Positano non ci sono librerie.
Anzi, mi correggo, non ci sono più.
La prima volta che sono stata qui con Giaco — e con la seria intenzione di concepire un bambino — ce n’era una sulla via che conduce al Marincanto, proprio sulla sinistra.
Ricordo perfettamente il libro che comprai quell’estate: ‘Sai tenere un segreto?’ di Sophie Kinsella.
L’ho amato per la piacevole coincidenza, per la trama spassosa e leggera, e ora che potrebbe essere il mio romanzo a regalare lo stesso sorriso a tante donne, non c’è nessuno che possa venderlo: è ingiusto. A volte vorrei avere un banco di assaggi, uno di quelli che si vedono al supermercato, dove una signora dall’aria convincente ti offre di provare un prodotto, e anche se io non accetto mai, potrebbe funzionare: so essere molto persuasiva.
Ho regalato alcune copie a un po’ di amici: a Gigia, ad Antonello, ai ragazzi della Cambusa, e a uno di loro in particolare: Ciro. Sua moglie aspetta il terzo bambino, un Prêt-à-bébé è quasi indispensabile.
Fisso i libri che ho portato qui con me, perfettamente impilati sulla scrivania, quando l’istinto mi suggerisce di affondare la mano nella borsa per riacciuffare il telefono. Apro Instagram.
Questo social è diventato una sfida personale: qui non mi esprimo come vorrei. Non ho il dono della sintesi — ecco perché i capitoli del mio libro portano i nomi dei film — e su Instagram è tutto ermetico, ma per quanto mi sforzi di essere comunicativa, proprio non mi riesce. È terribile sapere che manca qualcosa senza riuscire a capire che cosa. E mentre mi cruccio del mio deficit, mi accorgo di alcune notifiche che compaiono nella posta privata: vado a leggere.
Mi scrive una ragazza di Positano che si chiama Marilena: “Vieni a trovarmi in Boutique Theodora, sono una tua fan.”
Il suo negozio è vicinissimo, basta arrivare in Piazza dei Mulini e proseguire salendo su viale Pasitea; dal Marincanto saranno dieci minuti — e otto sono in discesa.
Rispondo che sono felice di incontrarla, fissiamo un momento che possa conciliare le esigenze di entrambe e ci salutiamo.
A conservazione finita, i libri sono dove li ho lasciati, ma smetto di pensare a loro: quella chiacchierata virtuale che si è appena conclusa mi offre lo spunto per una breve riflessione.
Continuo a stupirmi del fatto che le persone, a loro volta, si stupiscano se rispondo ai messaggi. È assurdo il contrario. Tutti gli artisti sono qualcuno perché hanno un pubblico. Se io scrivessi e nessuno mi leggesse, non avrei senso.
E a proposito di pubblico, domani sarà meglio spedire i cinque libri che sono stati vinti dai lettori in occasione del secondo contest di Prêt-à-bébé.
Mettere la sveglia a Positano non serve, qui basta socchiudere la porta a vetro del balcone e scostare le tende per concedersi un buongiorno differente.
Il rumore delle onde, la voce dei gabbiani, il tintinnio delle tazze che proviene dal piano di sotto dove si serve la colazione… inizio a sentire un certo languorino. E quando mi ricordo dei libri da spedire e della camminata che ci aspetta per raggiungere la posta, la fame aumenta. Sveglio Emma, ci vestiamo e scendiamo in terrazza.
È puro spettacolo. Anche quando credi di averci fatto l’abitudine, quella vista riesce sempre a sorprenderti: ci sono alberi di limoni sparsi ovunque, gatti che passeggiano tra i tavoli, e un senso di pace interiore che quasi spaventa. Si può essere più felici di così?
“Mamma, sei proprio sicura di voler andare fino alla posta?”
Emma mi riporta alla realtà: la felicità va meritata.
“Si Emma, ho detto che ci andiamo.”
“A piedi?” chiede sbuffando.
“A piedi.”
Scegliamo un tavolo, appendo la borsa allo schienale della poltroncina e abbraccio mia figlia dirigendomi al buffet.
In effetti, non posso biasimarla: questa cosa della posta ci ha un po’ scoraggiato.
La prima volta che abbiamo chiesto dove si trovasse, la reazione è stata alquanto demotivante. Abbiamo interrogato più persone e tutte ci hanno guardato con la stessa espressione traducibile in: non ce la farete mai.
Nonostante i positanesi siano cortesi e precisi, quando ci danno indicazioni, si preoccupano di suggerire alternative più rapide e meno sfiancanti, ma mi pare un’esagerazione: non si sta parlando di scalare l’Everest.
Usciamo dall’albergo cariche di buona volontà e ci incamminiamo. In una mano tengo la borsa dei libri, nell’altra, c’è quella di Emma. Mi si stringe il cuore. Chissà se tra qualche anno si vergognerà di compiere un gesto che è sempre stato naturale? Io ne soffrirò? Lo capirò?
Faccio un sospiro, la guardo, sorrido e mi godo il momento, lasciando le domande dove stanno, aspettando che sia il tempo a rispondermi.
Giunte al centro del paese, nella famosa Piazza dei Mulini, mi accorgo di una ragazza in divisa che dirige il traffico, ha il suo da fare, ma non posso fare a meno di raggiungerla per chiederle se quella che ho di fronte è la salita che porta alla posta. La vigilessa guarda Emma con compassione, poi sposta gli occhi su di me e bisbiglia: “sicure di non voler prendere l’autobus?”
Anche lei.
“Mi hanno detto che ci vorrà una mezz’ora a piedi…” mormoro nel tentativo di sottolineare che stiamo parlando di un nulla.
“Sì è vero… ma la strada è molto ripida.”
Cosa crede? Che non conosca Positano?
