To top
7 Dic

Chi apre la porta di una scuola chiude una prigione (Victor Hugo) …A volte va diversamente…

crem's blog enrica alessi scrittrice

crem's blog enrica alessi scrittrice

U

na settimana fa ho ricevuto una proposta da una scuola di moda di Milano: mi chiede di fare l’insegnante per uno dei corsi di gennaio. Io che passo dall’altra parte della barricata? Lusingata. Felice. Meravigliata. A scuola ho fatto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Fuori ero la sosia di Heidi, dentro Ruth Patchett in She Devil.
Ho finto coliche renali, attacchi di panico e svenimenti per schivare le interrogazioni. Una volta ho anche commosso un’insegnante di tecnica inventandomi che i miei genitori mi avrebbero cambiato i connotati se non avessi preso almeno un sei politico – che lei mi diede per non avermi sulla coscienza.
Ho coperto il mio migliore amico quando ha buttato il registro di classe nella pattumiera fuori dalla scuola – facevo il palo – e avevo l’abitudine di fare i compiti in classe a tre con i miei compagni di banco, specie quelli di stenografia, io stavo in mezzo. La banda Bassotti: una che scriveva tutto per intero – ovviamente io – uno che faceva le abbreviazioni, Giamma, e quello che copiava e basta: Chicco. Ho bigiato, falsificato le giustificazioni, e sfruttato i lutti familiari a seconda delle esigenze. E ho anche chiamato da una cabina telefonica dicendo che era stato piazzato un ordigno in palestra per fare evacuare tutti gli studenti dalla scuola – quella mattina c’era l’interrogazione di storia. Ma la cosa peggiore che ho fatto risale al 1993. Durante il cambio d’ora di matematica e tedesco, ho deciso di dare un calcio alla porta del bagno, peccato che dall’altra parte ci fosse una delle mie compagne. Lo spigolo l’aveva colpita in fronte e lei era una maschera di sangue. Corsi in classe per confessare, per dare l’allarme, per chiamare un’ambulanza, ma la prof di tedesco mi guardò scocciata e disse:
“Senti Alessi se non vuoi che ti interroghi, va bene, ma smettila di raccontare cavolate.”
Continuavo a ripeterle che era la verità, che era una cosa grave e lei? “Per favore esci, mi stai annoiando.”
Ascoltai il suo consiglio. Corsi in presidenza a chiedere aiuto. La preside fece arrivare i soccorsi, spedì la mia amica in ospedale e poi pensò a me:
“Ora, carina, vieni qui e mi fai vedere come hai fatto!” disse trascinandomi in bagno.
“È proprio sicura? Non sarebbe meglio se le spiegassi a voce?”
Il prof di chimica che era nell’atrio mentre l’ambulanza partiva dal cortile, continuava a difendermi dicendo che non era colpa mia. Che brava persona, e io che non ho neanche mai capito i logaritmi del PH.
A parte i diciotto punti di sutura – che grazie al cielo si riassorbirono senza lasciare traccia – tutto andò bene. I genitori della mia amica mi presero addirittura in simpatia, chiamandomi Jean-Claude Van Damme davanti alla capo sala del reparto. Oggi sono una mamma, dovrei dare il buon esempio: ecco perché quando le mie figlie avranno compiuto diciotto anni e avranno il permesso di avere un profilo su Facebook eliminerò per sempre questo post. Nel frattempo, credo che accetterò il ruolo di insegnante e cercherò di fare del mio meglio… Sono pronta a scommettere che i soggetti indisciplinati come me – forse – si sono estinti.

[Il racconto si basa su una storia vera, tuttavia alcune scene, personaggi, nomi, luoghi ed eventi sono stati modificati ai fini drammatici.] 😅😎

Illustrazione: Valeria Terranova