ofia è partita.
Davide è passato a prenderla stamattina, e quando è con lei, mi sembra quasi di rivivere quelle cinquanta sfumature di cioccolato. Ma appena Sofia esce dalla stanza, lui torna ad essere quello che è: un vile traditore.
Poi, arrivano le fasi, ancora.
Tutte nuove, tutte diverse.
Sofia mi ha dato un bacio per augurarmi buon weekend, da appena cinque minuti, e il mio cuore sta già alzando la mano per chiedere un chiarimento al cervello.
Ma se lui si pentisse — e si amputasse il mignolo del piede destro, in segno di ammissione di colpa — tu lo perdoneresti?
Non lo so.
Torneresti con lui?
No.
Nemmeno per il bene di Sofia?
La fase inquisitoria mi ha messo al tappeto, non mi fa bene stare da sola.
Attivo la fase: ‘Lazzaro, alzati e cammina.’
Faccio la valigia, salgo in macchina e vado da Michi.
Ho spento la radio, ho bisogno di pensare.
Ho due ore di tragitto e ci sono troppe cose da mettere in fila.
Accettare il fallimento di un matrimonio, reagire per continuare a essere una brava mamma, affrontare la delusione, rimettermi in gioco, ricominciare da zero.
Ma come?
Tutto insieme? Quanto tempo ho?
Meglio una alla volta: il mio matrimonio è distrutto. Stop. Reagire: è difficile. Stop.
Ricominciare da zero: impossibile, è tutta colpa sua. O forse no.
Ho già detto troppe volte che ho perso il mio lavoro, i miei amici e tutto il resto, ma è solo colpa mia: sono io che ho scelto come condurre la mia vita. E sono io la sola responsabile del risultato.
Anzi, credo che se avessi mantenuto il mio lavoro, gli interessi e le amicizie, forse, avrei reso tutto più stimolante, forse, non mi avrebbe tradita.
L’ultima frase, quella che chiude il mio discorso mentale, mi fa arrabbiare.
Non starò davvero pensando che me la sono cercata? Che me lo merito?
O a infastidirmi è solo quella parte di me, piccola piccola, che ogni tanto esce, cercando di giustificarlo?
Non ha giustificazioni. Avrebbe potuto parlarne, avremmo potuto risolverla, ma quando qualcuno non è più innamorato di te e ha voglia di altro, non c’è niente da fare.
Gli ho dato me stessa in modo incondizionato, non avrei potuto fare di più. E allora mi chiedo: se non è l’amore a essergli mancato, in cosa ho fatto cilecca?
Il mio aspetto? Andrea me la mangio a colazione. E francamente, credo pure di avere più argomenti, di essere più stimolante, ma se così fosse, Dave sarebbe ancora mio marito.
Sono io ad aver perso la mia sensualità? Troppo mamma? Poco moglie?
Donna e basta: questo avrei dovuto essere. Perché mi sono privata di tanto? Mi manca la mia vecchia vita.
Mi manca Olivia. Da morire.
Penso a lei ogni mattina, aveva ragione su tutto: la sua profezia si è avverata.
Vorrei odiarla, presentarmi in ufficio e dirle: ‘E ora? Sei contenta?’, ma la sola cosa che vorrei è stringerla — e supplicarla in ginocchio di riprendermi al suo fianco.
Ma temo la sua sincerità, e non sono pronta ad affrontare un altro rifiuto.
E poi, c’è una questione che merita un capitolo a parte: la mia storia con Michele.
Dopo il matrimonio abbiamo continuato a vederci. A concederci qualche weekend da soli. Ma quando è nata Sofia, è cambiato tutto, io sono cambiata.
Sono entrata nella parte: un ideale immaginario di madre e moglie perfetta, che non esce dall’ordinario, che vive in funzione della famiglia. Dimenticando che perfezione e noia, spesso, vanno a braccetto.
Mi sono allontanata dalla mia vita eccitante, per viverne una più tranquilla, più discreta, più mammifera.
L’ultima volta che io e Michele siamo usciti a cena, è stato sei mesi fa. Gli ho parlato della scuola, dei saggi di fine anno, delle gang di mamme rivali. Allora non sospettavo nulla, ero felice, appagata e giocavo con mia figlia alle Lego Friends, senza immaginare che mio marito, a modo suo, stava dedicandosi allo stesso tipo di attività ricreativa.
Michi era il solo a condurmi al di fuori della mia scatola di carta. Mi raccontava di Milano, della sua passione diventata un lavoro, del festival del cinema, ma nonostante ci rendessimo conto di essere su due pianeti opposti, fingevamo di essere gli stessi di sempre.
E mentre la mia auto arriva sotto casa sua, mi chiedo se ci sia ancora modo di salvare ciò che eravamo.
Il cancello di casa si apre, Michi deve avermi vista arrivare. Entro, parcheggio e raggiungo l’ingresso, trascinando il mio trolley. Lui mi aspetta sulla porta.
Sorrido, fingendomi trafelata più del dovuto, ma credo sia una reazione incondizionata per prendere tempo, per non arrivare dritta al punto.
Tengo gli occhiali da sole, gli basterebbe guardarmi in faccia per capire cosa succede, ma non sono pronta.
Il piede, che tengo immaginariamente sul pedale delle emozioni, tenta di frenarle, ma lui mi abbraccia e scoppio a piangere.
“Entra.” mi dice accarezzandomi i capelli.
Prende il trolley e mi cede il passo.
Adoro casa sua, è sempre stato il mio rifugio preferito. Mi siedo sul divano di pelle bianca, la testa guarda in basso, i palmi delle mani sono sulle ginocchia.
Avevo immaginato fosse più semplice raccontare la verità, e invece sto qui seduta, aspettando che sia lui a tirarmi fuori le parole tristi che gli ho risparmiato fino ad ora.
Anche questo è cambiato: mesi fa sarebbe stato diverso. È il mio migliore amico, l’amico fedele a cui ho sempre raccontato tutto, e se invece temessi il suo giudizio?
Mi asciugo le lacrime e raccolgo il bicchiere d’acqua che mi ha versato. Bevo, lo riappoggio sul tavolino e lui mi prende la mano.
“Che c’è?”
E la sua domanda mi fa piangere di nuovo. Sento il ritmo regolare dei singhiozzi che non riesco a frenare, sollevo il viso verso l’alto e le lacrime scivolano giù, sulle guance, bagnandomi i jeans.
Realizzo che, purtroppo, non stiamo più parlando di orsacchiotti rovinati, di bottiglie di Vodka misteriose, di ricordi confusi. La mia vita è a pezzi e io devo dirglielo.
“Mi tradisce da un anno con una ragazza più giovane, l’ho scoperto con un messaggio. È innamorato di lei, siamo separati.”
Lo dico tutto d’un fiato, convincendomi che questo accorcerà i tempi della sofferenza, ma non è così. Rimango in silenzio, aspettando la sua reazione, e anche l’attesa mi uccide.
Lo guardo: tiene gli occhi fissi sul tappeto, cosa sta per dire? Non apre bocca.
“Perché non dici niente?” gli chiedo d’impulso.
“Perché non so cosa dire, non credo di potermene uscirmene con un semplice ‘mi dispiace’, non credi?”
“Be’ sarebbe comunque più apprezzabile di un silenzio triste.”
“Allora, mi dispiace.”
Ha ragione: non mi basta. Voglio la verità.
Voglio sapere cosa pensa. Ho bisogno di saperlo.
“Perché è successo?” gli chiedo mentre sono sul punto di piangere.
“Il tuo matrimonio va a rotoli e chiedi a me perché? Non ti vedo da sei mesi, non ti riconosco da anni, e chiedi all’amico di cui ti ricordi vagamente, perché il tuo matrimonio è finito?”
Qui sembra che sia finita anche la nostra amicizia. E io non ne avevo idea.
“Sei arrabbiato con me,” dico guardandolo negli occhi “non è così?”
“Sì Eva. E so che un buon amico troverebbe un momento migliore per fartelo notare, ma il tuo atteggiamento è ridicolo.”
“Io non ti riconosco più. Cosa ti è successo?”
“Vuoi saperlo? Sei sicura?” mi chiede in tono provocatorio.
“Sono proprio curiosa…” lo incito, sottolineando la provocazione.
“Da dove cominciare? Vediamo…”
Michele prende il pacchetto di sigarette, ne accende una, e mette il gomito su uno dei braccioli, per concentrarsi meglio.
“Ti ricordi quando ti ho chiesto una mano per quel servizio di Vogue sugli accessori?”
Non mi ricordo niente.
“Al momento mi sfugge. Puoi ricordarmelo, per favore?”
“Una September Issue importante. Importantissima. Mi hai detto che Sofia doveva fare un vaccino e che non avevi tempo.”
Ho davvero detto così?
“Non ricordo.” dico abbassando lo sguardo.
E lì, mentre fisso le grafiche sul tappeto, sento che la memoria si sveglia e mi riporta a quel momento, ai suoi messaggi vocali, alle sue suppliche.
Non ne avevo voglia. Tecnicamente è come se lo avessi lasciato nei guai. Come ho potuto fargli questo?
“Non hai mai chiamato per chiedermi com’era andata, e visto che ci tieni a saperlo, te lo dico ora, dopo due anni, è andata bene. Grazie.”
“Mi dispiace. Sono sincera. Non so cosa mi sia preso.” dico allungandomi verso di lui per accarezzargli il viso.
Ma mi scansa, sembra furioso.
“Vuoi saperne un’altra?”
Non so se posso reggere ancora.
“Lo immaginavo. Sapevo che il tuo matrimonio sarebbe finito, e lo confesso, sì: ci ho anche sperato… volevo che tornassi a essere la Eva di prima.”
Ora è lui a essere sul punto di piangere.
Mi alzo, mi siedo in braccio a lui, e lo stringo a me.
“Anche tu mi sei mancato.” bisbiglio.
Siamo sdraiati sul divano da un’ora, e siamo già al secondo caffè.
Fiumi di chiacchiere, risate, confessioni indiscrete. Anni di vita vissuta e mai raccontata. E poi, le sue domande.
“Perché hai lasciato il lavoro?”
“Me lo hai già chiesto, ho già risposto.”
“Te lo chiedo adesso, forse la risposta è cambiata.”
“Hai ragione. Non lo so. Ma so che non avrei dovuto.”
“Sono felice.”
“Perché?” gli chiedo, tenendo il viso sul suo petto.
“Se sei disposta ad ammettere che hai avuto qualche problema di cervello, forse abbiamo ancora una speranza.”
Scoppiamo a ridere, poi sono io a fargli una domanda: “Quando ho smesso di essere divertente?”
“Non hai smesso di esserlo, ti sei solo appiattita.”
“Avevo dimenticato quanto pesa la tua sincerità.”
Gli sfugge un sorriso, sa bene di non risparmiarsi, specie con me. Mi guarda, sospira e ricomincia:
“Davvero non ti sei accorta di niente?”
Ecco la domanda che temevo più.
A questo punto, non sono più sicura di niente. Credo di essermi costruita un mondo immaginario in cui tutto andava bene, in cui non c’era nulla da temere, ma era solo il frutto della mia immaginazione.
“Il mio istinto dice no, la mia realtà distorta dice no, eppure, pensandoci bene…”
“Che cosa? Racconta…”
“In effetti, nell’ultimo anno, usciva più spesso del solito, rientrava più tardi, ma il giorno dopo, sembrava anche più affettuoso…”
“E ti credo! Eva, come hai fatto a non accorgertene?”
“Avresti dovuto vederlo: dolce, premuroso, puntuale…”
“Altri segni tipici di un tradimento, ti stava tenendo buona per fare i suoi comodi!”
“Ma anche con Sofia è sempre stato fantastico…”
“Altro chiaro segnale: doveva dimostrarti di essere un padre presente, impeccabile…”
Ha ragione. Per quanto ancora voglio continuare a ignorare la realtà dei fatti?
“Già, ho preferito credere che non ci fosse niente di grave, e invece…”
“Il passato è passato. Ora devi ricominciare.” dice Michi mettendosi seduto.
E io faccio lo stesso, devo starlo a sentire.
“Sapevo che lo avresti detto.”
“E togliti quel l’espressione miserabile dal viso, non è tua la colpa delle sue azioni.”
“Lo pensi davvero?” chiedo in tono morigerato.
“Certo. Non puoi ritenerti responsabile del suo tradimento, ma del tuo tracollo emotivo assolutamente sì.”
Adoro Michele: specie quando mescola la dolcezza alla severità, specie quando cerca di farmi reagire, sfruttando i suoi modi poco convenzionali.
Il suo protocollo è chiaro, anche se scritto tra le righe: metti una pietra sopra a questa storia e torna a essere la donna eccitante che conoscevo.
Facile dirlo, ma farlo?
“Cosa suggerisci?” gli chiedo esitante.
“È una domanda pericolosa, sicura di volermi dare carta bianca?”
“Non ti riferivi solo a un paio di dritte e stop, vero?”
“Se voglio tirarti fuori da questa situazione, ho paura che due dritte non siano sufficienti.”
Mi piace la sua determinazione. Sembra pure che abbia le idee chiare, sicuramente più di me, e in fondo, cosa ho da perdere?
“Okay, ci sto. Che si fa?”
Si alza, va verso la cucina, armeggia con la macchinetta del caffè e butta dentro una cialda, poi mi chiede:
“Ne vuoi uno anche tu?”
“Mi verrà un infarto, lo sai?”
“Se non ti ha ucciso questa storia, dubito che un caffè innocente possa darti il colpo di grazia.”
Ha ragione anche su questo.
Prendo la tazza che mi porge, verso un po’ di latte e sorseggio, aspettando il suo verdetto.
“Eva…” esordisce guardandomi negli occhi. “Da oggi cambia tutto.”
Detto così è un po’ troppo generico, ho bisogno di riferimenti.
“In che senso?”
“Allora, per prima cosa, devi riprendere il tuo posto da Blumarine.”
“Non posso tornare da Olivia a supplicare un lavoro.”
“Non essere sciocca. Olivia ti adora.
Hai fatto vendere al suo reparto milioni di pantofole in raso con inserti lapin, se sapesse che sei intenzionata a tornare, non ci penserebbe un secondo a riprenderti.”
“Tu credi?”
“Ne sono convinto.”
“Okay, supponiamo che lei mi rivoglia, come gestirò il mio tempo con Sofia?”
“Sofia ha un padre, un padre che hai appena definito ‘fantastico’, non dovrebbe essere un problema, per uno come lui, gestire una bambina quando la mamma è al lavoro. Sbaglio?”
“No…” dico confusa, “ma così facendo, potrebbe presentarsi l’eventualità che Andrea…”
“Chi è Andrea?” mi interrompe.
Avevo volutamente evitato di nominare il suo nome, ma a questo punto, credo sia necessario fare una sorta di presentazioni.
“Andrea è la new entry di Davide.”
“Bel nome.”
Lo fulmino con gli occhi, ma il mio cuore sorride: questo è Michele.
“Stavo scherzando.”
“Dicevo: se fossi occupata al lavoro, potrebbe presentarsi l’eventualità che mia figlia trascorresse del tempo con una donna — che è quasi una coetanea…” concludo isterica.
“E chi se ne importa? Dovrà succedere prima o poi…”
Ci sono quelle giornate in cui lui ha sempre ragione, su tutto: oggi deve essere una di quelle.
Devo accettare che è finita. Lui vive con un’altra e prima o poi conoscerà Sofia. E mentre fisso quel ‘poi’ nel punto più lontano di una linea del tempo immaginaria, Michele mi fa un’altra domanda.
Non l’ho capita, ero assorta nei miei pensieri, sì okay: non lo stavo ascoltando.
“Come scusa?” gli chiedo con il sorrisetto di chi non sta attento in classe.
“Devi venire con me a Miami.”
Scoppio a ridere.
Non credo che abbia capito che ho una figlia di cui occuparmi.
“A Miami. E perché?”
“Perché hai bisogno di staccare, di ritrovare te stessa, e poi c’è Art Basel.”
“Sarebbe bellissimo, ma Sofia?”
“Sofia starà a casa con le nonne e con il papà. E forse anche con Andrea, ma devi accettare questa possibilità.”
Sa che questo è un tasto dolente.
“Ma io…”
“Ho due biglietti, si parte tra una settimana: prendere o lasciare.”
“Solo una settimana? Ma devo organizzare tutto…”
“Basta ma.” Mi interrompe. “Eva, ascoltami: ho bisogno che dimostri a te stessa che sei di nuovo capace di prenderti i tuoi spazi.”
Lo guardo, so che non posso pensarci troppo. Credo che a modo suo, mi stia chiedendo di dimostrargli il mio amore.
“Fammici pensare, fino a domattina.” dico abbracciandolo.
“Hai fino a domattina.”
E mi schiocca un bacio.
UNDICESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova