uoi portarmi a casa?”
Una frase del genere dovrebbe insospettirlo, allarmarlo, o quanto meno costringerlo a farsi domande, e invece, la sua aria serena e soddisfatta mi fa capire che nessuna di queste ipotesi lo interessa.
Continua a guidare, regola il volume della radio, canticchia. Non sospetta nulla, non immagina quanto sia furiosa, quanto mi senta tradita. Mi dà per scontata, questa è la verità, anzi peggio: mi crede una stupida ingenua a cui tacere una relazione precedente, durata tre anni.
Frasi fatte? Gli uomini sono tutti uguali?
O forse sono io che non cambio mai e continuo a scegliere quelli sbagliati?
È una scena già vista: mi sono fatta prendere in giro di nuovo.
“Tutto bene? mi chiede. “Sei taciturna…”
Il mio sistema immunitario emotivo vorrebbe risparmiarselo quello che verrà, ma un cuore ferito è impavido: non teme le conseguenze. Non gli importa se il cervello è lucido oppure no, manda un impulso alla bocca e le impone di aprirsi, di parlare, di liberarsi. Ma le parole che avevo scelto con cura, durante quella cena interminabile, e che sono rimaste sospese nel mio palato troppo a lungo, ora non riescono a uscire.
“Amore, tutto okay?”
Luca posa la mano sulla mia gamba, d’istinto mi ritraggo. Forza: non era ciò che stavi aspettando?
A questo punto dei giochi, la battuta che ogni sceneggiatore mi assegnerebbe, sarebbe una cosa tipo: ‘allora, chi è Roberta?’, ma posso fare di meglio.
“No, non è tutto okay: tu sei un bugiardo e io sono la stupida che ha voluto credere che il nostro rapporto si basasse sulla sincerità.”
“Che stai dicendo?” chiede basito.
Lo sceneggiatore aveva ragione: i preliminari non servono.
“Chi è Roberta?”
I suoi occhi, che fino a poco fa, quasi a intermittenza, si dividevano tra me e la strada, ora restano fissi sul parabrezza.
Non dice nulla, deglutisce, non mi guarda.
È una frazione di secondo: niente di più, niente di meno. È l’istante in cui muore la
speranza a cui mi sono aggrappata fino a ora. La speranza che Mila avesse mentito. La speranza che l’uomo che amo non mi avesse nascosto una cosa tanto importante. Sono la quinta essenza dell’illusione.
“Mia madre ti ha parlato di lei, vero?”
Che domanda eloquente: chi crede che sia stato? Il tortellino del dito mignolo?
Ma prima che possa rispondere, lui mi precede: “come al solito mette il naso nella mia vita privata…”
“La vita privata che mi riguarda, non una qualunque.” lo interrompo per puntualizzare.
“Senti, senti… ora la difendi?”
“Non devo difendere nessuno! E trovo assurdo che stai qui a preoccuparti di chi me lo ha detto, come e perché. Il problema è un altro: tu avresti dovuto dirmelo.”
Lo dico senza pause, accentuo il chi, il come, il perché: il mio sistema immunitario emotivo vuole prendersi la rivincita.
Il mio tono deciso riesce persino a catturare il suo sguardo, di tanto in tanto. Ma è come assistere a una maratona a staffetta: la rabbia passa il testimone alla delusione, e io ho voglia di piangere.
“Tua madre me lo ha detto perché pensava che lo sapessi già…” mormoro.
Quanta fragilità in quelle semplici parole.
Vorrei che sentisse cosa provo: ho paura
che la delusione non lasci spazio a nessun tipo di chiarimento, ma più di tutto, ho paura di perderlo. E credo sia quest’ultima a convincermi a dire tutto ciò che so — che è tutto ciò che mi sarebbe bastato sapere, ma che lui ha preferito tacermi.
“So che siete stati insieme tre anni e che non è stata una storia facile…”
“E come tutte le storie difficili è finita. Non c’è molto da dire…”
Si sta mettendo sulla difensiva?
“Certo: stiamo parlando di un dettaglio trascurabile…” ribatto sarcastica.
“Avresti potuto chiedermelo, visto che sembra un’informazione così rilevante.”
La sua cadenza brusca mi disorienta. Ancora una volta, mi mette nella posizione di fare domande che per indole non farei e mi sento a disagio. Ora anche io, come lui, tengo gli fissi sulla strada rimanendo in silenzio.
Cosa succederà adesso? A rispondermi è il bivio che vedo in lontananza, Luca gira a destra, verso casa mia: non vuole chiarire.
“Non mi dirai altro?”
“Cosa vuoi sapere? Perché è finita?” chiede in tono provocatorio.
Se non avesse nulla da nascondere, non reagirebbe a quel modo. E lì, mentre l’auto si ferma davanti al cancello di casa mia, trovo il coraggio di fare quella domanda che ho tentato di scansare dall’inizio, per non farmi del male.
“È la stessa Roberta che ti ha chiamato la sera del tuo compleanno?”
“Sì è lei.”
“Cosa voleva?”
“Farmi gli auguri.”
Il suo sorriso malizioso mi fa gelare il sangue. Chi è l’uomo che ho di fronte? Non lo riconosco più.
“E dire che mi avevi quasi convinto: ‘le persone si amano per ciò che sono, non per ciò che sono state’…”
Mi ferisce che scimmiotti i miei modi.
“Mi rinfacci la mancanza fiducia, quando la tua è la prima a mancare: non avresti tenuto l’appartamento se non fosse così. Credi che sia stupido? La verità è che non sei pronta a trasferirti e stai cercando un pretesto per chiuderla qui.”
“Sei uno stupido!”
Ho le gote in fiamme, afferro la maniglia per scendere, ma lui mi blocca.
“Melissa, aspetta… mi dispiace se non è la favola che ti aspettavi, ma ci sono cose che mi riguardano e che non sono disposto a condividere con nessuno, nemmeno con te.”
“Vuoi vivere con me e mi tagli fuori dalla tua vita? È assurdo!”
“Non è una questione che può essere discussa: è così e basta. Ma se non puoi accettarlo, non posso costringerti a restare.”
È un ultimatum. Mi sta dicendo chiaramente che se decidessi di non accettarlo a ‘scatola chiusa’, sarebbe pronto a rispedire il pacco al mittente?
Lo guardo, fisso la sagoma del suo viso per imprimerla nella mia mente e scendo dall’auto.
“Non posso avere segreti con la persona che amo… Buona fortuna.”
Chiudo la portiera, gli volto le spalle e ficco le mani nella borsa per recuperare le chiavi: sappiamo entrambi che sto solo cercando un diversivo per lasciargli il tempo di scendere, di correre ad abbracciarmi. Ma la macchina riparte lasciandomi lì, insieme alle lacrime che non riesco più a trattenere.
Mi incammino nel vialetto, quando a un tratto, il mio pianto si interrompe: ho lasciato il cappotto di Cassandra nell’auto di Luca. Dannazione.
E mentre considero la folla idea di chiamarlo, barattando il mio orgoglio per recuperare la giacca, il telefono squilla: deve avermi anticipato.
Uso il palmo della mano per eliminare gli eccessi di lacrime e di mascara, faccio un bel respiro per controllare il tremolio della voce, e recupero il cellulare nella borsa, ma non è Luca a chiamarmi, è Britney.
Ci mancava lei. Avrei voglia di rimettermi a piangere. In questo momento, l’unica persona con cui desidero parlare è Giulio che mi sta aspettando in casa.
Lascio vibrare il telefono nella mia mano senza curarmene e mi dirigo verso la porta. Ma lui non smette. Controllo l’orologio è mezzanotte passata, cosa può essere successo?
“Pronto?”
“Melissa… Cassandra si è sentita male…”
“Lo sapevo! Hai fatto cucinare a tuo cugino quel dannato menù? Ti avevo detto che era troppo pesante!” dico con rimprovero.
“Melissa, devi venire in ospedale.”
SESSANTAQUATTRESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova