iaco non è Mister Big… Che uno si immagina il marito della scrittrice, ma io sono Made in Italy, e in Italia siamo diversi. Inizio dicendo che mi ha chiesto di sposarlo davanti a un cassonetto, ma almeno si è presentato all’altare: non è poco. Lui è quello che non spegne mai le luci, che non chiude mai gli armadi, che non rimette mai — e dico mai — la tavoletta del water in posizione di origine. Quello che se hai paura di volare, ti fa coraggio dicendoti che ha appena visto un’ala compromessa, che teme un guasto al motore, che è meglio allacciarsi la cintura. Stiamo precipitando. Ti amo. Ciao. Quello che dice che mezzo mondo è da vendere, l’altro mezzo da comprare, e noi ci siamo divisi i ruoli, senza litigare. Quello che sceglie di fare servizio civile per rimanere vicino a casa, e poi gli assegnano una destinazione lontana duecento chilometri: Castelfranco di Sotto — provincia di Pisa. Quello che riceve i regali, si finge commosso, e poi scopri che li ha rivenduti a parenti o amici per monetizzare. Quello che gli ritirano la patente, io lo scarrozzo a destra e sinistra, e quando gli chiedono chi gli fa da autista, lui risponde: mio fratello. Quello che in Sardegna ordina un dolce al cucchiaio, ma glielo servono ghiacciato, con forchetta e coltello. Quello che a Positano scende dalla scalinata della vasca idro-massaggio, come un sirenetto avvolto nell’asciugamano, e cade rovinosamente rompendosi un braccio con lo spigolo di un gradino. Quello che si incarta a dire m&m’s, David Beckham, e trentatré trentini andarono a Trento tutti e trentatré trotterellando. Quello che una volta mi ha lasciato con una lettera. L’avevo letta mille volte, e la parte in cui diceva di ‘volersi legare a me slegandosi’ non era chiara. Si stava arrampicando sugli specchi.
“Uno come lui lo ritrovo quando voglio.” dico furiosa mentre strappo la sua lettera.
Mi faccio prendere dal momento, non importa se sono in classe, se Rossi, il mio Prof di diritto, sta nel bel mezzo della spiegazione tra quello pubblico e quello privato. Io me ne frego. A fatto compiuto, le dita tamburellano sul banco e gli occhi fissano il mucchio di foglietti strappati, che vorrei già aver buttato nel cestino, ma un po’ mi pento di aver fatto a pezzi la sua lettera di addio. Ripongo il puzzle in modo ordinato sul banco, e uso lo scotch per rimetterla insieme. Sto per finire: mancano solo quattro righe, ma prima che possa fissarle, Rossi si avvicina guardandomi risentito. Credo che sto’ scotch gli abbia veramente rotto il cactus. Hai presente quando la puntina del giradischi salta, si sente un graffio, e la musica si interrompe? Ecco questa è la mia scena, e lui sta per dire qualcosa:
“Eh, Alessi, per cortesia, lo vai a fare fuori il bricolage?”
“Scusi.”
Attacco velocemente l’ultimo pezzo, e fingo di stare a sentire, mentre i miei pensieri viaggiano altrove. Immagino il momento in cui affronterò Giaco, in cui gli dirò che non posso essere solo un’amica per lui, che non posso accettare la sua offerta. Se non mi ami, non ti voglio. Ecco cosa gli dirò. Ma prima che possa congratularmi con me stessa per gli attributi che ho messo in questa fase del ‘trattamento di fine rapporto’, Rossi mi mostra i suoi:
“Alessi…”
“Sì.” dico mettendomi sull’attenti.
“Lunedì ti interrogo.”
Pure. La mia vita è uno schifo. La campanella segna la fine dell’ora e quella di questo sabato mattina da incubo. Esco da scuola, e lì nel parcheggio, vedo Giaco che mi aspetta. Cosa vuole da me? Le sue intenzioni sono chiare, le ho lette senza tralasciare una virgola, ora vado da lui e gli sparo la frase ad effetto che ho imparato a memoria, ma è lui che sta venendo da me, ed è lui il primo a parlare:
“Mi dispiace, ho sbagliato. Dovresti strappare quella lettera, ci sono scritte cose che non penso. Vuoi tornare ad essere la mia ragazza?”
“Okay, va bene.”
Diciassette anni io, diciannove lui, pace fatta, quasi per sempre. Giaco non è Mister Big, è Big e basta. Quello che ha deciso di lasciare a me la penna, mettendo il cuore in tutto il resto.
Illustrazione: Valeria Terranova