ono tornata da Carola e il suo piedino sta meglio. Martedì ha tolto il tutore — ufficialmente intendo — ma la frattura non si è ancora ricomposta. Che dire?
Qualsiasi bimbo schiavo di un tutore affermerebbe di star bene pur di liberarsene definitivamente. E qualsiasi mamma sarebbe disposta a credergli pur di vederlo di nuovo libero. Però non è andata così male. Lo scotto da pagare per non aver rispettato i tempi medici si è tradotto in una sola raccomandazione: niente corsa e niente tapis roulant per un mese.
Forse le ho fatto un favore.
E dopo aver scansato il primo senso di colpa, passo al secondo.
Dovrei essere felice per la mia carriera editoriale, ricevo tanti complimenti, le lettrici hanno preso a cuore il libro almeno quanto me, ma gli impegni di lavoro mi portano via tempo, anche quando lo trascorro con le bimbe.
A volte, è come se non ci fossi: fisicamente sono lì, ma la testa è altrove.
Scrivo. Scrivo capitoli di vita e liste di cose da fare per non dimenticarle. La giornata mi scorre davanti e nemmeno me ne accorgo. Vedo le mie bambine crescere, gli anni che passano a velocità supersonica, e la mia incapacità di fermarli mi procura uno stato che si riassume in un mix di tristezza e amarezza, mescolato al desiderio di una pacifica rassegnazione che non riesco a trovare.
La verità è che sono avida di vita, la spremo come un limone con l’intenzione di farne un concentrato di emozioni, ma non mi basta mai.
La locandina della presentazione è esposta sulla porta principale della biblioteca comunale del Forte:
03 AGOSTO 2019
ore 21,30
Giardino Riccardo Bacchelli
Biblioteca Comunale L. Quartieri
Presentazione del libro con l’autrice PRÊT-À-BÉBÈ – Diario di una mamma pronta a tutto.
Con il patrocinio del Comune di Forte dei Marmi.
E anche se lì non c’è scritto, questa volta saranno un paio di amici a presentarmi. Enrico e Antonino: il diavolo e l’acqua e Santa.
Enrico è spigliato, espansivo, con la battuta sempre pronta, Anto è più calmo, più riservato, più riflessivo. Io ed Erri siamo quelli che si tuffano di testa con dieci centimetri d’acqua, Anto, invece, ha sempre il salvagente a portata di mano, e ora mi sta guardando con l’aria di chi ha paura di affogare.
Gli ho chiesto di rilassarsi, di scansare le pressioni, e seppure mi renda conto che una raccomandazione simile, fatta da me, possa sfiorare il ridicolo, vorrei che vivesse questa esperienza con estrema serenità: è una cosa tra amici e sono certa che questo trio tirerà fuori qualcosa di diverso dai soliti standard. Ma il mio tono rassicurante non fa breccia nei suoi occhi, che continuano a fissarmi malamente.
“Sarebbe meglio avere una scaletta…” mormora.
Proprio adesso che avevo cominciato a mettermi nell’ordine di idee di ‘andare a braccio’? Gallucci non sarebbe d’accordo.
“Giusto Anto!” aggiunge Erri. “Anch’io vorrei mettere giù due righe.”
Se non altro, non posso dire che non abbiano preso la faccenda sul serio. E poi ho sempre amato i copioni: prendo carta e penna, ci sediamo e il brain storming ha inizio.
Siamo seduti a tavola, Antonino è alla mia destra, Enrico alla mia sinistra, la penna nella mia mano.
“Comincio io.” esordisce Erri.
“Comincia lui.” conferma Anto indicandolo.
“Vuoi essere tu ad aprire la serata?”
Mi rivolgo a Enrico, ma non è lui a rispondermi, è Antonino che lo anticipa.
“Certo! Lui è spigliato, espansivo, con la battuta sempre pronta…”
Credo di averlo definito allo stesso modo.
“Quindi, se siamo tutti d’accordo, inizierei dicendo che siamo qui per presentare il nuovo romanzo di Enrica…”
“In realtà è solo il primo.” preciso io.
“Il primo romanzo di Enrica.” sottolinea lui scimmiottandomi. “Poi dirò che la tua intenzione era quella di rivolgerti alle donne ma che hai acchiappato anche gli uomini…”
Scrivo ciò che dice, ma mentre l’inchiostro trasferisce sulla carta la parola ‘acchiappato’, l’indice di Anto mi blocca.
“‘Acchiappato’ fa troppo regina del rimorchio, io metterei: hai conquistato anche una fetta di pubblico maschile.”
Forse ha ragione: correggo.
“A questo punto intervengo io… dirò che il mio libro non è un manuale, è un romanzo dedicato non solo alle mamme, ma a tutte le donne, e che questa cosa del pubblico maschile è stata una grande sorpresa.”
La prima fase è decisa, passerei alla seconda, ma Anto, che non è stupido, sa che tocca a lui: deglutisce, tiene gli occhi atterriti fissi sul foglio, in cerca d’ispirazione nel nulla cosmico.
D’un tratto si alza, prende un bicchiere d’acqua, si risiede, lo sorseggia e dice: “Io ho amato la tua ironia, l’ironia nella vita è indispensabile e nel tuo romanzo è una costante. Perché?”
Qualcosina di più facile?
Ma ha colpito nel segno. Dietro qualsiasi domanda che ti viene posta, non c’è solo la curiosità nei confronti di quella singola domanda. Chi la pone non vuole sembrare inopportuno, ma se è abile, può fare leva su uno stato emotivo che potrebbe rivelarsi utile per farsi dire di più. E nel mio caso è così: potrei aprire un file indipendente e scriverne per giorni. Ma devo parlarne a voce ed è più complicato.
“Dirò la storia del bicchiere mezzo pieno, che prendere la vita con positività e immaginarla come un film aiutano a renderla migliore…”
“Posso fare una domanda?” mi interrompe Erri.
È già passato al punto tre?
“Chi è Chiara di Non è la Rai?”
Anche lui? È già il secondo che me lo chiede questa settimana.
“Non te lo dico.”
“Perché?”
“Ci conosciamo, ha letto il mio libro e si è pure complimentata. Se sapesse di essere lei l’antagonista, sarebbe imbarazzante.”
“Quindi esiste?” chiede eccitato.
“Certo che esiste. Tutti i personaggi sono veri. Per chi mi hai preso? Ho solo cambiato i nomi per non essere denunciata.”
“E non è che hai il suo numero?”
“Erri!” lo rimprovero.
“Ho solo chiesto!”
Anto ci guarda, ride: lui non sarebbe mai così indiscreto.
“Ma è davvero così gnocca?” mi chiede.
La mia bocca si spalanca, rimango di sasso: il diavolo ha contagiato l’acqua Santa.
O forse ha contagiato entrambi: senza dubbio nel look della serata. Tutti e tre ci siamo vestiti allo stesso modo: pantaloni e t-shirt di Prêt-à-bébé, stampate da Erri proprio per l’occasione. Se la casa editrice sapesse che ho preferito indossare lei, invece di un abito fucsia di Antonino, scelto apposta per me dalla sua ultima collezione, mi darebbe un premio fedeltà. Vedrò di metterla al corrente.
Abbiamo seguito la scaletta alla lettera: in particolare Erri, che ha tentato nuovamente di scoprire il nome di questa benedetta Chiara di Non è la Rai, chiedendomelo in pubblico. A sorprendermi non è stata tanto la domanda che mi ha messo in difficoltà, ma lo sguardo interessato di tutti uomini seduti in sala.
Non le bastava essere gnocca di suo, le mie descrizioni dettagliate le hanno pure conferito autorevolezza: grazie a me, ora, ha un curriculum da femme fatale. E non posso fare a meno di chiedermi: si può essere più scemi?
Ma ho riscattato il mio onore e la mia intelligenza, non ho ceduto: il suo nome non è uscito. Poi sono arrivati i punti quattro e cinque: l’intervento a sorpresa di alcuni lettori presenti alla serata; la lettura della recensione del Corriere, pubblicata pochi giorni dopo l’uscita del romanzo.
In entrambi i momenti, ho fatto in modo che altre persone parlassero al posto mio, non lo avevo mai fatto, mi è piaciuto, ma mi chiedo se sia stato per scansare il problema o se, piuttosto, perché il parere di un lettore suona come un suggerimento spassionato più che un consiglio per gli acquisti. E inevitabilmente, seppure siano le due di notte e abbia sonno, la mia mente non vuole saperne di dormire.
Ho riflettuto a lungo, continuo a riflettere, in pratica non mi do pace. Mi chiedo perché le presentazioni mi infondano uno stato di insicurezza, è come se avessi tante cose da dire — per giunta intelligenti — ma non riuscissi a tirare fuori con la voce, ciò che sulla carta mi risulta così semplice.
Cosa voglio dire ‘davvero’ al mio pubblico? Predico che la bellezza non sta nella perfezione, che fare del proprio meglio è la chiave della felicità, ma sono io la prima a non farmi bastare ciò che faccio. Sento l’esigenza di dare di più, e non perché fatico ad accontentarmi, è che in cuor mio, so che non sto facendo abbastanza. Riguardo i video e arrossisco per l’imbarazzo che trasmette il mio volto, per le mie frasi fatte: sono copioni a cui spesso e volentieri volto le spalle, mettendomi nella posizione di improvvisare: ma non faccio altro che modellare una base preparata che mi frena. Forse non sono una che va a braccio, ma amo andare a ruota libera.
Nelle interviste radio e telefoniche ci riesco: nessuno mi vede, mi rilasso, dico con parole mie, ciò che mi viene in quel momento. A volte mi lascio persino influenzare dall’andamento della giornata, le emozioni condiscono il discorso e il sapore è diverso. Forse dovrei fare una presentazione a occhi chiusi, magari con un paio di cuffie per immedesimarmi nella situazione ideale che tira fuori la vera me stessa… o forse, più semplicemente, non
dovrei fare altro che esprimere i concetti nell’unico modo in cui sono capace: raccontando.
Ho trovato un modo di scrivere che invoglia le persone a leggere, ho dato vita a un modello femminile che trasmette positività, che ascolta, che si mette in discussione, che fa tesoro degli errori, imparando da essi. Un modello di donna verosimile che asseconda il cambiamento e corre a prendersi la sua rivincita.
Alla prossima presentazione, credo che leggerò questo pezzo, sarà il primo step del mio ‘andare a ruota libera’.
Nel frattempo, ascolterò il mio corpo che mi sta implorando di prendersi una pausa.
Questa volta, non solo ho raschiato il barile, l’ho proprio perforato.
QUINTO CAPITOLO
Illustrazione di Valeria Terranova