to ancora cercando di tenere a bada il senso di colpa che mi perseguita. Carola si è fatta male a causa mia: sono stata io a tirarla giù dal letto domenica per portarla in palestra. Ma se dopo tre settimane di Camp Rock — che equivalgono a una scuola di addestramento militare — si è rotta il quinto metatarso scendendo dal tapis roulant ai due all’ora, credo proprio che dovesse andare così.
In fondo, la vita assomiglia alla Ruota della Fortuna: quando si gira non è detto che il punteggio sia alto, ecco perché si continua a giocare.
E dopo un intero pomeriggio al pronto soccorso, un pit stop in sanitaria, uno dalla guardia medica e l’ultimo al CUP, sono giunta alla conclusione che la mia amica fashion blogger Laura Grampa ha ragione, quando dice che lo sport non fa bene. Ma il mio bicchiere mezzo pieno mi ricorda che un tutore è sempre meglio del gesso.
Un mese fa, la casa editrice mi ha informato del numero di copie che avrebbe fatto uscire in prima stampa, l’ansia da prestazione ha cominciato a farsi sentire.
“Bimbe questo libro si deve vendere, e voi mi aiuterete: sulle spiagge italiane.”
“Mamma è vendita ambulante…” mormora Emma.
“Sì, ma è a fin di bene. Le persone che lo leggeranno rideranno: è un antidepressivo senza effetti collaterali a sedici euro e cinquanta.”
“Ma si può andare in galera..”
“Non è vero: siete minorenni.”
“Giusto, io ci sto.” conclude Carola.
Peccato che ora abbia le stampelle e non possa rendersi utile.
Prêt-à-bébé è uscito martedì: sto incrociando le dita, non posso deludere i lettori, tantomeno la casa editrice, con questo romanzo mi gioco tutto. Se facesse cilecca, avrei sprecato l’opportunità di divertirmi lavorando e di far divertire altre persone che mi leggono, ma se invece riuscisse a fare breccia nel loro cuore, potrei scriverne altri. Il piano è sempre stato questo: non ho mai pensato di scrivere un libro soltanto.
A distrarmi da quel mix pensieroso fatto di emozioni e marketing è la copertina del libro che sta sul comodino della mia camera da letto: se penso che avevo suggerito alla fata del Bidibiboditipubblico di farla bianca, rabbrividisco. Avrei perso l’opportunità di indossare una selezione di abiti e accessori fucsia. Come ho potuto non tenerne conto?
Che sia quel briciolo di sobrietà latente che ogni tanto cerca di farsi sentire? Può essere, ma tutto sommato, meglio così.
E lì, mentre mi metto a pensare a quale vestito indosserò per la prima presentazione del romanzo, il telefono squilla.
Strano che non sia nella mia mano destra, dove sta di solito: in pratica è una mia appendice. Lo cerco sforzandomi di ricordare dove possa averlo lasciato, ma sono come Dory: soffro di perdita di memoria a breve termine. Mi concentro sulla suoneria, sulle vibrazioni, scendo le scale ed è sul piano della cucina. Lo afferro e riesco a rispondere. È Carmen, l’assistente del mio agente letterario.
“Enrica ciao, ti disturbo?”
“Non disturbi mai.” dico prontamente.
“Saresti libera mercoledì alle quindici per andare a Roma da Mediaset?”
La mia faccia ha un’espressione traducibile in: che domanda inutile.
“Certo che sono libera!” esulto. “Per quale trasmissione?”
Non posso vederla, ma so che sta sorridendo, il mio entusiasmo è contagioso.
“Ti mando una mail più tardi con tutti i dettagli.”
Resto lì in piedi, con un sorriso da Joker, chiedendomi: a chi lo dico per primo?
Giaco, Ringhio o le bimbe?
Le bimbe sono a portata di mano: lo dico a loro, non posso più aspettare.
A fine comunicato, siamo tutti contenti, ma i dettagli di cui sopra arrivano effettivamente più tardi via email, e lì comincio a sentirmi male.
Si tratta di un’intervista per la rubrica “La Lettura” del TG5, condotta da Carlo Gallucci.
Perché ciò che ho sempre desiderato, d’un tratto mi spaventa? Mi sento come Christian Dior prima di ritirare il suo Oscar in Texas.
Scrivo meglio di come parlo e quando sono di fronte a un pubblico o a qualcuno di autorevole, mi impappino, tengo sempre gli occhi verso il basso per timidezza e concentrazione, e poi gesticolo, gesticolo come una piovra.
Ci vuole un piano: non posso continuare a improvvisare, sì insomma, sto andando a Canale 5.
Ora scriverò alcune semplici regole da tenere a mente per salvaguardare la mia carriera di scrittrice, evitando di commettere errori di cui potrei pentirmi per tutta la vita.
1. Prendi informazioni su chi dovrai affrontare.
2. Preparati uno straccio di discorso.
3. Rilassa le spalle, tieni dritto il busto, e lo sguardo fisso sul tuo interlocutore.
4. Non dire troppi ‘ehm, forse, cioè, quindi, praticamente’.
5. Non gesticolare.
Gli ultimi due punti mi daranno filo da torcere, lo so, ma ho ancora un po’ di tempo per affrontare tutto questo. Nell’ultimo periodo ho deciso di gestire gli impegni con la stessa filosofia di Melissa: dando la priorità agli eventi, devo rimanere concentrata su una cosa per volta. Quindi, ora penserò al Party, poi a Gallucci.
Mancano quattro giorni alla presentazione, e sono ancora in cerca dell’abito giusto. Decido di andare in centro con Emma, lei ha la stessa sobrietà di Giaco: potrebbe rivelarsi utile per limitare i miei eccessi.
Carola rimane a casa con i nonni, con le stampelle e con le Barbie, noi partiamo.
Troviamo parcheggio in un punto strategico, vicino al quadrilatero della moda fortemarmina, ma dopo aver girato un’ora per negozi, non ho ancora trovato nulla che mi soddisfi. Che strano, penso, lo shopping è un piacere, ma quando assomiglia a un dovere, smette di essere divertente.
Rimpiango i tempi di quello compulsivo: com’era tutto più semplice. Ora invece, devo ponderare i miei acquisti, darmi un contegno: sono una signora.
Ma quella parola — seppure pronunciata a fil di voce mentalmente — deve aver offeso il mio amor proprio, che ha risposto al suo attacco con un ‘adesso ti faccio vedere di cosa sono capace’.
E fu così che l’eccesso ebbe la meglio sulla sobrietà — per l’ennesima volta.
Sono uscita dal negozio con un abito rosa shocking da fare invidia alla Schiapparelli.
Lungo, monospalla interamente ricoperto di piccole paillettes.
Lo immagino nell’insieme, vicino all’allestimento che è stato pensato per la festa. Quella copertina rappresenta una fonte d’ispirazione continua, non assecondare il suo volere potrebbe essere controproducente per gli affari. Con quel felice pensiero, che vorrebbe sollevarmi dal senso di colpa per aver bruciato metà del mio budget mensile destinato allo shopping, io ed Emma risaliamo in auto e torniamo a casa.
Quel bellissimo vestito lungo ha bisogno di un paio di sandali alti, se non vuole finire a pulire il pavimento, ma per quanto ami i tacchi e possieda abilità e disinvoltura nell’indossarli, il mio limite di sopportazione non supera le due ore. Ci vuole un cambio d’abito da portare con qualcosa di ultra piatto e ho già un’idea. Credo che opterò per quel pezzo di Jenny Packham, ovviamente fucsia, comprato al Tartaruga una decina di anni fa: a bustier, in raso, con cintura gioiello. Abbinato alle infradito nere di Positano. Deciso.
Il giorno della festa, tutto ciò che è stato organizzato nei minimi dettagli è pronto per essere vissuto, ma io mi sveglio con l’ansia.
È come se mi stessi sposando, anzi no, è come se stessi partorendo. O meglio, è come se stessi raggiungendo l’altare con le contrazioni: sono un tantino tesa.
Stamattina ho sentito gli ospiti d’eccezione che mi aiuteranno durante il travaglio nuziale e mi hanno confermato la loro presenza. Erri Despai sta tornando dalla Grecia, Alo Casini è partito con la sua band da Milano e Simone Ruscetta, il dj di Radio Bruno che abita dietro all’angolo, arriverà puntualissimo al Rigattiere per le diciannove e trenta.
Chissà perché, ma quel ‘diciannove e trenta’ mi fa sorridere: so benissimo che sarò in ritardo, anche se ancora non conosco la causa che lo provocherà.
Tutto va come da pronostico: arrivo alle diciannove e trentacinque e tante persone sono già fuori ad aspettarmi.
Avvampo, vorrei buttarmi dall’auto in corsa e farla finita, ma poi mi perderei la festa: preferisco aspettare che Giaco si fermi davanti al locale. Mi augura buona fortuna, lo bacio e scendo al volo pregando Gesù di non farmi inciampare. Lui mi ascolta.
Vedo Furio, Valeria e i bozzetti che ha disegnato a mia immagine e somiglianza. Sono esposti all’ingresso, vicino alle copertine in formato maxi, e sono splendidi. Corro ad abbracciarla e mi precipito dentro. Adriana, la mia lettrice di Modena, è sulla porta ad attendermi: mi emoziono. Tiene in mano un bellissimo bouquet di fiori fucsia, nell’altra qualcosa che assomiglia a un regalo. Com’è bella: ha un sorriso dolce, gli occhi felici, la stringo a me e mi fa lo stesso effetto di un’iniezione di coraggio.
Non è la sola ad aver percorso un po’ di strada per partecipare alla presentazione, Maia, Daniela e Vittoria si sono fatte due ore di macchina per stare con me. Ed ecco perché darò il massimo: sono qui per questo.
