ieci anni di matrimonio sembrano un traguardo, un traguardo che deve essere premiato con una piccola vacanza a Portofino. Il weekend della vita — e quello dei suoi risparmi — ma dieci anni di matrimonio sono pur sempre dieci anni di matrimonio: festeggiamo. Sono entusiasta, voglio fare le cose in grande, non mi accontento di un hotel qualsiasi, voglio un albergo splendido e a Portofino, il più bello si chiama proprio così. Cerco il numero di telefono, chiamo e attacca la canzone di Fred Buscaglione:
“Lo strano gioco del destino, a Portofino m’ha preso il cuor.”
La canzone continua, ma diventa un leggero sottofondo che accompagna la voce della signorina che risponde in automatico: “Albergo Splendido, i nostri operatori sono momentaneamente occupati, la preghiamo di rimanere in linea, per non perdere la priorità acquisita, grazie.” E riparte Fred: “I found my love in Portofino, quei baci più non scorderò…”
Dopo aver selezionato l’interno desiderato, risponde Ilenia dell’ufficio prenotazioni.
“Buongiorno, come posso esserle utile?”
Vorrei rispondere: ‘mi dia una stanza gratis’, ma apro una trattativa e riesco a riservare — con pagamento anticipato — una matrimoniale Classic con vista sugli spogliatoi del personale. Il giorno della partenza, sono felicissima. Arriviamo dopo tre ore, scendiamo dall’auto e veniamo accolti da uno dei fattorini che ci conduce al ricevimento. Luca, lo leggo sulla targhetta che ha sulla giacca, ci dà il benvenuto.
“Buongiorno dottore… signora…”
Il suo sguardo passa da Giaco a me e io non capisco perché lo abbia chiamato dottore. Vorrei precisare che non lo è, ma un secondo dopo, un altro signore si avvicina al banco della reception e viene salutato nello stesso modo. Credo che ci sia una convention di medici e devono aver scambiato Giaco per uno di loro. Luca, che ha il viso sorridente, dopo averci chiesto i documenti, ci informa che lo staff ha deciso di regalarci un upgrade per l’occasione e di offrirci, allo stesso prezzo, una bellissima suite vista mare. Non credo alle mie orecchie e nemmeno ai miei occhi, quando entro in una delle stanze più belle che io abbia mai visto. Cerco di mantenere un contegno, anche se la mia indole suggerirebbe di fare un triplo salto di gioia, e dopo la consegna dei bagagli, mi precipito sulla terrazza. La vista toglie il fiato. Ammetto che non mi sarebbe dispiaciuta nemmeno quella sugli spogliatoi del personale, ma il mare color smeraldo, le palme altissime di un verde brillante e il frinire delle cicale danno a tutta la cornice un sapore decisamente più caratteristico. Apro la valigia, appendo gli abiti nell’armadio e metto un costume sul letto, da qui, si vede la piscina: ho voglia di fare una nuotata. Mentre mi cambio, qualcuno suona alla porta.
“Giaco vai tu?”
Non mi risponde, ma lo sento aprire, ringraziare e chiudere. Finisco di prepararmi e lo raggiungo nel salottino con una deliziosa mise giallo limone: abito lungo di chiffon, cintura fucsia in vinile, ciabattina da mare, bandana colorata, occhiali da sole, borsa in canvas. Tutto questo per arrivare in piscina, lascio immaginare per una comunione o una cresima. Sono di fronte a una poltrona su cui Giaco è seduto, dietro a un tavolino di vetro rettangolare. Vedo un cestello con ghiaccio, una bottiglia di vino bianco, due calici accompagnati da sottobicchieri e una busta per noi: ‘Signori Alessi’. La prenotazione è stata fatta a mio nome. Lo facciamo sempre, ma solo per semplificare le cose: il suo non lo capisce nessuno, il mio è più facile. È un po’ come viaggiare con un nome in codice: è eccitante. Il biglietto credo che sia dell’albergo, ma il pacco nero, infiocchettato di bianco, da cui sbucano le sei lettere più belle del mondo, è sicuramente da parte di Chanel. Sto cercando di spiegarmi come possa avermi raggiunto fino a qui e non ci vuole un genio per capire che c’è Giaco, dietro a tutto questo.
“Non sarebbe arrivato a casa in tempo… e volevo che lo avessi oggi.”
Lo dice con quell’aria da burbero, ma solo per nascondere il miele che sento nell’aria. Servirebbe dire che sono senza parole? Sono senza parole. Mi allungo verso di lui, lo bacio e glielo leggo negli occhi: muore dalla voglia di vedermi scartare il pacco. O almeno credo che il desiderio sia quello. Lo assecondo. Mi siedo, impugno i braccioli della poltrona, mi avvicino al tavolino e scaldo le mani, strofinando i palmi. La camelia di carta che sta al centro del fiocco profuma di Chanel Nº5. È così intensa, così decisa che pare voglia dirmi: ‘Prima, dovrai passare sul mio cadavere.’
Ammetto che toglierla di mezzo mi dispiace, ma la voglia di scoprire cosa c’è dentro fa di me una donna senza scrupoli. Appoggio il fiore sul comodino, preservando la sua dignità, e sciolgo il fiocco di raso stampato. La stoffa scivola via, lungo le pareti della scatola, si accascia e rimane immobile. Via libera: le mani afferrano la scatola con avidità, fingono di mantenere il controllo, ma fremono, quasi vorrebbero distruggerla pur di raggiungere il regalo. Stringo un oggetto sconosciuto avvolto da un triplo strato di carta: lo scarto alla velocità della luce, ma resta ancora una busta di cotone. È lei a farmi intuire cosa possa essere. Il sudore mi bagna la fronte, è stata dura, ma finalmente la vedo: una borsa in tweed e pvc con catena argento, lavorazione matelassé, logo centrale inciso a laser, fucsia, bellissima.
“Amore, non dovevi…” dico commossa.
“Enri, me l’hai chiesta tu…”
“Certo, ma ci sono cose che si dicono per circostanza.”
E mentre mi allontano, per togliermi dall’impiccio di ammettere che ha ragione, mi accorgo che nella borsa c’è un antitaccheggio. Come diavolo è possibile?
“Giaco, c’è un antitaccheggio nella borsa…” dico sgomenta mostrandoglielo.
“Giuro che non l’ho rubata.” risponde prontamente.
“Questo è ovvio.” dico in tono frustrato,
“Volevo dire: come ci liberiamo di lui?”
“Enri, dobbiamo rispedirla e farcelo togliere.”
Che cosa? Ora, che è quasi sulla mia spalla, dovrei rimetterla nella scatola e separarmene?
“Non se ne parla: è uguale al colore della cintura, la metto oggi.”
Decido di scendere e di farmi aiutare da Luca, ma quando raggiungo il banco della reception, c’è un altro concierge. Non importa, mi dico, ormai sono intenzionata a liberarmi dello stupido antitaccheggio e con aria decisa chiedo:
“Scusi, avrebbe un paio di tenaglie?
Lui mi guarda con un espressione traducibile in: sta scherzando, vero? In effetti, una donna che chiede un paio di tenaglie è scioccante quanto un uomo che chiede una lima per le unghie.
Giaco, che è dietro di me e sta assistendo alla scena divertito, pare non abbia nessuna voglia di aiutarmi a spiegare l’accaduto, decido quindi di mostrargli la borsa e di fargli capire il motivo della mia richiesta strampalata, senza prendere in considerazione la sua reazione: la unica possibile, la più ovvia, che lì per lì, mi coglie di sorpresa.
“Signora, ma la borsa è sua?”
Sta insinuando il contrario?
Divento rossa per l’imbarazzo: voglio morire, ma prima che Giaco possa intervenire per riscattare il mio onore ferito, Luca esce da una porta che sta dietro il banco e ci raggiunge.
“Dottore, cosa succede?” chiede premuroso.
“Nel pacco che mi ha fatto recapitare in camera poco fa, c’era questa borsa: il regalo di anniversario di mia moglie, ma purtroppo il negozio deve avere dimenticato di rimuovere l’antitaccheggio, può aiutarci?”
“Certo, prendo un paio di tenaglie.”
“Bastava spiegarglielo…” sussurra Giaco con una punta di presunzione.
Detesto dargli ragione, ma sono fermamente convinta che il mio destino sia quello di creare situazioni imbarazzanti da raccontare agli amici e nessuno può sfuggire al proprio destino: nemmeno io. Dopo un paio di minuti, la mia spalla si riappropria della borsa e seguendo le indicazioni, arriviamo finalmente in piscina. Ci accoglie un ragazzo vestito di bianco, ci consegna un paio di lettini, li posiziona di fronte al sole e stende gli asciugami. Ci saluta e ci lascia soli.
“Vieni a fare il bagno?” mi chiede Giaco.
Il suo entusiasmo mi ricorda quello di un bambino, ma la sua voglia incontenibile non è tanto per il ‘bagno’, ma per i tuffi. Lui adora fare i tuffi ed è convinto di essere bravissimo. Io, invece, adoro guardarlo perché la sua fierezza mi fa morire dal ridere. Scendo i gradini per seguirlo, lentamente, fingendomi non curante di aver lasciato la borsa incustodita, e mi preparo ad assistere allo spettacolo. Giaco si sistema la fascia elastica del boxer da mare, elimina l’eccesso di tessuto tra le natiche e porta il ciuffo di capelli dietro alle orecchie: sembra Nadal. Mi strizza l’occhio, fa un passo indietro e salta: splash. Il corpo riemerge e con lui il suo sorriso soddisfatto. Io, invece, sono pietrificata: l’uomo che vedo di fronte di me, dalla parte opposta della piscina, è il dottor Sloan di Grey’s Anatomy. Alla faccia della presunta convention di medici. Il panorama mozzafiato, che vede il blu profondo fondersi con il verde intenso, è niente confrontato a lui. E ora che faccio?
L’istinto mi dice: ‘corri da lui, abbraccialo, bacialo’, anche la ragione bisbiglia: ‘ma vai, quando ti ricapita? E mentre cerco di assecondarli, avvicinandomi con discrezione, arriva sua moglie.
Ho perso la mia occasione, per sempre. Non gli rivolgerò la parola, non gli stringerò la mano e non saprò mai che suono ha la sua voce. Giaco, che invece non ha alcun tipo di problema ad avvicinarsi alle star di fama internazionale, risale dalla scaletta, lo raggiunge e gli stringe la mano.
“Enri, vieni, guarda chi c’è…”
Neanche stesse parlando di un suo vecchio compagno di classe, la sua spontaneità mi mette quasi in imbarazzo, ma si meriterebbe un monumento per avermi restituito l’occasione che credevo di aver perso. Gli stringo la mano, ascolto il suono della voce — anche se preferisco quella del doppiatore — e sono felice. A seguire, una cena a lume di candela sulla terrazza del ristorante dell’albergo, una serata romantica, una colazione da campioni, una passeggiata per negozi e una visita a Santa Margherita. Il weekend del nostro decimo anniversario si è concluso con una compilation di momenti indimenticabili, ma nel nostro repertorio resterà quello in cui abbiamo conosciuto il dottor Sloan di Grey’s Anatomy.
Illustrazione: Valeria Terranova