La ringrazio, la saluto e invito Emma a seguirmi, che si accoda senza replicare.
Alla quarta curva, una rotula è andata e un polmone è collassato.
“Te lo avevo detto mamma: spediamoli a Forte quando torniamo, ma tu niente…”
“Fammi riprendere fiato, ho guardato l’orologio alla partenza e dai miei calcoli, mancano solo venti minuti…”
Quel ‘solo’ pronunciato così, tra il disperato e lo speranzoso, induce Emma a offrirsi di prendere la borsa dei libri — quasi fosse lei la causa delle mie fatiche — ma preferisco tenerla io. Mi ravvivo i capelli come farebbe Sansone per riacquistare le forze e proseguiamo.
Dopo un paio di curve, sono di fronte a un bivio: destra o sinistra?
Vedo una signora anziana dall’altro lato della strada, prendo la mano a Emma per attraversare e una volta raggiunta, le domando quale sia la direzione giusta.
La donna porta un fazzoletto in testa per ripararsi dal sole rovente, ci guarda, sorride.
“La strada è quella.” dice indicando il lato destro. “Ma potete prendere le scale…”
Il suo dito cambia direzione, si sposta sulla sinistra.
“Vedete quel ragazzo che sta scendendo? Dovete prendere quelle e salire.”
Finalmente qualcuno con un spirito propositivo. Come ho detto, non si sta parlando di scalare l’Everest.
Alla terza rampa, ripida e interminabile, avrei voglia di tornare indietro.
Ma cosa dico? La sete mi sta facendo vaneggiare. Compio a fatica gli ultimi scalini e arriviamo in un altro piccolo centro di Positano: una tabaccheria, un’edicola e il bar internazionale.
L’insegna, che probabilmente viene prodotta in serie per tutta Italia, mi mette una voglia tremenda di acqua frizzante.
Mi sembra già di averla tra le mani: una bottiglietta appena squassata che mi esplode addosso regalandomi una doccia: sì, la voglio.
L’oasi mi chiama, ma la voce di Emma la sovrasta: “Mamma! La posta!” esclama.
Mi volto e la vedo. Potrebbe essere un miraggio, ma ne dubito: leggo la scritta POSTAMAT su una delle vetrate dell’edificio. E in un attimo, mi sento Claudio Bisio in ‘Benvenuti al sud’. Dimentico la sete e gioisco.
Mi sgranchisco le dita per migliorare la presa della borsa e attraverso la strada, seguendo Emma che, felice e contenta, si affretta ad aprirmi la porta.
Varco la soglia e non credo ai miei occhi: a parte i due ragazzi allo sportello, non c’è nessuno. Dov’è la fregatura?
“Tocca a me?” chiedo timidamente avvicinandomi.
“Certo signora, prego…” dice uno dei due.
La fregatura c’era: avevano finito le buste per i libri, così sono uscita e sono tornata alla tabaccheria per comprarle. Ma alla fine, sono riuscita a spedirli, a dissetarmi, e ripensando all’esperienza epica, mi sono fatta una bella risata.
L’abito di Valentino è tornato dalla lavanderia: non si è ristretto, non ha stinto, e fatta eccezione per quelle piccole ombre simili a gocce di pioggia che sono rimaste vicino alla scollatura, direi che è come nuovo. Ma sottolineo il condizionale.
Il computer di Ringhio, invece, è quasi da buttare. Me lo ha comunicato per telefono, dopo una seria di p****a t***a.
Io ho deglutito, le ho chiesto di calmarsi e di raccontarmi tutto per filo e per segno.
“Amo… hanno hackerato Ciro!”
C’è chi, prima di avere un figlio, fa pratica con i cani — come la sottoscritta — e chi preferisce usare la tecnologia, ma di fatto, Ringhio ha battezzato il suo PC.
Quando lo ha portato dai tecnici, erano in fibrillazione: non avevano mai visto un virus così letale.
Non vorrei sembrare esagerata, ma questo è un attacco a tutti gli effetti.
Qualcuno si è impossessato degli accessi di un marchio importante di moda, ha pescato una delle nostre mail, inviata due anni prima per iniziare una collaborazione con il blog, e ha risposto spendendoci un virus in formato zip. Se lo avessi aperto io dal telefono, tutti i miei file non ci sarebbero più. Ieri Instagram ha certificato il profilo, ora anche io ho il bollino blu, e sembra una coincidenza un po’ strana. Ma i tecnici sono riusciti a ripristinare la memoria e a recuperare tutti i dati: vorrà dire che mi toccherà festeggiare con un piatto di spaghetti alle zucchine della Cambusa.
Penso a loro continuamente, mattina, mezzogiorno e sera. Me ne farei un piatto anche ora.
“Mamma… abbiamo appena fatto colazione…” mi ricorda Emma.
“Lo so, ma sono buonissimi. E poi ho deciso che Prêt-à-bébé diventerà un best seller: devo tenermi in forze.”
Mia figlia ride. Non capisco se per la battuta o per la faccenda del best seller: meglio rimanere nel dubbio.
Con certezza, invece, ricorderò per sempre questa vacanza con Emma.
I nostri bagni al mare in cui mi chiede con insistenza di farla ridere, di raccontarle gli aneddoti della mia vacanza in Sicilia quando avevo la sua età, di ripeterle i piatti tipici in lingua originale. Le nostre cenette divertenti, le chiacchierate con le persone del paese che ormai conosciamo da anni, e con quelle che abbiamo appena conosciuto. I baci, gli abbracci e le lacrime che lascio qui, ogni volta che giunge il momento dei saluti. Ma più di tutto, non dimenticherò la frase di Emma, pronunciata la mattina prima della partenza: “Mamma, possiamo fare il replay?”
Illustrazione di Valeria Terranova