogliamo.”
Mi piace questo plurale maiestatis con cui rivendicano il testo che hanno scritto.
“Non se la prende mai per le critiche ricevute perché pensa che siano costruttive. Lei ha una grande forza di volontà e se si impegna in una cosa, riesce sempre a portarla termine.”
Che carine, penso, ma il mio momento di gloria si esaurisce l’istante successivo, nella riga sottostante.
“Tra i difetti, noi pensiamo che sia impaziente e che quando è arrabbiata non ci lascia mai finire di parlare.”
La pazienza scappa a tutti — come la pipì.
“Crediamo che sia una persona troppo esigente con se stessa e spesso si lamenta senza una ragione valida. La mamma è una persona anche molto divertente: sa fare benissimo le imitazioni, soprattutto sa parlare benissimo in dialetto meridionale.”
Ecco, queste sono le cose che le rendono davvero orgogliose della mamma. Vado avanti.
“Quando eravamo più piccole, prima di dormire ci raccontava le storie tratte da “Favole al telefono” di Gianni Rodari e la nostra preferita era la favola rivisitata di cappuccetto Rosso e lei era bravissima a fare le voci dei personaggi. Mia mamma per noi è un po’ come un’amica, con lei facciamo shopping e andiamo in palestra. Tra le sue doti maggiori però, non troviamo cucinare, non è una mansione che le interessa molto.”
Però la mia cheescake è imbattibile.
“Crediamo che la mamma abbia molto buon gusto ed è per questo che quando siamo in giro per negozi, lei sceglie sempre il capo più originale.”
Questa ha tutta l’aria della sviolinata che, di solito, precede la mazzata finale. E invece, mi sbaglio:
“La mamma crede molto in noi e ci sprona sempre a fare del nostro meglio, inoltre pensiamo che sia una persona molto dolce e comprensiva. Nonostante i suoi difetti, è una mamma fantastica perché è stata in grado di educare le sue bimbe (noi) insegnandoci quali sono le cose che contano davvero.”
Ho finito di scrivere l’articolo, la squadra ha portato a termine il progetto, ma ciò che più mi rallegra, oltre i retroscena divertenti che ricorderò di tutta questa storia, è il foglio che mi hanno consegnato con quella calligrafia piccolissima. Lo conservo nel cassetto del mio comodino e lo terrò molto caro, anche se non è proprio stata scritta di spontanea volontà, è pur sempre una letterina che hanno scritto per la mamma. Quando mi ricapita?