laudia ha allestito la stanza come lo studio ovale della Casa Bianca. Ci sono tre grandi finestre rivolte a sud, dietro a un camino e a una scrivania bianca del XXI secolo, probabilmente proveniente dalla Svezia, ma comprata all’Ikea. Anche in questa sala ci sono quattro porte: quella a est che dà sul giardino delle rose di Berto, suo zio; quella a ovest che dà sul corridoio principale, quella a nord-est che dà sulla cucina. L’ultima è a nord-ovest, ma non per importanza. È quella per le emergenze, che porta dritto al gabinetto.
E anch’io, come Barack Obama, sono pronta a fare il mio discorso al popolo femminile.
Claudia ci ha lasciato la casa a disposizione, chiedendoci di chiudere quando avremo finito. Abbiamo tutta la tranquillità che ci serve e abbiamo addirittura comprato un cavalletto su cui fissare la telecamera per produrre delle riprese nitide e stabili. A volte sembriamo pure dei professionisti.
Matte è di fronte a me e siamo pronti a cominciare.
«Ciak, si gira.»
Mi sento un po’ nervosa, scorro velocemente gli appunti e li ripeto mentalmente. Devo essere chiara, scandire bene le parole, essere incisiva e al tempo stesso rassicurante.
Impossibile.
«Ciao a tutte, e benvenute sul mio canale di YouTube. Due anni e mezzo fa sono diventata mamma per la prima volta e ora, sono incinta di sette settimane.
Sulla maternità ci sono troppe cose non dette, cose che nessuno ha il coraggio di dire e cose che nessuno ha il coraggio di chiedere. E io che non ho peli sulla lingua, ma solo nelle ascelle e nell’inguine…»
«Stop! Sai quanto gliene frega alla gente di dove ti crescono i peli? Di’ che non ne hai sulla lingua e basta.»
«Mi sembrava comico: tutte le donne hanno i peli sulle ascelle e sull’inguine… e sono i più dolorosi da togliere.»
«Bastano quelli sulla lingua, fidati» dice risoluto.
«Okay.»
Bevo un goccio d’acqua e riprendo.
«E io, che non ho peli sulla lingua, credo di essere la persona giusta per fare luce sulla verità. Anche la dolce attesa ha un retrogusto amaro.»
«Stop. Tampona il sebo sulla fronte e sul mento, sei troppo lucida.»
«Che palle Matte! Così non finiremo mai. Va bene ricercare la perfezione, ma qui c’è un caldo che si schiatta e stiamo parlando alle donne vere che hanno ghiandole sebacee e pilifere.»
Tampono, bevo un altro sorso d’acqua e riprendo da prima del sebo in eccesso: «La gravidanza e la maternità non cambiano il ruolo della donna. Mamma e donna non sono due concetti distinti. Anzi, le mamme sono donne al quadrato perché si fanno il doppio del mazzo per riuscire
a fare tutto. Che caldo infernale! Passami l’acqua per favore.»
«stop! Potresti avvisarmi prima d’interrompere così di colpo?»
«Scusami, stavo morendo di sete, okay, attacca!»
«Ci sono.»
«La gravidanza potrà anche cambiare la forma esteriore, ma non la sostanza, e la femminilità che ci appartiene non deve mai abbandonarci. E se credete di non possederla, vi sbagliate, perché alla sensualità, allo stile, alla bellezza, ci avete sempre pensato perché da piccole gioca- vate con Barbie. sigla!»
«Stop! Ehm… Sigla? Dobbiamo proprio metterla?» chiede Matte.
«Certo. Con una sigla sembra una vera trasmissione e il concetto è chiaro da subito.»
«E la canzone sarebbe?»
«I’m a Barbie Girl?»
«Mi rifiuto.»
«Ma dai! Quante altre canzoni conosci con la parola Barbie?»
«Va bene, ma andiamo avanti, ti supplico.»
«Sei tu che interrompi sempre» puntualizzo.
Do un’occhiata alle mie note e faccio il punto della situazione.
