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31 Mag

C’è posta per te…e non è il film con Tom Hanks

enrica alessi storie di ordinaria follia

enrica alessi storie di ordinaria follia

A

vere una rubrica è stimolante.
Disporre di uno spazio all’interno di una piattaforma importante, in cui ho la libertà di scrivere come mi piace, dà soddisfazione. Ma come per il libro, anche per la rubrica di Grazia devo ringraziare L’uomo del Monte che ha detto sì: Francesco — guarda il caso, alle volte — con cui ho cominciato a scrivere ciò che volevo, come volevo.

La storia va più o meno così.
Inizio nei primi giorni di giugno dell’anno scorso. Mi affidano una referente con cui dovrò accordarmi riguardo all’argomento che vorrei trattare.
Ho l’esigenza di scrivere in prima persona, come sulla mia pagina di Facebook. La chiamo, le chiedo se è possibile, ma risponde che ci sono regole editoriali da seguire per aiutare i motori di ricerca, mi rassegno.
Valutiamo che una papabile rubrica potrebbe somigliare a quella di Sex and City — versione sposati, con figli — ma io Carrie non la so fare, sono un’altra cosa.
Sento di non potermi esprimere al meglio, le regole che il web mi impone sacrificano l’ironia e l’ilarità dei miei pezzi, e il risultato non mi piace. Smetto di scrivere.
Concedermi a metà è limitante: nessuno dei due, né io, né la rivista, ne stiamo traendo beneficiando. Ma il mio agente letterario mi convince a continuare, facendomi assegnare un nuovo referente.
Ai suoi occhi potrei sembrare quella che si crede una star — capricciosa e incompresa — incapace di esprimere la sua creatività artistica. Ma quando ricevo
la sua prima email, mi pare che abbia capito il mio punto di vista. Si mostra gentile e molto disponibile. È felice di cominciare, mi chiede di mandargli qualcosa con cui farsi un’idea di cosa ho in mente. Sono entusiasta e allo stesso tempo terrorizzata.
Ad aumentare quello stato d’ansia è il ‘titolo nobiliare’ di Francesco all’interno di Grazia, scritto lì, in basso, sotto il suo nome: Head of content.
Creare qualcosa che possa convincere qualcuno ad assegnarmi una rubrica in cui parlo dei fatti miei — senza alcun tipo di logica — già non è semplice; riuscirci per un head of content, genera stress da prestazione.
Decido di mettermi al lavoro dopo cena, mi convinco che troverò un pezzo divertente, senza immaginare che ciò che racconterò deve ancora succedere.

Sto camminando per Saint Tropez, indosso un completo di Pucci di cotone — che dopo questa storia, userò come pigiama — e sto raccontando a Emma come dormo di solito.
Emma procede alla mia destra, tengo il suo passo, ma mentre cerco di mimarle la posa del fenicottero, inciampo e il tacco si incastra nella cucitura dei pantaloni rompendoli. Emma mi sostiene evitandomi di stramazzare al suolo.
Mi appoggio al muro, valuto il danno, cerco di superare lo shock iniziale causato dalla irrimediabile perdita di uno dei miei pezzi cult, e ci riesco solo, quando realizzo che tutto ciò mi sta dando uno spunto. Sarà questa la storia che scriverò.

Gli mando il pezzo, dice che funziona, che possiamo cominciare la prossima settimana.
Finalmente, uno che mi capisce.
Ora è Valeria a sentirlo più di me, gli ha dato un soprannome: Zen. E anche lui è in confidenza: la chiama Ringhio.
Dopo un un centinaio di email — e una trentina di articoli — con cui abbiamo comunicato in questi mesi, ne ricordo due in particolare:

“Ciao Francesco, come stai?
Ti mando l’articolo per venerdì, fammi sapere.
Enrica”

“Ciao Enrica, quando ti leggo, rido: quindi, bene. Tu?”

 

Illustrazione: Valeria Terranova