Lo staff di Partysserie ha avuto la brillante intuizione di riesumare il famoso passeggino di Fendi, che dopo essere passato in lavanderia, è diventato parte integrante dell’allestimento, insieme al trolley con la scritta PARTO.
A me non sarebbe mai venuto in mente di mettere in mostra le prove della veridicità dei fatti descritti nel libro, ma come dico sempre: a ognuno il suo. Le ragazze si chiamano Letizia e Grazia: anche i loro nomi sembrano studiati apposta per una ditta che organizza eventi.
Hanno ricoperto il locale di pagine di libri e di piccole bottiglie di vetro da cui sbucano i fiori che sono sparsi ovunque. Ci sono dei cartelli a forma di fumetto appesi al soffitto, su cui sono scritte alcune frasi di Prêt-à-bébé che ho scelto personalmente.
Mamma = Donna al quadrato.
Ci sarebbe arrivato anche Einstein, ma purtroppo era un uomo.)
Nessuno fa niente per niente, neanche Tinky Winky.
«Carola: ti presento il tetano»
«Chi è tetano mamma?»
«Un caro amico di papà.»
Tilla ha sposato Screensaver, la Secca ha sposato il fratello di Claudia, Claudia ha sposato il fratello di Tilla.
L’unica che è rimasta fuori dal cast di Dinasty sono io.
«C’era una volta una mamma che era diventata mamma per la seconda volta ed era tanto, tanto felice…»
«C’è la strega?»
No. La nonna Alberta non c’è.
Ammetto che questa cosa della strega avrebbe potuto offendere mia suocera — e in effetti si è offesa parecchio — ma poi le ho spiegato di averlo scritto con ironia, e credo che abbia capito. E mentre penso al suo perdono, arrivo in fondo al locale, nella sala del firma copie.
C’è un tavolo rettangolare adibito a scrivania. Le pagine dei libri la ricoprono.
Sopra ci sono due pile dei miei libri e una vecchia macchina da scrivere in cui è stato infilato un foglio che recita a grandi lettere ‘Prêt-à-bébé’.
Torno nella prima sala dove mi aspettano gli invitati e noto che anche Giaco e le bimbe sono arrivati, li raggiungo e l’evento inizia.
Me la faccio sotto.
Le persone che sono in piedi, di fronte a me, mi ricordano di quel gin tonic di salvataggio che ho fatto preparare poco fa, e a cui sarei ricorsa solo in caso di necessità: ora capisco che lo è. Mi faccio due sorsi e mi dirigo sicura verso lo sgabello che mi aspetta.
Mi ci arrampico con eleganza, ma non so cosa dire: sapevo che dovevo prepararmi uno straccio d’apertura. A salvarmi è Ruscetta che, seduto accanto a me, prende il microfono e la parola per presentarmi.
L’intervista intrattiene il pubblico più adulto, poi tocca ad Alo dare spettacolo: la tribù dei piccoli impazzisce e richiede a oltranza ‘Uomini che amano le donne.”
Tutti si divertono, ma sono io la più fortunata, seduta a quella scrivania a scrivere dediche ai miei amici. Era come volevo che fosse.
È mezzanotte passata quando gli invitati mi salutano, si è fatto è tardi: è ora di andare a dormire. A fine serata, la mia famiglia rimane con i ragazzi del locale che hanno fatto un ottimo lavoro, con Robbi, il mio Personal trainer di Sassuolo, con Claudia e Guido, suo marito.
Non smettiamo di ridere, l’euforia di questo piccolo evento ben riuscito sembra avere contagiato l’umore generale.
Alle due e quarto, carichiamo fiori e regali in auto, e torniamo a casa: suggerisco ventiquattro ore di sonno.
Giaco deve avermi preso in parola: si è accasciato a terra prima di entrare in casa. Peccato che avesse tra le mani il regalo di Luca e Paolo e che abbia fracassato il loro delizioso pensiero sulla stessa scala su cui scrivo tutti i giorni.
Prima di ridursi in frantumi, voleva essere una bellissima teca alla Paperon De Paperoni, che avrebbe dovuto contenere il frutto delle mie fatiche: la mia prima opera, ma pazienza.
Quando l’ho detto a Paolo, non smetteva di ridere. Si è offerto di regalarmene un’altra, a patto che non mi arrabbiassi con Giaco.
Ho accettato: adoro la solidarietà tra maschi, e poi non verrà mai a sapere che mi ero già arrabbiata.
Avrò dunque una nuova teca, una bellissima teca di plexiglas intonso, con cuscino incorporato, su cui potrò posizionare il mio primo libro: fantastico.
Ma a interrompere quel breve momento di felicitazioni tra me e me, è una musichetta che mi suona in testa gettandomi nel terrore: la colonna sonora di Profondo rosso, accompagnata da una cantilena stupida partorita dalla mia mente labile, che mi fa rabbrividire.
Ucci ucci, sento odore di Gallucci.
L’intervista è mercoledì: devo prepararmi uno straccio di discorso… è una questione di vita o di morte.
PRIMO CAPITOLO
Illustrazione di Valeria Terranova