«Dunque, vediamo, la parte in cui parlo del motto di Barbie, di Obama e di Michelle vorrei farla con uno sfondo diverso: per dare al video più movimento. Teniamola per ultima. Adesso facciamo quella delle categorie Barbie/Mamma, okay?»
«Sceneggiatrice, attrice… sicura che non vuoi fare anche la regista e riprenderti da sola?»
«Non fare il cretino, dobbiamo ottimizzare i tempi. Devo essere in ufficio alle tre e prima di rientrare penso di meritarmi un pranzo veloce, un bidet e una ripassata al trucco, no?»
«Andiamo avanti.»
«La Barbie è il simbolo della donna che può scegliere: moderna, libera, emancipata, sofisticata, elegante… ca**o, mi è venuto un crampo!»
«Alla faccia dell’eleganza. stop!»
Sulla carta era tutto più facile. Pensavo fosse meno complicato girare un video. Questo qua che mi interrompe ogni tre per due, poi arriva un crampo, ci manca solo un’emorragia nasale e siamo a posto.
Continuo a massaggiarmi il polpaccio, ma il dolore non passa.
Guardo l’orologio e mi piglia un colpo: devo sbrigarmi, stringere i denti e sorridere.
«Il motto di Barbie ci ha fatto capire che esistono infinite possibilità e infinite tipologie di donne, ma sono il tempo che abbiamo a disposizione e l’abilità nell’organizzarlo a definire il modello di donna che più ci rappresenta.»
Faccio una pausa, anzi due: la seconda è di riflessione. Infinite tipologie di donne… Aspetta che rileggo, le ho inventate io e manco mi ricordo in che ordine le ho messe. Pure il polpaccio dolorante ci mancava.
«Le donne si dividono in quattro categorie: le Barbie Fior di Pesco, le Barbie I Can Be, le Barbie Rockstar e le Barbie Non Ce La Posso Fare. Le donne Barbie Fior di Pesco sono quelle precise, maniache della casa e del loro aspetto. Non hanno niente fuori posto. Sono belle, eleganti e intelligenti: praticamente perfette sotto ogni aspetto. Dai, one- stamente, chi ca**o l’ha mai vista una donna Barbie Fior di Pesco?»
«Hai ridetto ca**o?» sbotta Matte.
«Be’, il ca**o di prima non si può tagliare?»
«E chi saresti? Lorena Bobbitt?»
«Taglia il ca**o del crampo e lasciamo quello di Barbie Fior di Pesco, questo è un rafforzativo, ci sta…»
«Hai ragione: è un problema del ca**o. Riprendiamo da lì. Oops, ho lasciato la telecamera accesa. Ma non im-
porta, posso tagliare dopo in fase di montaggio. Vai!»
Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse e riparto. «Le donne Barbie I Can Be, invece, sono quelle che
hanno buon gusto e un’ottima capacità di gestire il tempo che hanno a disposizione. Riescono a organizzare la routine quotidiana in maniera eccellente e quando qualcosa va storto, hanno sempre un piano B con cui tirarsi fuori dai guai. Ne hanno passate così tante che niente le spaventa. Non si arrendono mai e credono che tutto sia possibile. La loro forza di volontà è il mezzo con cui raggiungere gli obiettivi che si sono prefissate e tengono alla loro immagine perché hanno capito che è un mezzo con cui raggiungerli.»
«Stop!»
«E adesso che c’è?»
«C’è una cosa che ti esce dal naso e che sventola ogni volta che apri bocca.»
«Deve essersi sganciata quando mi è venuto il crampo.
Ma non potevi dirmelo subito? Da quanto tempo questa “cosa” sventola?» gli chiedo mentre mi avvicino zoppicante allo specchio nel tentativo di toglierla.
«Dall’inizio della Barbie I Can Be. Dobbiamo rifarla.»
«La teniamo lo stesso. Se avessi detto ca**o avresti ragione, ma si sta parlando di una caccola che sventola. E anche se sventola è politicamente corretta.»
«E allora andiamo avanti.»
Mi siedo e riprendo.
«Le donne Barbie Rockstar sono quelle più distratte e disordinate. Vivono tra palco e realtà e non sentono l’esigenza di organizzare la giornata nel dettaglio. Il loro aspetto riflette la mancanza di pianificazione: si buttano addosso le prime cose che trovano, finendo per agghindarsi come se dovessero aprire un concerto. Devo fare la pipì.»
«Enrica, avvertimi prima! Come devo dirtelo?»
«La pipì è la pipì, quando scappa scappa.»
«Sono d’accordo,» dice Matte in tono esasperato «ma non puoi fare un cenno con la mano prima di interrompere?»
«E va bene. Scusa.»
«Lascia perdere. La telecamera è rimasta accesa anche stavolta.»
«Be’, tu taglia, mi raccomando.»
Raggiungo la porta a nord-ovest, faccio pipì e, mentre sono seduta su quel water, mi viene da dire che non sembriamo affatto due professionisti. La gente riderà di noi e mia figlia mi chiederà di uscire dallo stato di famiglia.
Meglio non pensarci. Mi abbottono i pantaloni, esco dal bagno e riprendo posto sulla sedia, dietro la scrivania. «E per finire ci sono le donne Barbie Non Ce La Posso Fare che si vestono sempre malissimo.»
Lui mi ferma ancora. Scuote la testa. «Enri, questo non lo puoi dire. Tutte le casalinghe disperate ti odieranno. Eccetto – forse – quelle di Wisteria Lane.»
«Ah, tutto questo buonismo! Escono in pigiama per andare a fare la spesa…»
«Questo lo fai anche tu quando sei di fretta.»
«Sì, ma lo copro fino ai piedi con un cappotto fucsia di Moschino.»
«Ma non lo puoi dire. Devi farti voler bene.»
«Mi ameranno per quella che sono» dico risoluta. «Ripartiamo… tre, due, uno: E per finire ci sono le donne Barbie Non Ce La Posso Fare che non danno peso alla loro immagine perché puntano tutto sulla bellezza interiore. Tutte st****ate!»
«Stop!»
«Matte, mi sembri un telegramma. Devo dire la verità, queste cose mi servono.»
Mi sistemo i capelli, mi ripasso il rossetto e continuo da dove sono stata interrotta.
«La differenza che passa tra le donne Barbie Fior di Pesco – ah, già dimenticavo, quelle non esistono… la differenza tra le donne Barbie I Can Be e le donne Barbie Non Ce La Posso Fare la determinano:
Uno: il tempo a disposizione.
Due: la buona organizzazione.
Tre: la determinazione individuale.»
Scandisco le cose proprio così, sollevando le dita, prima una, poi due, poi tre.
Dio come mi piace.
Do uno sguardo ai miei appunti per capire come concludere.
«Alcune donne sono terrorizzate al pensiero di diventare mamme perché sono convinte che, sia durante l’attesa, sia dopo il parto, saranno costrette ad abbandonare le proprie abitudini per la mancanza di tempo. Ma se le mamme non smettessero di considerarsi donne, continuerebbero a difendere i loro interessi e a sentire l’esigenza di organizzare il tempo per mantenere il ruolo che possedevano prima del bambino.»
Appunto: che ore sono?
Oddio, è tardissimo. Matte mi guarda fiducioso, prendo fiato e riparto.
«Non importa se aspettate un bambino pianificato, o se vi è capitato così, tra capo e collo come una ghigliottina. Sarà la pratica a farvi diventare le mamme che desiderate essere.»
E ora il gran finale. Devo essere incisiva.
«Mantenete il vostro ruolo di donna, mantenete i vostri interessi, la vostra personalità: saranno queste le cose che vi consentiranno di avere uno stato d’animo positivo nei confronti della maternità… stop! Abbiamo finito.»
Matte applaude. «A parte l’acqua, il sebo, la pipì e i ca**i di troppo, sei stata brava.»
«Grazie. Chiudi la porta quando te ne vai» dico mentre gli dò un bacio prima di uscire di casa. «Devo andare, è tardi. A proposito… quando sarà pronto?»
«Una settimana?»
«Okay, avvisami quando è online. Grazie ancora.»
Forse non è andata così male, forse schizzeremo ai primi posti della classifica di YouTube…
Estratto dal libro