orpresa. Sono solo sorpresa.
È questo che cerco di ripetermi nei dieci secondi che serviranno a Cassandra per entrare nel bar in cui sono seduta.
Devo levarmi dalla faccia l’espressione di chi ha qualcosa da nascondere. Rilasso i muscoli del viso e infilo il telefono nella borsa. Non si sa mai: gli ormoni potenziati di Cassandra potrebbero intercettare l’ultima chiamata.
La porta si apre, lei entra. Viene verso di me, e seppure il suo sorriso lasci intendere che sia venuta qui per una visita di piacere, le improvvisate non sono nel suo stile.
Anche io le sorrido, mi alzo facendole segno di raggiungermi, la guardo: è così raggiante che se qualcuno mi chiedesse di descriverla, direi che è un fiore in procinto di sbocciare.
“Ciao tesoro.” dice abbracciandomi.
Ci sediamo, una di fronte all’altra.
“Come mai da queste parti?”
“Ho appena finito la mia lezione di yoga e l’insegnante mi ha detto che hai prenotato una prova per domani… wow! Sono fiera di te!”
È vero che io lo sport ci siamo presi una pausa di riflessione, ma venirsi a congratulare di persona, mi sembra un po’ eccessivo.
“Sicura che non devi dirmi niente?” bisbiglia.
“No…” mormoro. “Perché?”
“Sicura, sicura?”
“Certo che sono sicura.”
Non è che sei incinta?”
“Che cosa?”
“La nausea dell’altro giorno, lo yoga… ho pensato che…”
“Non sono incita.” la interrompo.
“Okay, okay, era solo una domanda… e comunque non sono qui per questo.”
Deglutisco.
“Mi ha chiamato Mila stamattina…”
Perché ho la sensazione che la mia espressione piacevolmente sorpresa stia tentando di nascondere un disagio di cui ancora non comprendo la natura? Ma soprattutto: com’è riuscita a chiamarla se le avevo inviato il numero sbagliato?
“Ah sì?”
“Dice che il redazionale è stato rimandato e che presto mi comunicherà la nuova data di uscita.”
Sarò anche prevenuta, ma questa storia proprio non mi piace.
“Ti ha spiegato il motivo?” chiedo con finta nonchalance.
“Stavo per farti la stessa domanda: è stata così evasiva… tu ne sai niente?”
Avevo detto no alla menzogna, ma stavolta, preferisco finire all’inferno, nel girone dei bugiardi recidivi, piuttosto che farla soffrire.
“Non sento Mila dalla nostra giornata da Grazia. Proprio non saprei…”
Allunga la sua mano verso la mia, stesa sul tavolo, la afferra e dice: “So di chiederti un grande favore, ma devi informarti.”
E adesso? Vorrei tranquillizzarla, dirle che Luca ha già parlato a sua madre, convincendola a pubblicare la foto, ma se le parlassi di quel ripensamento, potrebbe tradurlo come un sabotaggio annunciato, e non avrei la forza di gestire una sua crisi ormonale nervosa.
“Forse hanno solo deciso di integrarlo, magari vogliono aggiungere qualche citazione del libro di Enrica. Per le cose belle, ci vuole tempo, e tu dovresti saperlo: aspetti un bambino… Andrà tutto bene.”
Difficile capire se si stia parlando di parto o di magazine settimanali.
La sua espressione preoccupata scompare, ma gli ormoni prendono il sopravvento.
“Invece credo che sarebbe meglio indagare, non puoi chiedere a Luca?”
“Anche lui ti direbbe la stessa cosa: ti stai preoccupando inutilmente. Presto sarai su quel giornale.”
So di non avere altra scelta, ma è come se la stessi illudendo: se Mila fosse davvero intenzionata a fare ciò che ha detto? Se avesse ingannato anche suo figlio?
Mi sento complice, mi sento in colpa.
“Avevo già sparso la voce.” sussurra disperata. “Che figura ci farò?”
“Non succederà.”
“Dovrei chiamare Enrica!”
Ecco il tono di chi ha appena avuto un lampo di genio.
“Mila lo avrà comunicato anche a lei e sicuramente avrà aggiunto qualche dettaglio: la chiamo!”
“No.”
Quella sillaba mi esce come un rantolo.
“Non ora.” mi affretto ad aggiungere. “Tutti gli scrittori lavorano in pausa pranzo. Non vorrai disturbarla!”
“E tu come lo sai?”
“Scrivevo una volta… tenevo un diario… e il momento migliore era sempre la pausa pranzo.”
Cassandra mi guarda con un espressione traducibile in: ma quando mai?
“È vero!” insisto. “Se proprio vuoi chiamarla, fallo più tardi.”
Quando sarò tornata in clinica — lontana dal suo sguardo inquisitore.
“Temo che ci sia sotto qualcosa.” conclude desolata abbassando gli occhi verso il pavimento. Devo cambiare discorso.
“Vuoi una tisana?”
“No grazie, ho solo cinque minuti. A proposito: giovedì abbiamo la prova per l’abito da damigella.”
Quale damigella?
“Mi hai chiesto di farti da testimone…”
“E tu hai accettato tutto il pacchetto: trucco, parrucco e styling a mia libera descrizione, è la stessa cosa.” precisa con un sorrisetto ironico.
“Dimmi che non è un abito color lavanda, ti prego.”
“Per chi mi hai preso? È rosa pallido: c’è una bella differenza.”
Il sopracciglio di sinistra si alza in modo quasi involontario: chissà come definirebbe quella tra bianco e nero?
“A che ora?” chiedo rassegnata.
“Mi servono due ore al massimo: dalle quattro alle sei, me le concedi?”
“Vedrò di liberarmi.”
Ammetto che questa storia dell’abito rosa pallido — che di mio non avrei mai scelto — mi consente di risparmiare tempo ed energia nella ricerca di una combinazione azzeccata che possa compiacere Cassandra. Se sarà lei a deciderla, non ci sarà alcun margine di errore, e potrò dedicarmi alla gestione della festa. Nello specifico, alle cicogne.
La mia auto si ferma davanti alla Falegnameria, alle diciotto e trenta in punto. Giusto in tempo per giudicare l’opera, tornare a casa e aspettare Luca, che stasera cucinerà per me.
Prendo la borsa, scendo dall’auto, mi dirigo verso il cortile: il furgone di Thor è parcheggiato vicino all’ingresso.
Entro e me lo trovo di fronte: bello come il sole in una giornata d’estate.
“Ciao, ti stavo aspettando.”
“Sono puntualissima.” dico sorridendo. “Vogliamo vedere le cicogne?”
“Volentieri.”
Si dirige verso il retro del negozio, lo seguo. Saluto Manny che sta parlando con un paio di persone e arriviamo davanti a una porta, su cui sta scritto ‘LABORATORIO’. Mi cede il passo, io entro.
La luce si accende e lì, di fronte a me, ci sono due affari che non saprei descrivere. Il mio sgomento è palpabile.
Mi volto verso Thor sperando che possa darmi spiegazioni, ma la sua espressione soddisfatta lascia intendere che stiamo valutando l’opera in modo diverso. Lui ci vedrà due cicogne, a me sembrano due dinosauri.
Mascella e mandibola del becco assomigliano alle fauci del Tyrannosaurus Rex. E il fagottino che il becco dovrebbe sostenere assomiglia a una carcassa ridotta a brandelli. Mi sento male.
“Vedi? Mancano le ultime finiture…”
Ultime? Voglio morire.
“Ho ancora due settimane, ma siamo a buon punto. Non trovi?”
“Be’, io non so niente dell’intaglio, ma sono un po’ diverse dal disegno che avevamo scelto…”
“Lo so: ancora non riesci a vederle, ma abbi fede: diventeranno due bellissime cicogne.”
Hemingway diceva che il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è dargli fiducia, e io non posso fare altrimenti.
Ci mancavano solo le cicogne preistoriche. L’allestimento del party sarà uno schifo, non posso nemmeno fare affidamento sulla gigantografia della foto di Cassandra, speriamo almeno che Britney abbia trovato un cuoco, o siamo fritte.
Il pensiero di una padella sul fuoco mi mette appetito. Sollevò il braccio destro dal volante e controllo l’ora sul display: forse Luca sta già cucinando. Vediamo se la voce del mio cowboy riesce a tirarmi su di morale.
Lo chiamo, ma il numero è occupato: starà ordinando giapponese da asporto.
E mentre suggerisco alla mia parte disordinata che stavolta sarà meglio liberarsi dei rifiuti, il telefono squilla: è Luca.
“Eccomi, ho visto la chiamata. Ero al telefono con mia madre.”
Ancora lei.
“Ha detto qualcosa della foto di Cassandra?” domando agitata.
“Perché me lo chiedi?”
“Oggi Cassandra è passata a trovarmi di proposito, per dirmi che tua madre l’ha informata di un probabile ritardo dell’uscita. Ma non le ha dato una data precisa… Non si sarà tirata indietro?”
“Le ho parlato, mi ha dato la sua parola, direi che possiamo fidarci.”
Com’è accomodante, a volte invidio la sua calma, seppure io stessa ne benefici.
“Tu pensi di non piacerle e invece ti sbagli.”
È così evidente?
“Non è vero…” mormoro.
“Le piaci. E tanto anche.”
Non saprei dire se sia un bene, le piaceva anche Cassandra, eppure.
“Ero al telefono con lei e sta organizzando una cena: la prossima settimana è il mio compleanno…”
Lo avevo dimenticato. E come se non bastasse, a ricordarmelo è proprio il festeggiato. Sono un disastro.
“Mi ha pregato di invitarti. Vuole che ci sia anche tu.”
Pregato? Addirittura?
Ha ragione Cassandra: c’è sotto qualcosa. Mila vuole incastrarmi, vuole che sia io a informare la mia migliore amica che la foto è saltata. Non starò ai suoi giochetti.
“Che gentile. Ma mercoledì…” mi affretto ad aggiungere, dopo aver fatto mente locale sul calendario, “avevo organizzato qualcosa di speciale… solo per noi…”
La mia voce flebile dovrebbe fargli capire che è giunto il momento di scegliere da che parte stare.
“Lei proponeva venerdì prossimo.”
Dannazione.
“Ah okay.”
“Le piaci…” bisbiglia. “Ti fidi di me?”
“Mi fido di te.”
E mentre rispondo imitando la principessa Jasmine — chiarendo implicitamente che è di sua madre che non mi fido — realizzo che non si tratta solo di sconfiggere la versione femminile di Jafàr, ma di cercare un outfit da combattimento: non sarà facile.
CINQUANTADUESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova