AA Falegname cercasi.
È curioso come i primi cinque minuti lavorativi non siano effettivamente lavorativi.Ma questa cosa delle cicogne deve essere risolta e siccome non c’è ancora nessun paziente, posso approfittarne.
Cerco su Google e il primo annuncio locale che trovo è La Falegnameria.
“Un laboratorio artigianale che opera con serietà e professionalità soprattutto nel campo dell’arredamento su misura. L’esperienza e la competenza artigianale uniti ad uno scrupoloso controllo del prodotto sono il punto di forza di questa azienda. Nel campo dell’abitazione privata siamo in grado di soddisfare tutte le esigenze, dalla progettazione alla realizzazione di armadi, scale, cucine, porte, librerie, soggiorni, pannelli scorrevoli e arredamento per negozi, tutto assolutamente su misura.”
Sembra una squadra di professionisti, intagliare due cicogne sarà un gioco da ragazzi. Ci passerò stasera, prima di andare a casa. E mentre segno l’indirizzo su un foglio, il mio cellulare squilla: è Cassandra.
“Buongiorno! Disturbo?” chiede con voce squillante.
“Quanta energia di prima mattina.”
“Sto ancora usufruendo della dose massiccia di endorfine prodotta durante la giornata da Grazia.” conferma soddisfatta. “Non ti ringrazierò mai abbastanza, sei un’amica fantastica.”
“Grazie.” dico divertita.
“Stavo andando al lavoro e mi sono accorta che hai dimenticato il libro di Enrica sui sedili posteriori.”
Eppure sono ancora viva.
“Ecco dov’era finito!” dico fingendomi sollevata.
“Vuoi che te lo porti adesso?”
Non è insulina.
“Sto andando al lavoro, mi fermo a darti un bacio.”
Se la mette in questo modo.
“Okay, ti aspetto.”
Ho appena chiuso il cellulare nel cassetto per concentrarmi sulle terapie, quando qualcuno bussa alla porta.
“Posso entrare?”
“Ciao Cristina.”
Le faccio segno di sedersi.
“Dobbiamo parlare.” sussurra. “Credo di
aver trovato una location.”
In un altro momento, avrei rimandato questo tipo di conversazione, ma sarà
meglio capire dove posizionare le cicogne.
“Mi amerai.” dice eccitata.
Forza, sentiamo.
“Hai detto che desideravi una cosa ristretta…”
“Sì, esatto.”
“Una cosa per pochi intimi…”
“Infatti…”
“Ho voluto accontentarti e ho pensato a una festa in limousine.”
Questa è scema.
“Dove le metto due cicogne su una Limousine?”
“Puoi farle fare su misura: due piccole cicogne e uno spogliarellista.”
È chiaro che siamo di fronte a un caso disperato. Forse fingerò di svenire per mettere fine a tutto questo.
“Uno spogliarellista?” chiedo basita.
“È compreso nel prezzo della Limousine.”
conferma soddisfatta. “Però possiamo scegliere tra questi cinque.”
Estrae dal taschino del suo camice un volantino piegato in due. Me lo porge dicendo: “solo questi cinque sanno esibirsi mentre l’auto è in movimento.”
Da come ne parla, sembra una specializzazione riconosciuta dall’albo degli spogliarellisti.
“Non sceglierò mai uno di questi!” dico indignata.
“Lo scelgo io, nessun problema. Ecco, guarda Tony: non è magnifico?”
Vorrei prendere il volantino e ridurlo in coriandoli: questo chiarirebbe all’istante che siamo decisamente fuori strada, ma il petto villoso che Britney continua a indicare con insistenza mi turba a tal punto da portarmi a immaginare una delle scene della festa in Limousine.
C’è una grossa palla stroboscopica sulle nostre teste, le luci cambiano colore: prima sono blu, poi diventano rosa, poi verdi. E seppure non abbia ancora inquadrato chi siano gli invitati, visto il numero ristretto di posti disponibili, so che Jerôme non mi ha abbandonato e mi siede accanto. La musica ha già invaso l’abitacolo e sulle note di The Rhythm of the Night, Tony si prepara a esibirsi con una canotta di rete e un paio di shorts in lattice. C’è chi lo incita, chi urla il suo nome, chi gli lancia petali di rosa, io, invece, non stacco gli occhi dalla bottiglia di champagne che mi si è improvvisamente materializzata davanti, quasi volesse suggerirmi di berla tutta d’un fiato e non pensarci più. Ma prima che la mia fantasticheria possa concludersi e degenerare in coma etilico, la voce di Cassandra mi riporta alla realtà.
“Ragazze ciao! Federica mi ha detto che eri libera.” esordisce entrando.
Spingo il volantino verso Britney, lei lo afferra velocemente, lo piega e lo fa sparire nella tasca del suo camice.
“Chi è Tony?” chiede con uno strano sorrisetto.
“È un vecchio compagno di università di Cristina.” rispondo prontamente.
“Posso vederlo?”
“No, è solo un articolo che gli ha dedicato L’Espresso per la sua missione in Africa.” aggiunge lei.
“Non c’è una sua foto?” insiste.
“No, ci sono solo gli elefanti: gli animali a cui ha deciso di dedicare la sua vita.” concludo io.
“So che nascondete qualcosa…”
Io e Britney ci diamo un’occhiata furtiva.
“Ecco il tuo libro.”
Il suo tono è quello di chi ha appena deciso di cambiare discorso per evitare di rovinare una sorpresa che già probabilmente immagina: questa sembra la vera cortesia. Mi porge il libro appoggiandolo sulla scrivania.
“Anche tu la leggi?” mi chiede Cristina sorpresa.
“No, lei non sapeva nemmeno chi fosse.” interviene Cassandra.
“Come puoi non conoscerla? Lei è eccezionale…”
“Oh, anche io la adoro. Melissa non ti ha raccontato che l’abbiamo conosciuta?”
“No… e quando?” chiede Britney delusa.
“Non le hai detto niente?” chiede Cassandra.
Vorrei precisare che sono una persona riservata, che non amo parlare della mia vita privata, che questo è un ambulatorio e che ho già esaurito i miei cinque minuti non effettivamente lavorativi, ma riesco solo a dire: “pensavo glielo dicessi tu…”
“Dirmi cosa?” insiste Cristina.
“Te lo racconto io: Luca, il fidanzato di Melissa, è il figlio della direttrice di Grazia…”
“Davvero?”
Gli occhi di Britney si spostano su di me, mi scrutano e sono quasi certa che si stia domandando come sia possibile, e seppure la cosa mi disturbi, credo che al suo posto farei lo stesso.
“Sì… e non è tutto, Mila mi ha chiesto di posare come mamma simbolo di un redazionale che uscirà il mese prossimo ed è lo stesso redazionale che includerà l’intervista di Enrica Alessi.”
Quanta gloria in così poche parole. Anche Britney è rimasta a bocca aperta.
“Se lo avessi saputo, sarei venuta con voi.”
Ci mancava solo la piccola fiammiferaia, non bastava mettere in piazza la mia vita privata, devo pure sentirmi in colpa per non averla invitata. Se poi aggiungo di essere la sola in questa stanza a non conoscere quella che viene descritta come la scrittrice dell’anno, mi sento pure peggio. E mentre fisso il libro che giace immobile sulla scrivania, Britney lo afferra e lo apre alla pagina della dedica. All’improvviso, ciò che ha sempre avuto le sembianze di un oggetto innocuo diventa una minaccia.
“Ti ha scritto una dedica…” dice commossa.
Se l’avessi letta, potrei sentirmi sulla sua stessa lunghezza d’onda, ma non ho idea di cosa ci sia in quelle righe.
Sorrido nervosamente, allungo la mano per riappropriarmi del libro, ma Cristina me lo sottrae.
“L’hai letta, vero?” mi chiede.
“Sì, ma solo di sfuggita.”
“Enrica scrive due righe solo per te e tu le leggi solo di sfuggita?”
Mi sta rimproverando come se stessimo parlando del terzo segreto di Fatima.
Ma mentre sto per puntualizzare che così non è, Cassandra mi precede.
“Ragazze, si è fatto tardi, devo andare.”
Riacchiappo il mio libro, lo chiudo nel cassetto, insieme al telefono, e mi alzo dalla sedia. Britney mi imita, saluta Cassandra e si dirige nel suo ambulatorio, io la accompagno all’uscita.
La vedo salire in auto, agito la mano un’ultima volta e torno dentro, quando Federica, la receptionist, chiede di passarmi una telefonata.
“Chi mi cerca?” dico afferrando il portatile che ho in tasca.
“Il Dottor Savastano.”
“Dottore buongiorno.”
“Buongiorno a lei Melissa, le sto portando Lolita per la visita di controllo…”
Non ricordavo che fosse questa mattina.
“Volevo solo avvisarla che siamo un po’ in ritardo.”
“Nessun problema.” lo rassicuro. “Sarò qui ad aspettarla.”
Lolita arriva cinque minuti più tardi.
“Ciao piccola.” dico abbassandomi verso di lei per accarezzarla.
Stringo la mano al dottore che la tiene al guinzaglio e gli chiedo di seguirmi nella sala ecografica.
Durante il tragitto, mi metto a elencare ciò che faremo in questa visita, mi piace tranquillizzare i pazienti, o almeno chi li accompagna, e il tono di voce gioca un ruolo fondamentale.
“Oggi valuteremo la quantità di liquido amniotico, la consistenza del tappo cervicale e la frequenza cardiaca dei feti. Sarà un semplice controllo di routine.”
“Nell’ultima settimana, ha mangiato meno del solito.” interviene il dottore.
“È normale, possiamo farle assaggiare qualcosa di diverso per stimolare l’appetito.” suggerisco prontamente.
Arriviamo davanti alla sala, apro lo porta e li invito a entrare. Prendo in braccio Lolita per metterla sul tavolo e la faccio sdraiare su un fianco. Mi siedo sullo sgabello che sta vicino all’apparecchio, mentre il dottore, in piedi vicino a lei, la accarezza.
“Stai tranquilla… andrà tutto bene.”
Gli sento dire dolcemente.
L’uomo che credevo fosse un mostro, è un padrone dolce e premuroso, e Lolita, che mi guarda con aria scettica, è la madre dei miei nipotini. Ho un groppo in gola: chi lo avrebbe detto che un’ecografia potesse emozionarmi fino a questo punto?
Faccio un bel respiro, afferro la sonda ecografica e la cospargo di gel: sono pronta a cominciare.
E mentre immagino i cuccioli correre liberi nel mio giardino, mi accorgo di una protuberanza all’interno della coscia.
Ho un sussulto, mi fermo, controllo di nuovo. Mi sforzo di sorridere, non voglio allarmare il dottore. Sto parlando con un medico, capirà ogni singola parola della diagnosi e non gli piacerà: non posso prevedere la sua reazione.
E se fosse colto da un infarto e io, che sono emotivamente coinvolta, non riuscissi a intervenire per rianimarlo?
Non posso prendermi una tale responsabilità. Mi serve aiuto: chiamo Ilenia, lei è la regina dell’ecografo.
“Può aspettarmi qui un momento? Avrei bisogno di un parere di una collega.”
Lo dico nel modo più soave possibile, ma lui non se la beve.
“Qualcosa non va?”
“No, no. È solo che parliamo di Lolita e sarei più tranquilla se la controllasse anche Ilenia. L’ecografia è il suo cavallo di battaglia.” dico strizzandogli l’occhio.
Lascio la sala, prendo il corridoio, Ilenia è proprio davanti a me. La vedo di spalle, sta dirigendosi verso le scale. La chiamo.
“Ile…” sussurro avvicinandomi.
“Ciao…”
“Puoi venire un momento?”
“Sì certo, che c’è?”
“Lolita, la fidanzata di Max, è qui per il controllo della gravidanza. Ho iniziato a visitarla e c’è un bozzo che non mi piace.”
“Cosa ti sembra?”
“Ernia all’utero: Il peso dell’utero pieno spinge lo stesso fuori dall’addome, nell’inguine. Seppure sia molto raro, le cause ormonali giustificherebbero la sua presenza: gli ormoni influiscono sulle caratteristiche del tessuto connettivo determinando una lassità maggiore dell’anello inguinale.”
“Potrebbe essere…” dice sospettosa, “fammi vedere.”
Ilenia si incammina, io la prendo per un braccio.
“Aspetta: il signore che sta con lei vive per lei. Se la mia diagnosi fosse corretta, potrebbe infartare, quindi cerca di dire le cose con delicatezza.”
“Certo, sai che lo faccio sempre…”
“Non è vero: una volta hai detto a una ragazza che il suo cane era…”
Ma prima che possa finire la frase, lei è già entrata per stringere la mano al dottore.
“Piacere, sono la dottoressa Gavioli, allora… vediamo come sta Lolita.”
Ilenia afferra il gel, cosparge la sonda e inizia a visitarla. Vedo le sue mani che passano più volte sulla zona che le ho indicato, poi si volta verso di me e quello sguardo dice che non mi sono sbagliata.
Rifletto: il dottore può comprendere i termini medici senza nessuna difficoltà e non gli ci vorrà molto per giungere alla conclusione che l’unico modo che abbiamo per salvare Lolita e i cuccioli è un intervento chirurgico urgente.
Ilenia prende in mano la cartella, si aggiusta gli occhiali e indica il nome che legge in alto.
“Signor Savastano. Ora controlleremo la frequenza cardiaca dei feti.”
“È una prassi o avete notato sofferenza fetale?”
Il dottore si gira verso di me, rivolge a me quella domanda: devo dirgli la verità.
“Dottore, crediamo possa essere ernia all’utero. Sappiamo entrambi che è raro, ma le cause ormonali lo giustificherebbero. L’unico modo che abbiamo per salvare Lolita è un intervento chirurgico.”
“Certo, certo.” mormora.
“Melissa, siamo a 180 battiti/minuto.”
È sofferenza fetale, dobbiamo intervenire.
“Chiama Giulio, digli di venire in sala operatoria.”
Il dottore mi guarda con l’espressione di chi ha appena realizzato che in un attimo, tutto può cambiare. È stranito, preoccupato, incapace di reagire.
“Le prometto che andrà tutto bene.”
dico scortandolo in sala d’aspetto.
Si siede su una delle poltrone, si sforza di sorridere, tenta malamente di nascondere dietro quelle grosse lenti, gli occhi lucidi che sono sul punto di piangere.
Gli accarezzo la spalla.
“È la mia piccola.” mormora.
“Lo so e io mi prenderò cura di lei. Si fidi di me.”
QUARANTUNESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova