o e la family andiamo spesso a cena insieme, anche durante l’anno. I pranzi, invece, sono casi eccezionali e quelli che facciamo in spiaggia a Saint Tropez, sono diversivi dal sapore speciale. E come tutti i pranzi del sud iniziano alle tre del pomeriggio e si prolungano a oltranza.
Il tavolo è prenotato per le 15,15: ho puntato la sveglia per paura di appisolarmi al sole. Mi ci vorrà un po’ per riprendermi, capire dove sono e realizzare che lo strato abbondante di solare che mi ricopre si appiccicherà ai vestiti che dovrò rimettermi. Eppure, nemmeno questo riesce a dissuadermi. Dimentico la tintarella che ho lasciato a metà e passo dal bagno a rinfrescarmi. Infilo gli orecchini, metto il rossetto, la mascherina e raggiungo la family che mi aspetta a tavola. Quando ci sediamo, non vorremmo più alzarci.
È il terzo e ultimo pranzo della vacanza e qualcosa mi dice che lo finiremo in grande stile.
Più che ‘qualcosa’, a dirmelo è il corner di Missoni allestito alle spalle del divano su cui mi sono appena seduta. Sarà un caso, ma a volte ho l’impressione che lo shopping mi perseguiti. È lui che mi tampina. Fingo di ignorare il forte ascendente che Missoni ha su di me e cerco un diversivo: chiedo a Carola, che mi sta di fronte, se si è lavata le mani. Ed ecco che il costume stupendo che sono riuscita a intravedere, senza farmi notare — grazie agli occhiali da sole — è presto dimenticato. Ordiniamo.
I piatti arrivano e continuiamo a chiacchierare. Il tema: gossip familiari — perché tutte le famiglie, nel loro piccolo, sono un po’ come Dynasty. E poi che meraviglia poterne parlare senza bisbigliare, senza paura che qualcuno ci ascolti: siamo in Francia, non ci conosce nessuno e nessuno parla la nostra lingua. Una conversazione così è l’essenza della libertà di parola. Scherziamo, ridiamo, ci prendiamo in giro. Chiediamo il conto, salutiamo il mare, ma mentre stiamo per lasciare la spiaggia, do l’ultima occhiata al corner di Missoni e mi accorgo del commesso. Guardo i suoi occhi, la mascherina che indossa copre il resto del viso, eppure lo riconosco. Non ci penso due volte: mi avvicino e gli chiedo: “Do you speak Italian?”
Due lettere: SÌ e mi si ghiaccia il sangue. È il ragazzo che l’anno scorso lavorava da Hermès. Ho comprato un paio di sandali ed è stato la mia ancora di salvezza. Mi ha risparmiato la fatica di formulare frasi in inglese corretto e una faccia così non si dimentica. Mi scende un filo di sudore dalla fronte. Ha sentito tutto: ora anche lui conosce la nostra saga di Dynasty. Voglio morire. Confido sulla mia ironia: lei riesce sempre a tirarmi fuori dall’imbarazzo. Dopo un prevedibile: ‘ciao, come stai? Mi ricordo di te. Ah, si allora sei tu! Sapevo di non sbagliarmi…’ puntualizzo l’ovvio e gli dico che a tavola — naturalmente — stavamo solo scherzando.
“Sì, immaginavo, però mi sono fatto due risate.”
Emma, che è in piedi vicino a me, abbassa lo sguardo con un’espressione traducibile in: ‘vorrei sprofondare e la colpa è solo di mia madre.’ Lo salutiamo e giriamo i tacchi.
“Dovevi per forza chiederglielo?” bisbiglia imbarazzata, mentre raggiunge la navetta dell’albergo.
“Ormai aveva sentito… tanto valeva confessare!”
Emma non sembra convinta.
“Mettila così:” le dico, “avremo qualcosa di divertente da raccontare.”
Sapevo che l’ultimo pranzo della vacanza sarebbe finito in grande stile. Non avrei detto in Missoni e forse è andata meglio del previsto.
Illustrazione: Valeria Terranova