elissa sei una stalker.
Ebbene sì, confesso.
Ma la colpa è solo di quel dannato libro che il mio cane ha inghiottito.
Non sono nemmeno sicura che se ne sia liberato, forse, qualche frammento è ancora dentro di lui.
Esci da questo corpo, dico mentre lo guardo scodinzolare come se niente fosse, e lì, capisco che è ignaro della possessione.
Dove ero rimasta? Okay: al fatto che sono ufficialmente una stalker.
Mi sono messa a cercare Jérôme Gautier su Google, questa è una cosa seria: è una missione, e le cose vanno fatte con strategia.
Se mi serve un libro autografato, devo accertarmi che chi lo ha scritto sia ancora vivo. Se fosse morto, tutto sarebbe risolto: mi basterebbe il libro che ordinato su Amazon — e un weekend in una SPA sul lago di Garda — per avere il perdono di Cassandra.
Mi sono immaginata il signor Gautier come un vecchio storico di moda, ormai vicino alla pensione, e pronto a fuggire alle Hawaii per godersi i giorni che gli restano da vivere. E invece, la prima voce che Google mi propone è il suo profilo di Instagram.
Scopro che è un tipo fichissimo e che ora lavora per Dior.
A me una cosa semplice? Mai.
Comunque, il fatto che sia vivo, mi porta alla seconda fase del piano: il messaggio privato.
“Caro Jérôme…”
Così non va bene, sembra che mi stia rivolgendo a un anziano.
“Ciao Jérôme…”
Molto meglio.
“Mi chiamo Melissa.
Ti scrivo perché ho un problema e solo tu puoi aiutarmi a risolverlo.
La mia amica Cassandra, che è una vera appassionata di moda, aveva comprato il tuo libro ‘Lessico dello stile’ e tu lo avevi anche autografato, ma il mio cane lo ha inghiottito. Parti del tuo libro navigano ancora nel suo corpo.
Ora, per avere il suo perdono, devo renderle il libro — che ho già comprato su Amazon a 75 euro — con il tuo autografo.
Quando possiamo vederci?
Fammi sapere
Fashionalmente…”
No.
“Cordialmente.”
No.
“A presto, Melissa”
Okay. Ora vedrà il mio profilo con quindici followers e mi segnalerà alle autorità di Instagram come un soggetto potenzialmente pericoloso.
Ma io sono pronta a rischiare: invio.
Domani torno al lavoro. Non vedo l’ora.
Il solo lato positivo della mia reclusione forzata è stato coccolare Max, che è rimasto al mio capezzale per tutto il tempo — ma solo perché facevamo gli spuntini.
Per tenermi impegnata quotidianamente in modo costruttivo, ho alternato le mie undici ore di Fox Crime, a una dedicata alla lettura del libro. Stento a crederci pure io, ma sono arrivata a pagina 54.
Lo so, è una cosa seria.
Cassandra non doveva sfidarmi: non mi piace perdere, specie quando si tratta di studiare.
Ho scoperto un po’ di cose.
Gabrielle lascia il convento quando ha diciotto anni e trova lavoro a Moulins, come commessa in un negozio di intimo e maglieria. Ad Aubazine ha imparato a cucire e nel fine settimana, per guadagnare un po’ di più, ripara calzoni da uomo per una sarta del posto.
Il lavoro è monotono e incapace di procurarle grandi ricchezze, ma Moulins, nonostante sia lontana dalla Parigi che sogna, ha comunque le sue distrazioni.
Gabrielle è giovane e carina, e presto, comincia a flirtare con gli ufficiali che le portano i pantaloni a rammendare.
La invitano a vedere gli spettacoli di cabaret, dove le ragazze sul palcoscenico intonano canzoni allegre.
Coco sa di avere un corpo piccolo ed eccitante, e quando lascia il lavoro di commessa, lo fa per entrare nel mondo dello spettacolo.
Nei primi anni del Novecento, l’ideale di bellezza continua a essere la donna voluttuosa, ma inizia a diffondersi la passione per le donne con un corpo un po’ infantile, e Gabrielle incarna quell’immagine alla perfezione.
Impara a ballare, a ondeggiare i fianchi nel modo giusto, e con i suoi primi spettacoli, si guadagna pure il soprannome con cui il mondo la conoscerà: Coco.
È la canzone di uno dei suoi cavalli di battaglia: “Qui qu’a vue Coco, CoCoRiCo”.
Esibirsi in un teatro, circondata da un pubblico di uomini belli e galanti, è eccitante e uno dei suoi ammiratori diventa il primo dei suoi amanti.
Coco rimane incinta, ma lui non vuole saperne di sposarla. È un’attrice da music-hall, non è il modello di madre e moglie per un uomo rispettabile.
Étienne Balsan è un ricco ufficiale che alleva cavalli di razza, la sua famiglia rifornisce di tessili l’esercito francese, e presto erediterà una fortuna.
È bello, innamorato delle donne e generoso: aiuta Coco a liberarsi del bambino e le offre la posizione di seconda convivente.
Gabrielle valuta l’offerta: può scegliere tra una vita di fatiche, e una di dolce far niente in una villa di campagna, e disdegnare la più semplice non è da lei.
Negli anni in cui vive da Étienne a Royallieu, Coco legge romanzi rosa e impara a montare i purosangue del suo amante, ma non le basta.
Sa bene che il suo aspetto non rimarrà per sempre quello di una ragazzina, la vita scintillante di attrice continua ad attirarla, ma Étienne si oppone. Coco rilancia: può mettere a frutto la sua abilità nel decorare cappelli, e lui la accontenta.
Ed è così che Coco inaugura il suo primo negozio di modisteria a Parigi — al pianterreno della casa del suo amante.
Il lavoro va a gonfie vele e, un anno più tardi, Gabrielle chiede a Étienne un prestito per ampliare i suoi affari, ma lui glielo nega.
Lei è l’amante, un ex ballerina di cabaret, in un ambiente aristocratico, una donna che vuol fare carriera non è accettabile.
Poi, all’improvviso, arriva Boy: l’uomo che le cambierà la vita.
Arthur Capel è un industriale di Newcastle, impegnato nell’esportazione del carbone, tutti lo chiamano Boy ed è un amico di Étienne.
Coco se ne innamora a prima vista e i due amici, come due gentiluomini che si scambiano un’amante, si accordano perché sia Boy a occuparsi di lei.
Buono quanto bello, generoso quanto ricco, arguto quanto nobile. Tutto ciò che fino a quel momento le è mancato, ora è davanti ai suoi occhi: qualcuno le sta dando importanza.
Boy asseconda le sue idee, decide di sostenerla finanziariamente, e nel 1910, Coco apre la sua modisteria nel famoso numero 21 di Rue Cambon a Parigi: una piccola strada sul retro dell’hotel Ritz.
Boy vuole che tutto il mondo conosca Coco e il suo modo di vestire le donne.
Chanel si ispira a quelle con cui si confronta: sono loro a farle capire cosa è necessario cambiare.
Rigide nei loro abiti da parata, simili a bambole decorate dalle forme eccessive, sepolte nei fronzoli, intrappolate nei loro corsetti. Schiave di una moda tra le più faticose. Coco le libera con la prima delle sue regole: l’eleganza sta nella libertà di muoversi.
Pensa ai suoi bisogni, al suo desiderio di comodità e non inventa una moda, ma si limita ad esprimere il suo stile: preciso, semplice e con la sola pretesa di essere piacevolmente portabile.
E così facendo, incuriosisce chi non è abituato a vederlo, fornendo lo strumento con cui riscoprire la gioia di movimenti sinceri.
Sono arrivata alla conclusione, che è inutile negare che l’aspetto non abbia importanza.
Le persone ti giudicano per il modo in cui ti vesti, e non è per superficialità — se non in senso letterale.
Anche Cassandra che mi vuole bene lo fa, e anche io, ‘Melissa dallo stile discutibile’, mi faccio un parere su ciò che gli altri indossano.
So cosa mi piace e cosa non mi piace, e so riconoscere chi ha uno stile piacevole e ricercato, anche se non assomiglia al mio.
Se sono capace di riconoscere un pezzo che indosserei con piacere, da uno che non mi metterei manco morta, significa che anche io possiedo uno stile: è solo che non so come sia fatto.
Il mondo d’intendere la moda di Coco mi piace. È tutto semplice, niente che sia scomodo, ingombrante o troppo vistoso.
Le donne si muovono, vivono, e devono essere libere di fare ogni cosa: l’abito deve seguire il movimento del corpo, senza intralciarlo.
Mi alzo dal letto, infilo le ciabatte e mi dirigo decisa verso il mio armadio.
Quello che sta per succedere, non era certamente nella ‘lista di cose da fare questa settimana’, ma mi sento ispirata.
Pensa basico, come faceva lei, mi dico dopo un gran sospiro, usa la semplicità con eleganza, — e liberati dei maglioncini infeltriti.
E mentre faccio per aprire le ante e individuare i pezzi bianchi e neri, che insieme potrebbero dare vita a una combinazione sensata con cui andare al lavoro domani, il telefono che sta nella tasca della mia vestaglia vibra.
È un messaggio di Giulio.
“Ciao Melissa, come stai? Oggi è arrivata la nuova tirocinante…”
Me ne ero completamente dimenticata.
È stato gentile ad avvisarmi, vediamo di saperne di più.
“Che te ne pare?”
“Chi l’ha scelta?”
Quando rispondono a una tua domanda con un’altra domanda, significa che qualcosa non va.
“Ho lasciato il compito ai ragazzi, perché me lo chiedi?”
“Sicura di volerlo sapere?”
Ci risiamo: un’altra domanda.
“Giulio, dimmi che succede. Non è preparata? Combina guai?”
“No, no, al contrario: è puntuale, precisa.”
“E?”
“Melissa: assomiglia a Britney Spears in ‘Oops! I did it again’… senza tuta di lattice.”
La faccenda è seria.
“I ragazzi come l’hanno accolta?”
E anche se una parte di me vorrebbe sentirsi dire ‘a pesci in faccia perché è l’ultima arrivata’, l’altra sa bene che è impossibile, per almeno due ragioni.
La prima: il nostro team è fantastico.
La seconda: il nostro team è composto quasi totalmente da dottori di sesso maschile, dubito che una ragazza carina sia diventata vittima di bullismo.
“La adorano tutti.”
“Era quello che volevo sentire.” scrivo fingendo di interpretare la parte di chi non ha nulla da temere. “Ci vediamo domani.”
Rimetto il telefono in tasca ed è come se
l’arrivo di ‘Britney’ avesse messo in castigo la mia buona volontà.
Ci mancava una donna favolosa con cui lavorare fianco fianco: la differenza tra chi cura il proprio aspetto e chi proprio non ne vuole sapere sarà ancora più evidente.
E se Marcello tornasse?
Posso fare qualcosa, devo fare qualcosa.
Ora, decido cosa mettermi.
In fondo, devo pur vestirmi, meglio scegliere qualcosa che abbia un senso.
E poi come si dice? Feriti dentro, belli fuori.
QUINTO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova