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13 Mag

A piccole dosi

enrica alessi not for fashion victim

enrica alessi not for fashion victim

 

 

S

i dice che uno sguardo sappia esprimere più di mille parole, ma il bacio è il modo tacito di dire tutto. E seppure la mia mente finga di concentrarsi sull’atto in sé, pensa ad altro, si fa domande.
Luca ha sofferto della morte del suo migliore amico in silenzio e non mi sono accorta di nulla. Sono stata io a essermi distratta o è stato lui a nascondermelo con troppa discrezione?
Il bacio si interrompe con la consapevolezza che la questione non è destinata a concludersi qui. Abbiamo solo bisogno di metterla da parte per un po’, di metabolizzarla.
Ci rimettiamo in viaggio e confido sul fatto che non torneremo a quello stupido gioco del ‘quid pro quo’ — il segreto dell’incendio che appiccammo in campeggio nella calda estate del 2006, rimarrà tale.
Mi stringe la mano mentre tiene l’altra salda sul volante, si volta e i suoi occhi incrociano i miei: dicono che ha bisogno di me e io sono qui, non vorrei essere altrove. Anzi, a pensarci bene, se fino a ora non ho avuto pretese riguardo alla destinazione, adesso credo che un po’ di relax mi aiuterebbe. E mentre immagino di raggiungere una splendida SPA con fonti termali e piscine riscaldate, il mio telefono suona. È un numero che non conosco e ho un brutto presentimento.
“Rispondi pure…”
“No… non preoccuparti, non è nulla di importante.”
Caccio il cellulare nella borsa, la butto sui sedili posteriori e con una risatina nervosa, cerco di intavolare un discorso.
“Parlami del pranzo con tua madre…”
“Ci siamo visti da Cova, uno dei suoi posti preferiti. Si è stupita che mi avessi parlato di Cassandra.”
È evidente che chi nasce squalo abbia difficoltà a capire il gioco di squadra delle sardine. Lei minaccia di dare buca alla mia migliore amica e io non dovrei chiedere al mio ragazzo — che guarda caso è anche suo figlio — di intervenire per aiutarmi?
“In che senso stupita?”
“Ha apprezzato la vostra complicità.”
“Lei non ha amiche?”
L’affermazione che sarebbe voluta uscire dalla mia bocca come tale, ha modificato il tono sul finale, trasformandosi in una domanda innocente.
“Assistenti, redattrici, personaggi della moda e dello spettacolo: sono questi i soggetti femminili che ho visto girarle attorno in questi anni, ma non ricordo un momento intimo con nessuna di loro, né che me ne abbia parlato.”
Lo sapevo.
“E si è lasciata convincere subito?” chiedo un po’ scettica.
“Non proprio.”
La direttrice è fin troppo prevedibile.
Cerco di immaginare la lunga ed estenuante trattativa tra madre e figlio. Arrivo persino a costruire mentalmente la scena che vede Luca dare un pugno sul tavolo per far sentire le nostre ragioni, ma prima che la cinepresa torni sullo sguardo della madre, sconcertato da tanta insolenza, il telefono riprende a suonare.
Rimpiango di aver buttato la borsa sui sedili posteriori, se a chiamarmi fosse il numero di prima, disattiverei la suoneria, ignorerei la chiamata e mi dedicherei al racconto che abbiamo appena interrotto, ma potrebbe essere chiunque: Cassandra, il dottore, la clinica.
Mi slaccio la cintura, mi arrampico sul sedile e recupero la borsa. Mi risiedo, estraggo il cellulare che non ha smesso di squillare ed è ancora quel numero sconosciuto.
“Chi è?” chiede Luca curioso.
Perché ho l’assoluta certezza che sia Thor a chiamare? Potrebbe avere novità in merito alle cicogne e Luca mi sta guardando con un’espressione traducibile in ‘mi stai nascondendo qualcosa?’
Devo rispondere.
Con sollievo scopro che è mia madre.
“Mamma! Con che numero mi stai chiamando?”
“Non chiedermelo!” esordisce con una punta di delusione. “Il contratto telefonico che avevo prima era una grossa fregatura. Se ne è accorto tuo padre e abbiamo contestato una decina di bollette. Vuoi che ti legga la più folle?”
Non è una domanda, è una minaccia.
Mi sembra quasi di vederla mentre si infila gli occhiali con la pila di fogli davanti al naso. Ma prima che possa spiegarmi tutta la trafila e giungere alla conclusione che già conosco, la blocco anticipandola.
“Insomma… hai cambiato compagnia?”
“Certo! I soldi non entrano dalla finestra.”
Il malcontento dei consumatori espresso in modo semplice ed efficace.
“E comunque, ti ho chiamato per dirti una cosa.”
Il sollievo di poco fa si trasforma in ansia: quella che solo lei sa trasmettermi.
Possiede una capacità innata di creare suspense anche se si parla del servizio pulizia scale. Per arrivare a un dunque ci mette un secolo, a volte confonde il significato delle parole e se ne esce con certe frasi che sono diventate degli aforismi.
“Tesoro, allacciati la cintura!” raccomanda.
Luca, che sembra aver sentito la sua voce, trattiene una risata.
Il tintinnio della spia ha viaggiato nel tempo e nello spazio fino a raggiungere l’orecchio bionico di mia madre. La assecondo e riprendo a comunicare.
“Okay, ci sono. Cosa devi dirmi? Però ti chiedo di farmi un riassunto, sto andando a un appuntamento e sono in ritardo…”
annuncio strizzando l’occhio a Luca in cerca di complicità.
“Con chi?”
“Mamma!” dico con rimprovero.
“È arrivata una partecipazione per te.”
“Chi si sposa?”
“Ti ricordo che mi hai vietato di leggere la tua posta… quindi che faccio? La apro?” chiede in tono provocatorio.
“Certo.”
Resto appesa al telefono, aspettando i tempi tecnici che le serviranno per aprire la busta e scoprire di chi si tratta, ma a lei potrebbe servire più del previsto.
Guardo Luca cercando di nascondere l’imbarazzo con un sorriso, ma capisco dal suo sguardo che percepisce il mio disagio e pare pure esserne divertito.
Dopo trenta secondi di attesa mescolata a noia, la sua voce ritorna.
“Guarda…” mormora.
“Guarda cosa?”
“Guarda chi si sposa…”
Mi verrà un ictus.
“Si sposa Paola.”
La mia vecchia amica che non vedo da secoli. Sono felice per lei.
“Che bella notizia. Quando?”
“Alla fine di giugno. C’è scritto che sarebbe gradita una conferma.”
“Tieni la partecipazione bene in vista, non perderla.” mi raccomando. “Passerò a prenderla la prossima settimana.”
La saluto, riattacco, mi libero del telefono e cerco di riprendere le fila del discorso che abbiamo abbandonato, ma è Luca che inizia a parlare.
“Deve essere simpatica…”
Non credo stia parlando di sua madre.
“Sì… lo è. Ma è anche logorroica, a volte un po’ invadente, altre un tantino esplicita…”
“Sarei felice di conoscerla.” mi interrompe sorridendo.
Deve amarmi molto per desiderare una cosa simile.
“Allora, sarò felice di presentartela.”
E proprio mentre credo di aver archiviato una madre per passare all’altra, il telefono suona di nuovo. Ecchediamine.
Fingo di non starlo a sentire, ma Luca, che sembra gradire l’intrattenimento involontario provocato dalle mie chiamate in entrata, mi lancia uno sguardo d’intesa.
Guardo il numero sul display: non è agganciato a nessun contatto, ma potrebbe essere lo stesso con cui mi ha chiamato mia madre poco fa. Certa della mia intuizione, premo il tasto verde e rispondo.
“Sì.”
“Melissa?”
“Sì…”
“Sono Alessandro della Falegnameria.”
“Sì.”
Se uso un’altra volta lo stesso monosillabo, mi darò una bacchettata sulle mani.
Luca mi guarda incuriosito.
“Disturbo?” domanda Thor.
“No, dimmi pure.”
Sono solo tre parole, ma mantengo una certa compostezza: se Luca ha captato la voce di mia madre, anche questa non gli sfuggirà. Al suo posto vorrei sapere a chi appartiene la voce maschile che telefona alla sua ragazza di venerdì sera, e siccome si tratta dell’uomo a cui — di fatto — ho solo commissionato due cicogne di legno, devo mantenere un tono strettamente professionale.
“Che sorpresa l’altra sera!” esclama.
Come non detto. D’un tratto, rivedo il bacio appassionato tra lui e Britney: arrossisco. Ma quella frase mi offre l’opportunità di chiarire la sua identità all’istante, polverizzando altrettanto velocemente ogni possibile residuo di un senso di colpa quasi ingiustificato. Sciolta e disinvolta: non ho nulla da nascondere.
“Non sapevo che fossi il ragazzo di Cristina.”
“Il mondo è piccolo.”
Luca sembra rimanere in stato di allerta.
“Per un attimo ho temuto che rivelassi a Cassandra delle cicogne… non potevi sapere che fossero per lei.”
L’espressione del mio ragazzo inizia a seguire il piano: è più curiosa che allarmata.
“Lo avevo intuito.” ride. “Non ho detto nulla nemmeno a Cristina, ho rispettato il segreto professionale.”
Non ho il coraggio di voltarmi verso Luca per controllare la sua mimica facciale, ma sento i suoi occhi su di me e non so dire se le parole ‘segreto’ e ‘professionale’ possano aver creato equivoci.
“Non ho avuto molto tempo in questi giorni, ma era mia intenzione avvisarla, quindi se vuoi anticiparglielo tu, va benissimo. Anzi, mi aiuterà a seguire i lavori.” concludo accomodante.
Mi sono appena tirata la zappa sui piedi: ora Britney metterà bocca anche sulle cicogne, ma almeno ho escluso l’ipotesi di qualsiasi tipo di segreto.
Mi volto a cercare gli occhi di Luca che continuano a guardare la strada, ma vedo un sorriso sul suo volto, e pare che mi stia immaginando mentre mi prodigo a organizzare un party in grande stile, prendendomi molto sul serio.
“Okay, potrei mostrarle dove sono arrivato…” suggerisce.
“No!”
D’istinto alzo la voce. Me ne pento un attimo più tardi: Luca si è girato di scatto e dall’altra parte, mi pare di vedere Thor che allontana il telefono dall’orecchio per non assordarsi.
Non sapevo che si fosse messo al lavoro. Sono io che ho commissionato quelle cicogne e non sarà Britney a vedere la prima fase dell’opera.
“Volevo dire che ci ho ripensato. La conosco bene, è un po’ permalosa, potrebbe prendersela se non fossi io a dirglielo.
Quindi, lascia fare a me.”
“Come preferisci.”
“E a proposito, quando posso passare a dare loro un’occhiata?”
“Anche adesso se vuoi…”
“Meglio lunedì, ora sono fuori città.”
“Ti aspetto lunedì a quest’ora.”
Ripongo il cellulare nella borsa per l’ennesima volta, sperando anche che sia l’ultima e cerco di capire se possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato o se necessitano spiegazioni riguardo alla telefonata appena conclusa.
“Dimmi delle cicogne…” esordisce Luca.
“Ho chiesto a un falegname di intagliare due cicogne per la festa di Cassandra.”
“Sei il mio idolo.”
Lo dice con ironia, ma sembra davvero orgoglioso di me e del pensiero che ho avuto per la mia migliore amica. E poi è sereno, è chiaro che non abbia percepito l’infatuazione ormonale che mi ha colpito giorni fa: me ne rallegro.
“Vorrei organizzarle qualcosa di speciale… ho un po’ di idee in mente.”
“Non hai pensato di cercarle su Amazon?”
La sua domanda mi colpisce come un boomerang in pieno viso. Mi sta dicendo che avrei potuto trovarle già fatte? E magari a un prezzo più basso. Ma a questo punto per non sembrare la solita svampita, dirò che le cose fatte a mano possiedono anima e unicità, il ché ne giustifica il costo più elevato.
“Volevo che fossero artigianali.”
“Ah… Chapeau.”
Mi sembra di frizzare. E non solo per essermi tolta il pensiero di Thor e della sua telefonata, più probabilmente per l’insegna che i fari dell’auto stanno illuminando: siamo davanti al cancello di una splendida SPA.

La camera che ci hanno assegnato è la più bella che abbia mai visto. In bagno c’è una vasca idromassaggio circolare, in cui prevedo di buttarmi nei prossimi dieci minuti — dopo aver acceso il kit di candele profumate che ho portato da casa. Il letto è king size e sta di fronte a una grande vetrata che dà su un piccolo giardino vista lago. È uno spettacolo.
La brochure sulla scrivania mostra la disposizione della SPA: ci sono due vasche termali con zona relax, una piscina riscaldata in cui è possibile nuotare, una palestra e il beauty club che dispone di una lunga lista di massaggi. Ma continuo a pensare che quello che mi ci vorrebbe non è stato ancora inventato.
Il ‘resettante’: con la semplice imposizione delle mani, azzera tutte le cattive operazioni svolte fino a ora, consentendo a chi ne beneficia di ricominciare da zero.
Continuo a sentirmi in colpa nei confronti di Luca. Per non aver dato peso a quegli episodi in cui il suo sguardo mostrava una tristezza ingiustificata, avrei potuto fargli domande, o anche solo fargli sapere che non mi avevano lasciata indifferente, ma ho preferito tacere. Perché?
Luca mette fine al mio auto-flagello, chiamando il mio nome. Lo raggiungo in giardino.
Sarà il cielo limpido e pieno di stelle, lo specchio d’acqua che ho di fronte, i suoi baci sul collo, ma decido di chiedere espressamente al mio cervello di spegnersi, di non toccare quel tasto dolente ancora per un po’. Ho bisogno di rilassarmi, di lasciarmi andare, di farmi stringere dalle sue braccia.

Il raggio di sole che spunta tra le tende mi sveglia. Apro gli occhi: le travi mi disorientano. Ci metto qualche secondo per capire dove mi trovo, poi realizzo: sono in una bellissima SPA sul lago di Garda, in una camera che dispone di ogni tipo di comfort e al mio fianco, c’è l’uomo che amo. Mi sfugge un sorriso.
Mi volto verso Luca che sta ancora dormendo e mentre ripenso alla nostra serata romantica, d’un tratto, un alone di tristezza invade il mio pancreas. Lo stomaco si stringe.
Avevo espressamente chiesto al cervello di spegnersi, di lasciare stare quel tasto dolente, ma ora, fa di testa sua.
E come potrebbe essere altrimenti?
Il barlume della ragione si permette di ricordarmi che continuare a ignorare la mia sana curiosità sarebbe un grave errore. Se davvero credo di essere la donna che renderà Luca felice, devo sapere cosa ha scatenato le sue dipendenze. Non posso fingere che non siano esistite, che non ci riguardino più: ora fanno parte anche di me.
Mi rimetto a fissare le travi sbiancate e penso che forse dovremmo metterci a nudo tutti e due e mostrare ciò che siamo, ciò che siamo stati, senza temere di essere giudicati: è questo l’amore.
Anche io gli ho taciuto un trascorso del mio passato di cui non vado fiera. Anche io non ho trovato il coraggio di parlargliene. Non siamo poi così diversi.
Non sa nulla del mio disturbo e del difficile rapporto che ho avuto con l’autostima.
E seppure sia difficile da credere, la felicità è un concetto così soggettivo da rendere plausibile la sua ricerca in luoghi inaspettati, spesso dove risiede la stessa infelicità. So cosa significa cercare un posto in cui sentirsi accettati, ma piango a rivedermi in ginocchio sul pavimento del bagno, ai piedi di quel water — con le lacrime agli occhi, il mascara sciupato — nel tentativo di liberarmi della cena e di un peso opprimente.
A un tratto, mentre me ne sto lì, continuando a fissare le travi e convincendomi che la mia confessione è assolutamente necessaria per aiutare Luca ad aprirsi, sento i suoi occhi su di me. Mi volto a guardarlo, sorride, mi prende il viso tra le mani e dice: “sembri triste.”
E dire che sto anche sorridendo.
“Devo parlarti di una cosa.” mormoro.
“So cosa vuoi dirmi.”
Garantisco di no.
“Sento che sei preoccupata per me, hai paura che possa succedere di nuovo…”
“Ed è per questo che ho bisogno di conoscere la storia dall’inizio.” lo interrompo. “Ti amo e non voglio fingere che ciò che ha riguardato il tuo passato mi lasci indifferente. Ho avuto bisogno di metabolizzare la cosa, lo ammetto, ma ora sono pronta ad ascoltare il resto, anche a piccole dosi, se ritieni necessario, ma dimmi ciò che devo sapere.”
Sembra un’implorazione più che una richiesta, ma confesso che questa attesa ha messo i miei nervi a dura prova. Per dirla in breve, non vedo l’ora di arrivare a un dunque, mi sembra di essere dentro a una puntata di Beautiful.
“A piccole dosi.” ripete sorridendo. “Credo di aver pensato più o meno la stessa cosa.”
I cellulari sono spenti, non ci sarà nessuna telefonata disturbatrice. Il secondo viaggio sulla macchina del tempo, diretta al suo passato, sta per iniziare. Virtualmente allaccio la cintura.

 

QUARANTOTTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova