e è vero che è una goccia a far traboccare il vaso, io sono il vaso, Olivia è la goccia.
Sono stanca di mettere la mia vita in fondo all’elenco delle priorità e sono stanca di fingere che ciò mi stia bene. Eppure, continuo a fissare la strada chiedendomi cosa ne sarà di Olivia e del suo matrimonio.
“Sei silenziosa.” mormora Paolo accarezzandomi. “Sicura che è tutto okay?”
No, affatto. Mia madre spunta all’improvviso dopo anni di assenza fingendo che, nel frattempo, il tempo si sia fermato. La mia famiglia si sta allargando senza avermi chiesto il permesso e il mio capo è così stupido da farsi sedurre da un ignorante che non sa neanche chi è Tom Ford: mi chiedo chi lo abbia assunto. Ma se rispondessi alla sua domanda con tanta sincerità, finirei per mandare all’aria l’unico momento di intimità che ci rimane.
“Il tuo collega non è proprio il massimo della simpatia.”
“No, per niente. Lo detesto.”
“Però mi sei piaciuta tesoro: lo hai messo a tacere con gran classe.”
“Grazie, ma la partita è ancora aperta: so che tenterà di convincere Olivia a entrare nel mio progetto.”
“E tu saprai come tenerlo alla larga.” conclude in tono rassicurante.
A rassicurarmi del tutto è stato il resto della serata. Quando sono con lui, dimentico il mondo che mi circonda. La sua presenza mi infonde positività, è come se i problemi svanissero, ma so anche che è solo un’illusione: prima o poi, dovrò trovare il coraggio di parlargli delle novità che lo riguardano e non sarà facile.
Ci penserò stasera, ora devo andare in ufficio.
La mia seconda mise da giorno è stata sacrificata ieri sera e forse è un bene: sono così agguerrita che mi servirebbe un’uniforme militare. Alla fine ho deciso di sfruttare il look d’emergenza che metto sempre in valigia. Non si può mai sapere cosa può succedere e i fatti danno ragione alla mia teoria. Bastano un paio di jeans e una camicia supplementari per tirar fuori un coniglio dal cilindro.
E lì mentre varco la soglia dell’azienda, dispiacendomi di non aver pensato anche a una pistola da tenere in borsetta, saluto Gigi in portineria e chiamo l’ascensore.
Raggiungo le grandi porte di cristallo, apro quella di destra e trovo Magda ad aspettarmi.
“Olivia è già arrivata?” le chiedo.
Lei e il suo imbarazzo vorrebbero rispondermi, ma non è necessario: le urla che sento provenire dal suo ufficio mi dicono di sì. “Cosa sta succedendo?”
“Non lo so…”
“Chi c’è con lei?”
“Javier.” mormora arrossendo.
Mi precipito verso l’ufficio di Olivia, sto per bussare, quando la porta si apre ed esce Don Juan De Marco.
“È tutta tua.” dice con sarcasmo allontanandosi.
L’ho vista arrabbiarsi tante volte, ma le sue grida non erano mai arrivate così lontano. È seduta alla sua scrivania con un’espressione traducibile in: ‘avevi ragione, sono stata una stupida’, ma noto con piacere che l’abito sexy di ieri sera è stato sostituto con un tailleur in tweed rosso di Chanel che le conferisce un tono decisamente professionale. Mi fa cenno di entrare, chiudo la porta e corro da lei.
Sto per togliermi la giacca, ma non me ne dà il tempo.
“Usciamo.” ordina afferrando la cartellina dei miei disegni.
Vorrei ricordarle che siamo sul posto di lavoro, che Serena sarà qui tra poco, che non possiamo abbandonare l’ufficio, ma non mi sembra il caso di contraddirla. Riprendo la borsa che ho abbandonato sulla sedia e la seguo in silenzio.
Siamo rimaste all’interno dell’edificio, nella famigerata stanza delle fotocopie, ma l’equivalente del retro della lavagna in cui vengono messi in punizione i bambini indisciplinati, ora sembra più un rifugio.
“Vuoi dirmi cos’è successo?”
Olivia, lontana da occhi indiscreti, abbandona la sua compostezza, mi abbraccia e scoppia a piangere.
“Sono una stupida! Una povera stupida.”
La compassione mi suggerisce di contraddirla, ma la razionalità prende il sopravvento. “Sei andata a letto con lui?”
Dimmi di no, ti prego, dimmi di no.
Olivia ritrae le braccia, le lascia cadere lungo i fianchi e abbassa il capo: temo che sia un sì.
“Sono stupida, ma non fino a questo punto.” mormora.
Ho appena tirato un sospiro di sollievo.
“E allora perché piangi?”
“Perché avrei voluto.”
“Sono dettagli.”
“Non sono dettagli. Ieri sera, mentre mi riaccompagnava a casa, sai cosa ha avuto il coraggio di dirmi?”
Dopo aver affermato che Tom Ford è roba vecchia, da uno come lui potrei aspettarmi chissà che, ma non so come spiegarlo: il semplice fatto che Olivia non abbia ceduto al suo corteggiamento mi fa pensare che sia tutto risolvibile.
“Calmati, siediti e raccontami.” dico offrendole una sedia.
Olivia si asciuga le lacrime, si siede, fa un bel respiro e continua a raccontare.
“Voleva che ti tagliassi fuori dal progetto.
Lei non ci serve, tu e io faremo grandi cose. Questo ha detto.”
Sono combattuta. Vorrei andare di sopra e dire a Toyboy cosa penso di lui, ma Olivia si è appena rimessa a piangere sul suo tailleur di Chanel: mi toccherà rimandare.
“Gli ho risposto che poteva f******i.”
I miei jeans non si offenderanno se mi inginocchio per consolarla. “Olivia.” sussurro abbracciandola. “Ora basta.”
“Non capisci? Chi credeva che fossi?”
Odio doverle aprire gli occhi, ma non ho altra scelta. “Non si è mai chiesto che persona fossi, voleva solo usarti.”
“Capisci?” esclama disperata. “Pensava di potermi manovrare! Di servirsi di me per sabotarti. Sono offesa, mortificata, arrabbiata.” conclude tra i singhiozzi.
Strano a dirsi, ma in quella fragilità riconosco l’integrità del mio capo che ho sempre apprezzato e che quell’essere ignobile ha cercato di corrompere.
“Basta piagnucolare.” dico imperante.
“Ti ho delusa, vero?”
“Tutti possiamo sbagliare, ma mi hai insegnato che certe persone meritano una seconda chance.”
“Già…” conferma sorridendo.
“Ricordati chi sei e dimentica ciò che poteva succedere. Sei la direttrice del reparto accessori e il progetto è mio: possiamo ancora uscirne vincitrici.”
Olivia annuisce.
“Ti dico cosa faremo: tu metterai da parte la tua crisi di mezza età e tornerai a essere il capo che conosco, e io andrò dalla signora Molinari a presentarle la collezione spiegandole le ragioni per cui la pelle non è prevista. Che ne dici?”
“Dico che dobbiamo toglierci dai piedi quel verme e che dobbiamo trasformare le tue sneakers in un successo senza precedenti.”
Così cominciamo a ragionare.
Stiamo per abbandonare il rifugio, ma prima di uscire, non posso fare a meno di porle quella domanda che mi tormenta.
“Solo una curiosità: posso sapere chi è stato ad assumerlo?”
“Lascia perdere.”
La signora Molinari è d’accordo con me: useremo il canvas, la seta e la spugna invece della pelle: il prodotto finale oltre ad avere un’etica, avrà anche un prezzo competitivo. Entrambe siamo certe che la mia idea andrà a ruba. Dopo averla ringraziata, esco dal suo ufficio piena di soddisfazione, ma prima di tornare da Olivia, devo fare visita a qualcuno.
Mi incammino lungo il corridoio e arrivo davanti all’ufficio di Javier: la porta è aperta.
“Posso entrare?”
“Certo, accomodati.”
Sto per ripensarci: la quantità di profumo presente in questo ufficio sta per soffocarmi. Mi faccio coraggio, prendo posto di fronte a lui e appoggio la cartellina con i miei disegni sulla scrivania.
“Senti: non so cosa ti abbia detto Olivia, ma il tuo progetto è geniale.”
“Sono qui per questo.” dico in tono incoraggiante.
“Abbiamo avuto una piccola incomprensione, è vero, ma se tu le parlassi e la convincessi a realizzare uno dei modelli in pelle, la collezione sarebbe un successo.”
“Non ho alcun dubbio.”
“Sapevo che saresti d’accordo.” mi interrompe alzandosi. “Guarda, ho appena recuperato qualche campione da mostrarti. Che ne pensi?” aggiunge porgendomeli.
Li guardo con attenzione, li appoggio sulla scrivania e prendo fiato.
“Be’, vedi, c’è solo un posto in cui potrei suggerirti di mettere i tuoi campioni, è che la mia educazione me lo impedisce.” dico afferendo la cartellina. “Di certo non finiranno sulle mie sneakers.”
“Questo è da vedere.”
Una volta, qualcuno ha detto che per
assicurarsi una buona riuscita, il bluff dev’essere condotto fino in fondo, fino all’esasperazione. Non c’è compromesso. Non si può bluffare fino a metà e poi dire la verità. Bisogna essere pronti ad esporsi al peggior rischio possibile: il rischio di apparire ridicoli e il mio istinto mi dice di rischiare.
“Io dico di no: come credi che la prenderà Olivia quando le dirò che hai falsificato il curriculum?”
Javier rimane di sasso.
“Stai bluffando.”
È la prima cosa intelligente che gli sento dire.
“Vedremo.”
“Non glielo dirai.” sbotta.
“In effetti, credo che informerò direttamente il capo supremo che chiamerà la polizia per denunciarti.” dico alzandomi.
“Non puoi farmi licenziare.”
La sua implorazione mi procura un brivido di piacere. Amo il mio sadismo saltuario.
“Lo farai tu stesso, hai tempo fino a domani.” concludo uscendo.
Quando Olivia ha detto che dovevamo toglierci dai piedi quel verme, non immaginavo di riuscirci in senso così letterale, ma il mio ego sta facendo i salti di gioia.
CINQUANTASEIESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova