visto che ultimamente mi sono sbattuta come il polpo di Dolce & Gabbana, oggi vado di Beautiful. Sigla. La nonna mi aveva cresciuto con ‘Anche i ricchi piangono’ – è roba pesante – e Mariana e Luis Antonio avevano spianato la strada ai veri protagonisti della mia adolescenza sentimentale. Beautiful arrivò nella nostra casa nella primavera del ‘90. Ero seduta sul divano con un panino alla mortadella, avevo quattordici anni e un disperato bisogno di un gruppo di influencers che mi aiutasse a costruire uno stile. Mia madre continuava a vestirsi come Sue Ellen, ma io desideravo qualcosa di diverso. E se a Dallas si combatteva per i pozzi di petrolio, in Beautiful ci si affrontava in passerella, a suon di sfilate. Sapevo di essere pronta per quella ventata fashion proveniente da Los Angeles. Ma era il concentrato di intrighi amorosi che mi avrebbe preparato alla vita vera. C’era un po’ di confusione generale, ma anche quello faceva parte del piano. Di chiaro c’era solo una cosa: che le mascelle di Ridge avrebbero fatto uscire pazze tutte le donne del pianeta. E Brooke, che stava sul set, non se lo sarebbe certo lasciato scappare, avrebbe combattuto tutta la vita con Stefanie, ma alla fine, si sarebbe sposata suo figlio e suo marito, e non una volta soltanto. Brooke era seducente, tenace: si sarebbe presa tutto, come in Gomorra. Era chiaro anche lì, che tira più un capello di Brooke che un carro di buoi, ma lei non era la sola a cedere facilmente al piacere della carne. In Beautiful fare un test del DNA era come prendere un’aspirina C. Non si capiva chi era di figlio di chi, e perché. Gli ospedali si divertivano a scambiare le provette e i colpi di scena erano fuochi d’artificio: incessanti, rumorosi, pronti a lasciare il segno. Immaginavo un otto pieno nel mio prossimo compito di scienze: dopo cento puntate di Beautiful, il desossiribonucleico me lo mangiavo a colazione con il latte e i cornflakes. E mentre il cucchiaio girava in senso orario nella tazza per mescolare la pozione, non potevo fare a meno di chiedermi: come può essere tutto così complicato? Incontrerò un ragazzo belloccio che mi amerà per quello che sono e fine della storia? Poi sono stata io a non amare più Ridge per quello che era: dopo aver scoperto che si tingeva i capelli, e ho smesso di guardare Beautiful. Anche una soap opera di quel calibro dovrebbe capire quando arriva il momento di dire basta. Una storia per essere brillante non deve essere infinita, deve avere un finale indimenticabile. E a conti fatti, ho spinto stop dopo la morte di Caroline, dopo averla vista abbracciata a Ridge, sul punto di morire, mentre recitava un bellissimo passo che ancora ricordo.
“Io passerò per questo mondo una volta sola. Se vi fosse, dunque, bontà o amore che io possa donare, o bene che possa fare, lascia che lo faccia subito. Lascia che non lo rimandi o che lo ritardi: io non passerò un’altra volta da qui.”
Perché è vero che Taylor era già in giro per casa, ma la mia mascella d’acciaio avrebbe amato per sempre una donna sola: Caroline. Quello era vero amore. O erano stati i pomeriggi di telenovelas messicane con la nonna Anna che avevano irrimediabilmente condizionato il mio modo di vedere le cose? Possibile? Anche in Beautiful anche i ricchi piangono.
Illustrazione: Valeria Terranova