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7 Nov

Dal romanzo Prêt-à-bébè – Diario di una mamma pronta a tutto – 3 –

enrica alessi romanzo

enrica alessi romanzo

 

 

C

inque anni dopo, la mia camera è quella di sempre. Stesso letto, stesso armadio, stessa scrivania, stesso comodino, stessa bilancia. Io però sono cambiata e il merito è di Giaco. Avere qualcuno vicino che ti vuole bene è il miglior integratore dell’autostima: Giaco è la mia vitamina G.
Ho cominciato a fare sport seriamente, ho perso dieci chili e sono pure diventata un’insegnante di spinning. Mi sono diplomata, ho trovato un lavoro da impiegata in un’officina autorizzata Volkswagen Audi e nel weekend lavoro in una pasticceria.
E, anche se non ci avrei mai scommesso, da cinque anni io e Giaco siamo una coppia a tutti gli effetti. I suoi genitori stanno sistemando la loro casa di campagna e stiamo pensando di andare a viverci insieme. A essere sinceri abbiamo già deciso come arredare il soggiorno, la cucina, il bagno e le camere da letto, ma lui non mi ha mai fatto una vera proposta. E quando incontriamo i nostri amici e ci chiedono se abbiamo intenzione di sposarci, lui dice di sì, io non dico niente.
La deliziosa usanza di chiedere la mano di una fanciulla, in ginocchio con un anello – anche di piccola caratura – è andata perduta nei secoli oppure sono io a essere rétro? Mica posso considerare valida quella che mi ha fatto quando ci siamo conosciuti: era ubriaco.
A queste condizioni io non ci sto, non può darmi così per scontata.
E a volte, basta un film per innescare reazioni capaci di cambiare il corso degli eventi.
È una fredda sera d’inverno, io e Giaco siamo sul divano di casa sua e stiamo guardando ‘Ti presento i miei’.
Rimpiango i momenti in cui Gaylord Fotter riusciva a farmi ridere, ora non succede più. Assisto a quel trambusto familiare e realizzo che non avrò nessuna proposta a sorpresa, nessun romanticismo. Una domenica saremo a pranzo con i nostri genitori e al momento del dessert, invece di decidere se usare il cucchiaio o la forchetta, Giaco dirà che abbiamo deciso di sposarci e tutti saranno felici e contenti, tranne me.
Il film finisce, gli chiedo di riportarmi a casa, saliamo in macchina e non riesco a tacere.
«Cosa succederà, Giaco? Che un bel giorno ci metteremo seduti con i nostri, inizieremo a parlare del più e del meno e tu annuncerai che ci sposiamo?»
«Perché dici così?»
«Perché è già successo. Tutte le volte che andiamo a vedere un armadio o una lavatrice, qualcuno ci chiede se stiamo per sposarci e tu rispondi sì. Non ti sei accorto che sto sempre zitta? Sto zitta e aspetto una domanda che non arriverà mai perché tu hai già dato per scontato la risposta. Aspetto questo momento da quando sono piccola e non ho mai voluto che fosse così. Così banale, così pilotato. Io volevo il sogno e tu me lo stai portando via.»
Giaco sta guidando, mi guarda e rischia pure di finire fuori strada.
Sto piangendo, sto piangendo come una povera imbecille.
Ferma la macchina appena gli è possibile: accanto a un bidone dell’immondizia. Potrebbe andare peggio di così? No dico, si è fermato vicino a un cassonetto. Forse mi ci butta dentro.
«Enri, scusa. Non pensavo che volessi una vera proposta.»
Questo è scemo.
«Tutte le donne di questo mondo desiderano una proposta di matrimonio, ma dove vivi? Non li guardi i film?»
Ora dirà che questa è la vita vera e io uscirò dalla sua macchina e dalla sua vita per sempre.
Faccio per scendere, poi guardo il cassonetto e cambio idea.
Mi volto verso di lui e mi accarezza il viso.
«Enri, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, è che ogni tanto faccio qualche ca**ata. Scusa.»
Giaco spegne il motore, mi prende il viso tra le mani e dice: «Mi vuoi sposare?».
«No» dico voltandomi di nuovo verso il cassonetto. «Me lo hai chiesto solo perché sono stata io a domandarti di farlo. E non c’è cosa peggiore. Non voglio sposarti, portami a casa.»
«Come sarebbe a dire “portami a casa”? Io ti amo, voglio vivere con te.»
«E io invece voglio che mi riporti a casa.»
Giaco mette in moto, controlla lo specchietto retrovisore prima di ripartire e spinge sul gas. Dopo pochi minuti di silenzio siamo sotto casa mia.
«Ciao» dico schizzando fuori dall’auto e poi via veloce verso la porta.
Lui scende di corsa e mi segue, mi prende per un braccio e cerca di fermarmi.
«Cosa fai? Dove vai?»
«Vado a casa mia. È questa casa mia!»
Apro il portone e prendo le scale di corsa. Ho tre rampe per decidere altrettanto velocemente come gestire la situazione.
Prima rampa: oddio adesso cosa dico?
Seconda rampa: la macchina dei miei non c’è, la casa è libera. Meno male.
Terza rampa: lascio Giaco fuori di casa.
Entro e chiudo la porta a chiave dietro di me.
«Enri, apri!»
«No.»
«Sei pazza? Apri la porta.»
«Non ce n’è motivo, sono in imbarazzo, mi hai fatto una proposta su commissione. Non potrei sentirmi peggio. Vai via, lasciami stare!»
Sono seduta sul pavimento con le spalle incollate alla porta. Non capisco se sia la lastra di legno a essere sottile o il cuore di Giaco a battere così forte: mi sembra di sentirlo. E, quasi senza accorgermene, mi rialzo da terra e giro le chiavi nella toppa per farlo entrare.
Sto ancora piangendo e credo che anche il mascara abbia ceduto alle lacrime, si è arreso sulle mie guance lasciandomi due occhi simili a quelli di un Panda.
«Ti ho aperto solo perché non volevo che la strega del piano di sotto ti facesse arrestare per molestie» dico spalancando la porta.
Giaco si avvicina, mi afferra la vita con un braccio e mi stringe a sé. «Guardami.»
«Non ci riesco.»
«Allora dammi un bacio e dimmi che vuoi sposarmi.»
«Ma questo è anche più difficile di guardarti e basta» puntualizzo.
«Quando i nostri figli ci chiederanno come ho chiesto di sposarti, io dirò che eravamo vicini a un cassonetto e tu mi hai detto di no.»
«Questo significa che mi convincerai a dire di sì e che avremo pure dei figli?»

Estratto dal libro