Il dolore che sarebbe durato per i sei mesi successivi — ma forse anche di più — ebbe inizio in una tarda sera di novembre mentre mio marito stava uscendo dalla doccia. Le gocce d’acqua cadevano rovinosamente sul pavimento lucidissimo e fino a quel momento erano la mia sola preoccupazione. Eccole, ricordo di aver pensato. Mi sentirò meglio solo quando le avrò asciugate. Siete mie! dico tra me mentre Davide si allontana lasciandomi libera di agire. Ma, mentre faccio per chinarmi, lui mi afferra per un braccio e mi bacia. Non vorrà mica farlo adesso? Ho un paio di cheesecake nel forno che devo sfornare a minuti.
Continuo a tenere le mie labbra sulle sue, ma la situazione potrebbe sfuggirmi di mano. Stiamo parlando delle torte che occuperanno la parte centrale del tavolo del mercatino di beneficenza. Il mercatino che organizzo da anni per raccogliere fondi per la scuola. I fondi che consegno personalmente in segreteria in qualità di rappresentante d’istituto.
La posta in gioco è troppo alta: devo tirarmene fuori.
“Tua madre e Sofia saranno qui a minuti…” dico cercando di allontanarmi.
“L’ho chiamata”, mi sussurra avvicinandosi. “Stasera dorme dalla nonna.”
Da come mi sta stringendo, sembra avere intenzioni serie.
Non l’avevo previsto. O meglio, non ci speravo più: non ricordo quanto tempo è passato dall’ultima volta che l’abbiamo fatto.
“Cos’hai in mente?” gli chiedo maliziosa.
“Ti va una cenetta fuori?”
E io che pensavo di apparecchiarmi sul suo petto.
“Dove mi porti?” gli chiedo incalzante per camuffare la delusione.
“Franceschetta?”
Ci sono stata con Michi l’ultima volta che siamo usciti — e ammetto che è passato un po’ di tempo — ma non lo ricordo come un locale da cenetta romantica.
“Non mi sembri felice di andarci…” aggiunge.
“No, amore, vengo volentieri…” dico frettolosa ricordandomi delle cheesecake nel forno.
Ma lui mi afferra, mi bacia e lì: sulle gocce d’acqua cadute sul pavimento, facciamo l’amore.
Una serata di fuoco in piena regola, pure le torte si sono carbonizzate. Ma non importa, ora resteremo a casa, ordineremo una pizza e io avrò tutto il tempo di rifarle.
Lo guardo estasiata mentre apro il cassetto per prendere un pigiama, ma prima che possa chiedergli di chiamare la pizzeria, lui mi anticipa:
“Allora usciamo?”
Ho capito: è una serata prima e dopo: non posso deluderlo.
“Okay, vado a prepararmi.”
Esco dal bagno e raggiungo lo studio: la mia stanza armadio.
Il mio rifugio, la mia tana, il mio caveau, dove abiti e accessori sono ordinati per annata, colore, stagione. Mi siedo sul mio trono di Knoll e cerco di fare mente locale per arrivare a un dunque.
E mentre la mia mente continua a pensare a ciò che è appena successo, gli occhi smettono di fissare il vuoto e puntano un abitino nero di Antonino Valenti. È appeso al piano superiore: salgo le scale e lo raggiungo. Lo appoggio su di me e mi guardo allo specchio: con questo mi sento tremendamente sexy. Okay, lui è reclutato.
Potrei abbinarlo alla mini Luggage di Celine e alla giacca vintage colorata di Moschino che ho comprato a New York durante il mio primo black friday.
Sì, potrebbe funzionare.
Ora passiamo alle scarpe.
Mi giro verso la scaffalatura alle mie spalle, do una rapida scorsa ai modelli esposti e mi soffermo sulle mie preferite: quella nera di Ferragamo o quella rossa di Prada?
Rifletto sul tipo di locale in cui stiamo andando, e mi rendo conto che mi serve qualcosa di meno formale, più giovane.
In tutti questi anni di shopping — sfrenato, qualche volta compulsivo — devo pur aver avuto un attimo di défaillance, che so, una piccola crisi d’identità, una minoranza mentale, un ictus…
Ecco, ora ricordo: l’addio al nubilato di Giulia. Per l’occasione l’abbiamo portata al concerto degli One Direction, lì dovevo dimostrare dieci anni di meno: avrei fatto qualsiasi cosa. Pure comprarmi online un paio di Louboutin in saldo, ma di mezzo numero più piccolo.
E indossarle con un look fresco e giovane con cui conquistare Harry Styles.
I piedi hanno cominciato a chiedere pietà al ventesimo minuto di concerto. Io ho ignorato il messaggio e al trentesimo sono svenuta, rovinando l’addio al nubilato a Giulia. – Lei dice di avermi perdonato.
Eppure le guardo e mi fanno impazzire.
Voglio dare loro una seconda occasione:
stasera starò seduta al ristorante, non sarò sugli spalti a dimenarmi come una quindicenne: non mi faranno male.
Scendo le scale con tutto il necessario, ma mentre sono sul punto di togliermi la vestaglia e dare inizio alla trasformazione, sento il trillo di un messaggio sul telefono.
Non è il mio, è quello di Dave.
Deve averlo dimenticato qui mentre sceglieva la camicia. Mi avvicino al ripiano, lo afferro quasi senza rendermene conto, e leggo quello che vedo impresso sullo schermo:
Andrea:
Spero di vederti più tardi al ristorante. Ti amo
Ti amo?
Il mio cuore si è fermato.
O forse ha solo smesso di battere nel mio petto, a giudicare dalle pulsazioni che sento dritte in gola. Mi tremano le mani. Mi manca il respiro.
Richiudo la vestaglia, rimetto il telefono al suo posto: proprio lì dove l’ho trovato.
Come se compiere lo stesso gesto al contrario potesse rimettere anche le cose al loro posto. Riportare indietro il tempo di dieci secondi, venti, trenta… e, far tornare tutto come prima. Ma non succederà.
Eva: siediti, calmati, pensa.
Mi siedo, ma mi tremano le gambe.
Provo a fermarle premendo i gomiti sulle ginocchia, eppure non ci riesco. Mi infilo le mani tra i capelli cercando di valutare la cosa con un minimo di razionalità, ma anche questo sembra impossibile.
Non so nemmeno cosa mi ferisca di più: se mi abbia tradito senza dirmelo o se sia diventato gay senza chiedermelo.
Il ‘ti amo’ alla fine della frase non è una cosa che dici al primo che capita. Quindi questa storia va avanti da un po’ e io non mi sono accorta di niente? Come diavolo è potuto succedere? Abbiamo appena fatto l’amore.
Mi alzo di colpo, mi avvicino furtivamente al telefono tenendo d’occhio la porta, ma so che lui potrebbe entrare da un momento all’altro.
Devo mettere da parte le emozioni e concentrarmi solo sul suo comportamento. Ho notato qualcosa di diverso nell’ultimo periodo?
Forse è uscito con gli amici più spesso del solito, e ammetto pure che la nostra vita di coppia ha lasciato un po’ a desiderare, ma questi non possono essere segnali di una crisi… Noi ci amiamo ancora. Io lo amo ancora. E se fosse lui a non amarmi più?
Mentre cerco di dare una risposta alla domanda che mai avrei pensato di pormi, sento la sua voce dietro la porta che mi fa sussultare.
“Eva sei pronta?”
La voce non riesce ad uscire, ma quella che ho dentro ha voglia di urlare.
Non sono pronta.
Non sarò mai pronta. Ti ho dedicato la mia vita, penso. Ho lasciato il lavoro che amavo per costruire una famiglia insieme. Ho pure dimenticato le mie cheescake nel forno. E oggi, dopo dieci anni passati insieme in cui ho sempre creduto di essere l’unica donna della tua vita, un uomo ti scrive un messaggio dicendo di amarti. Come posso essere pronta?
“Eva, ci sei?”
Nascondo i miei pensieri velocemente e rispondo:
“Sì…dammi dieci minuti.”
Dieci minuti di silenzio scioccato in cui rivedo la scena del messaggio a ripetizione, mi passa davanti agli occhi di continuo, anche quando li chiudo. Li strofino con il palmo della mano cercando di liberarmene, ma non ci riesco. Ancora una volta, quella terribile sensazione: prima è la sorpresa, poi la rabbia, poi la delusione.
Dov’è finita la nostra vita perfetta?
Una parte di me vorrebbe andare da lui per avere una risposta, ma l’altra, per qualche strana ragione, sembra non voler affrontare la verità.
Devo mantenere il controllo, non voglio fare la figura della pazza isterica che esce dall’armadio facendo una scenata. Io non sono così.
“Tesoro! Ma sei ancora in mutande?” sbuffa Dave entrando.
Vorrei precisare che mi ci hai lasciato tu.
“Hai visto il mio telefono?” mi chiede.
Stiamo parlando del telefono su cui è appena apparso un messaggio che mi ha rovinato la vita svelandomi che sei gay e mi tradisci?
“Sì eccolo: è là sopra. Te lo prendo?” rispondo tentando di mantenere la calma.
“No, lascia, vado io, tu preparati piuttosto!” dice precipitandosi verso il telefono.
È ovvio che ha qualcosa da nascondere.
“Puoi chiamare il ristorante per avvisare che abbiamo mezz’ora di ritardo?”
“Certo”, dice uscendo, ma i suoi occhi rimangono incollati allo schermo, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
E sono di nuovo sola con i miei pensieri.
Come può farmi questo? Mi chiedo mentre
l’abito mi scivola sulla pelle quasi a coprire un senso di vergogna di cui non sono responsabile.
Eppure deve esserci una spiegazione diversa.
Cerco di fare leva sulla minuscola fetta di positività che rimane del mio animo massacrato e provo ad elencare qualche ipotesi plausibile.
Magari è un suo amico che sta fingendosi gay per fargli uno scherzo. Oppure è un amico che si è accorto ora di essere gay innamorandosi di lui. E sotto sotto non posso nemmeno biasimarlo. Stiamo parlando di Dave: capitano
di una squadra di serie A, ospite di Maria De Filippi, testimonial di un famoso dopobarba. Amato dai tifosi e da migliaia di ragazzine che sui social lo hanno soprannominato il David Beckham italiano. Chiunque perderebbe la testa per uno così. Anche un uomo. Ma è evidente che gli piacciono le donne: il sesso grandioso di poco fa è una chiara dimostrazione. E se fosse bisessuale?
Devo scoprirlo, al diavolo tutto il resto, e non posso riuscirci se resto chiusa in questo armadio. Ora mi vesto, mi trucco, mi sistemo i capelli ed esco con lui.
Dopo diciotto minuti sono pronta. Infilo le scarpe, mi specchio e mi accorgo di aver dimenticato la mia giacca vintage del black friday. Anche questo sembra essere un c***o di black friday.
Ho detto c***o? Ossantocielo ho detto: “ca***o.
Fino a un secondo fa lo avevi solo pensato, puntualizza la mia coscienza.
Mi tappo la bocca, ma la parolaccia è già uscita. A questo penserò più tardi. Indosso la giacca e raggiungo il soggiorno. Dave è sul divano che fissa il telefono.
“Davide…”
Lui alza la testa con l’espressione infastidita di chi è appena stato interrotto. Un’espressione che corregge subito dopo, quando riceve un altro messaggio che legge con uno strano sorrisetto.
Credo che se mi fossi trovata di fronte a questa situazione all’inizio della nostra storia, gli avrei levato dalle mani quell’accidente e lo avrei costretto a confessare. Ma il self control che ho coltivato in questi anni me lo impedisce.
E se avessi solo paura di perderlo? Di scoprire una verità che può distruggere quello che abbiamo costruito insieme?
“Sono pronta. Possiamo andare”, dico sfoggiando il migliore dei sorrisi.
Al ristorante troverò le risposte che cerco.
PRIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova