ll’apparenza, il libro di Enrica mi era sembrato innocuo, ma di fatto, anche se sono rimasta ferma a pagina sette, il mio istinto materno è cresciuto in maniera esponenziale: non sono riuscita a separarmi dalla famigliola canina — nemmeno per un weekend.
Ritengo che in questo momento delicato, genitori e cuccioli debbano rimanere uniti, nel luogo a cui sono abituati: casa mia.
Il dottore ha sorriso, mi ha abbracciata e ha lasciato la bomboniera sul tavolo da pranzo: una slot machine ferma su tre cuori. Esiste niente di più kitsch?
Non saprei, però è originale.
“Cara Melissa,
finalmente stiamo per conoscerci.
Il mio volo atterrerà venerdì a Bologna alle 19,05. Io e Nicholas prenderemo un taxi per raggiungerti, puoi darmi l’indirizzo?
Ceniamo insieme?
Mi hanno suggerito un ristorante della tua zona molto famoso, dove si mangiano ‘I tortellini del dito mignolo’, lo conosci?
Fammi sapere
Un abbraccio
Jerôme”
Questo è ciò che vorrei dire, ma che per garbo non scriverò:
“Caro Jerôme, studierò il modo per passare in aeroporto a prenderti — visto che sono sprovvista di senso dell’orientamento — ma ‘I tortellini del dito mignolo’ te li puoi scordare. Ci ho lasciato il cuore in quel ristorante e non sono emotivamente pronta a rivivere il trauma: non se ne parla. Però ti propongo un percorso gastronomico più stimolante — specie per il fegato — fatto di gnocco fritto e tigelle, salumi e formaggi, tortelli burro e salvia, lasagne al ragù e torta Barozzi servita su un letto di mascarpone, ricoperto di scaglie di cioccolato fondente. Se sopravviverai, ti piacerà. Buona fortuna.”
Ora per davvero:
“Caro Jerôme, non sai quanto sia felice di incontrarti! Non servirà nessun taxi: verrò io a prendervi. Poi cercherò un ristorante carino per cena; quello che ti hanno suggerito ha una lunga lista d’attesa, ho chiamato, ma era al completo.
Fammi sapere il numero del volo.
Ti abbraccio
Melissa.”
Il gran giorno è arrivato: oggi esce Grazia.
Ed è anche stato il solo — dopo quasi due settimane — in cui Luca non ha occupato la prima posizione dei miei pensieri. Al suo posto, la madre e con lei il tanto atteso redazionale.
Mi sono svegliata presto, mi sono rallegrata per la bellissima giornata di sole e sono uscita con Max e Lolita per fare una passeggiata.
In realtà è stata più una corsa. La corsa disperata di chi non vede l’ora di arrivare, fregandosene del lungo periodo di inattività sportiva, della milza dolorante e del fegato che chiede pietà. Fatta eccezione per quella seduta di yoga che ho praticato solo per spionaggio, il resto del tempo l’ho passato sul divano: vergogna! Ma non sarà certo un po’ di fiatone a fermarmi: arriverò in edicola — a costo di farmici trascinare dai cani a peso morto.
Alla fine riesco ad arrivare con le mie gambe — e con un polmone collassato. Mario, lo stesso giornalaio da cui compravo le figurine da bambina, l’uomo che ha sfamato la mia adolescenza con i poster dei Big della settimana, mi aspetta al solito posto: all’interno di quella cabina di vetro che profuma di carta patinata.
“Le mie copie?” gli chiedo.
Che soddisfazione mettere insieme quelle parole e dirle ad alta voce. Stiamo parlando delle venti copie che ho fatto riservare — un po’ per affetto, un po’ per prudenza, un po’ perché Max potrebbe farne fuori qualcuna — convincendomi che alla fine, me ne resterà una sola, che custodirò segretamente in un cassetto, e che riguarderò quando sarò vecchia, ricordando i frammenti di quella giornata che fu piena di emozioni.
“Allora? Le hai?” chiedo trepidante.
“Non lo sai?”
Mi sento sbiancare.
“Che cosa?”
“Non è uscito… lo hanno ritirato dal commercio stamattina.”
Ora svengo.
“È uno scherzo!”
Le gambe mi cedono e non capisco se sia il fragore della sua risata a farle tremare, o l’accumulo di tensione.
“È uno scherzo! Tieni.”
Mario si abbassa e riappare con una pila di giornali: riprendo colore, le guance si scaldano, lo sguardo si illumina: è come se avessi di fronte il Santo Graal.
“Quelle passo a prenderle in macchina più tardi.” dico mostrando i miei due splendidi esemplari di bobtail. “Ora puoi darmi una copia extra?”
“Non vorrai finirle tutte?”
Mi volto e la voce che mi sta rimproverando è di Britney: mi ha seguita?
“Non sono tutte per me…” mormoro cercando di giustificarmi. “Volevo solo incrementare le vendite.”
“Stavo scherzando… Buongiorno Mario.”
Lo conosce?
“Ne vorrei una anch’io… Mi serve per la copisteria…” dice in tono professionale, mentre mi si avvicina sistemandosi la sciarpa intorno al collo.
Faccio scivolare la mano nella tasca del mio cappotto, le dita recuperano la sola banconota che ho con me e la porgono a Mario.
“Tutte e ventidue?” mi chiede lui.
Anche in edicola ci vorrebbe la linea di riservatezza: Britney mi guarda allibita.
E va bene, forse ho esagerato.
“Sì.” borbotto.
Mario ci consegna le copie. Cristina ha la sua, io la mia. Qui dentro c’è la foto per cui ho sofferto, e ora che ha la benedizione di Cassandra, non vedo l’ora di vederla. È un momento che vorrei gustarmi in santa pace tornando a casa, insieme a Max e a Lolita, magari davanti a un caffè e a una brioche con cui farò colazione, seduta al tavolino di un bar, dove i cani sono bene accetti.
Ma purtroppo, pare che dovrò rinunciare al momento speciale che mi ero illusa di potermi concedere: Britney si è già messa a sfogliare il giornale. Dannazione! Devo vederla per prima.
“Non la trovo.” dice in preda al panico.
E se non ci fosse? Se Mila ci avesse ripensato? Sto sudando, mi tremano le mani, il cuore sta facendo il solletico alle tonsille. Aiuto. Devo stare calma.
Infilo le impugnature dei guinzagli ai polsi, afferro la mia copia, la apro a metà e lì, al centro di Grazia: c’è il mio Big della settimana.
Cassandra, la mia migliore amica, è su uno dei magazine più letti d’Italia. Indossa un total look di Dior: abito plissettato rosa, ballerina e fascia per capelli dello stesso colore… è il mio idolo, è bellissima.
“L’ho trovata!” esclamo alzando le braccia, rischiando di impiccare i cani.
“Fammi vedere…”
Allungo la mia copia a Britney e lei sorride soddisfatta.
“È stupenda…” mormora.
Anche Mario sta per commuoversi, guardo l’orologio: è ora di rientrare. Mi congedo.
“Okay, devo salutarvi.” dico riprendendo la mia copia. Sto per sgattaiolare via, ma Cristina mi segue.
“Dobbiamo ancora pensare al regalo.”
“Regalo? La festa è un regalo, Jerôme è un regalo… serve un altro regalo?” chiedo accelerando il passo per seminarla.
“Serve un regalo simbolico…”
“Per esempio?”
“Uno spogliarellista.”
“Dimmi: dove e quando hai battuto la testa?” sibilo mentre mi volto per fulminarla con gli occhi.
“È un’idea carina…”
“È un uomo nudo…”
“È solo una distrazione.”
“Una distrazione che si spoglia.” preciso bisbigliando, mentre mi guardo attorno controllando che nessuno ci stia ascoltando.
“Quindi, che suggerisci?”
“Non lo so! Ma non uno spogliarello! Ti ho già concesso la torta Barozzi: diamoci un contegno. Al regalo ci penso io, tu pensa alle locandine, okay?”
Continuo a camminare convinta di aver risolto la questione, ma Britney è ancora al mio fianco.
“Jerôme?”
“Jerôme e il suo amico arrivano a Bologna domani sera, devo andare a prenderli in aeroporto.”
“Posso venire?”
“Conosci la strada per l’aeroporto?”
“Non benissimo, ma…”
Ho capito: la conosce quanto me, cioè per niente, ma se proprio devo perdermi, meglio in compagnia.
“Okay, andata!” Max e Lolita si rimettono in marcia e io con loro. “Ora vado o rischio di fare tardi, ci vediamo dopo in clinica.”
“Ultima cosa.” si affretta ad aggiungere. “Io e Letizia ci siamo sentite in questi giorni, riguardo ad alcuni dettagli dell’allestimento…”
“Ma non doveva essere a scatola chiusa?”
“Be’, diciamo che me la sono lavorata un po’ durante il sopralluogo… le ho dato qualche dritta in modo che potesse capire cosa avevamo in mente.” dice strizzandomi l’occhio. “E se sei d’accordo, passerà da te stasera alle sette per consegnarti il materiale. Che le dico?”
“Dille che va bene.”
Sono le sette di giovedì pomeriggio, tra poco Letizia sarà qui e non posso fare a meno di pensare che nonostante gli eventi difficili che ho dovuto affrontare nell’ultimo periodo, ci sono alcuni giorni dell’anno che sono destinati a essere speciali. Prendi oggi: è uscito il redazionale più atteso del secolo — di cui possiedo ventuno copie che ora sono sul mio tavolo da pranzo insieme alla slot machine del dottore — e Illy è stato il primo della cucciolata ad aprire gli occhi. E pare che abbia aperto anche i miei: sarà lui il regalo simbolo di Cassandra. Come ho fatto a non pensarci prima?
È sempre stato il mio preferito — nonostante la questione dell’albinismo inverso che non sono mai riuscita a dimostrare — è semplicemente adorabile e poi è un cucciolo: tutti i cuccioli evocano il concetto di famiglia e lei sta per sposarsi, non potrebbe esserci nulla di più azzeccato. Come glielo dirò? E quando? All’inizio della festa?
A mettere fine al mio stato di eccitazione/agitazione e il doppio trillo di telefono/campanello che giunge in contemporanea. Recupero il telefono, apro la porta: Letizia.
“Cara scusami, ma sono di fretta.” dice trafelata percorrendo il vialetto per raggiungermi, ma la voce arriva quasi in differita, se paragonata a quella che sento provenire dal cellulare: non so se riattaccare oppure o no, ora che mi sta di fronte.
“Vuoi entrare?” chiedo mettendomi il telefono in tasca.
“No, non posso! Ho un’altra consegna urgente, mi stanno aspettando dall’altra parte della città. Ti lascio il pacco con l’allestimento, controlla, ma sono certa che sarà di tuo gusto.” conclude lasciando il cartone sulla soglia.
“Non ti offro nemmeno un caffè? Un bicchiere d’acqua?”
“Proprio non posso, devo scappare… ah, dimenticavo: la torta sarà da ritirare sabato.”
Quale torta? Non c’era già la Barozzi?
“Ti ho lasciato il biglietto da visita della pasticceria, chiama e accordati per fissare un orario.”
E fugge via, chiudendo il cancello alle sue spalle. I miei occhi si abbassano sul pacco che mi è stato consegnato in modalità express e anche Max sembra curioso di sapere cosa c’è dentro.
“Non ci resta che aprirlo.” dico afferrandolo.
Do un colpo alla porta con il piede per chiuderla e appoggio il cartone sul tavolino del salotto, tolgo il telefono dalla tasca, mi siedo sul divano e inizio a scartare.
Se fino a ieri mattina, la cosa più kitsch che avessi mai visto era la bomboniera del dottore, a distanza di trentasei ore, devo ricredermi: questo allestimento la batte.
Tutti i bicchieri, i sotto bicchieri, i piatti e i tovaglioli portano la scritta in corsivo “Something good is coming”, peccato che sia accompagnata da una coniglietta mezza nuda di Playboy. E non è finita: della torta misteriosa — non ancora disponibile — c’è un’immagine stampata su un foglio di A4 che svela come sarà. Ma a spaventarmi non è tanto il Pan di Spagna con tre strati di crema Chantilly, ma il soggetto che qualche squilibrato ha suggerito di decorare sopra di esso: una Limousine nera e sul suo tetto, un gruppo di ragazze urlanti vicino a un uomo in mutande: devo uccidere Britney.
E mentre me ne sto lì, cercando di sostituire un omicidio premeditato con una chiamata dai toni accesi, il telefono che continuo a fissare con riluttanza, si illumina: c’è il nome di Mila sul display.
Mi pizzico la guancia per avere la certezza di non sognare: fa male, sono sveglia. Lo afferro e dico: “Pronto…”
“Ciao Melissa, sono Mila, ti disturbo?”
Si figuri. Ora posso smettere di pensare alle conigliette: ci sono questioni più importanti da risolvere.
“No no, assolutamente, come sta?”
“Sto bene, grazie.”
E Luca? Vorrei chiedere, ma lei mi precede:
“Ho saputo di Cassandra, posso immaginare quanto abbiate sofferto, mi dispiace moltissimo.”
“La ringrazio per aver deciso di pubblicare la sua foto e di aver convinto Cassandra a farla uscire: ora è più felice.”
“È l’immagine di un momento che qualcuno ha immortalato per l’eternità e seppure sia destinato a non tornare, sono certa che ogni volta che riguarderà quella foto, le restituirà un sorriso.”
Avevo pensato più o meno la stessa cosa.
“E poi tu e Luca avete insistito così tanto…”
A sentirla pronunciare quel nome, la scatolina di farfalle che il mio stomaco ha in dotazione, inizia a shakerare: mi sento sotto sopra. Immagino il suo viso, le sue labbra sexy, i suoi occhi caldi… Oddio sono eccitata. Come posso pensare di compiere atti impuri con il figlio della donna con cui sto parlando al telefono?
Smettila subito Melissa!
“Già, era bello quando entrambi volevamo le stesse cose…” mormoro.
Che ho detto? L’ho detto?
“Anche ora volete le stesse cose…”
“Come fa a saperlo?”
“Sei la ragazza che gli ha restituito il sorriso: non ti dimenticherà tanto in fretta.” dice in tono incoraggiante. “Ma pare che entrambi abbiate bisogno di riflettere su alcuni punti, e che entrambi desideriate capire come costruire le basi solide per la vostra felicità… senza lasciare nulla al caso. Le cose speciali, hanno sempre bisogno di tempo.”
Luca le ha parlato? Mi sta dando un indizio? Mi sta dicendo di aspettare? Perché non è più esplicita?
“In che senso? Come?” le chiedo.
Ma lei cambia discorso.
“Ho chiamato per dirti che mi piacerebbe fare un regalo a Cassandra per la sua festa di addio al nubilato.”
È un bel pensiero, ma non possiamo tornare un attimo al discorso precedente?
“Vorrei mandarle l’abito e le scarpe della foto, che ne pensi?”
Niente da fare.
“Credo che potrebbe svenire.”
“Le piacerà?”
“Non amerà nient’altro.”
“Mi fa piacere.” conclude soddisfatta.
“Le lascio il mio indirizzo? Vuole spedirlo qui?”
“Pensavo di darlo a Enrica che vedrò stasera, mi ha detto che sarà presente al party…”
Fatico a comprendere se in sottofondo ci sia un filo di risentimento in stile Maleficent per non essere stata invitata: meglio tagliare corto.
“Okay, perfetto!”
“Le dirò di chiamarti perché possiate accordarvi.”
“Grazie ancora…”
“Grazie a te, fammi sapere se a Cassandra piacerà.”
La chiamata si interrompe e seppure sia strano da credere, Mila ha cambiato l’immagine riflessa nello specchio che ho di fronte: non è più quella di chi stava imprecando contro Cristina e le conigliette di Playboy, ora è quella di una ragazza che sorride.
Non ho capito cosa stesse cercando di dirmi, so solo che ho una voglia pazza di chiamare Luca. E perché no?
Amarsi è condividere: non voglio sentirmi sbagliata se sento il desiderio di conoscere più profondamente l’uomo che amo. Mi sono innamorata di lui perché mi piaceva ciò che vedevo in superficie, ma ho iniziato ad amarlo per ciò che sta sotto di essa, per il cuore che ho sempre cercato di toccare. E amerò tutto di lui: anche ciò che non mi piace.
Lo chiamo. Sì, adesso lo chiamo.
“Melissa aspetta: non puoi gestire le sorti di una relazione, a due giorni da una festa che stai organizzando da mesi. Devi ridurre lo stress, una cosa alla volta.
Ora concentrati sul party di Cassandra.” disse Miss Lucidità uccidendo il mio romanticismo. E forse ha ragione.
Il giorno dopo, Britney si è giustificata dicendo che la festa aveva bisogno di brio, che si vive una volta soltanto, e che tutte le donne, anche solo per un giorno, vorrebbero essere una coniglietta di playboy. Ha insistito anche quando ho precisato che al party non saremo solo donne. Ha sostenuto che gli uomini sono i primi ammiratori. Come darle torto?
È riuscita a convincermi. Credo sia stata la storia del ‘si vive una volta soltanto’ a farmi cambiare idea. E se sulla carta — di piatti e bicchieri — Britney avrà la festa che ha sempre desiderato, anche io merito ciò che desidero.
Ho preso il pomeriggio libero e mi sono concessa un’ora di shopping nel negozio in cui lavora Cassandra per farmi un regalo. Poi sono tornata a casa, ho gioito del mio acquisto e per evitare i rimproveri che mia madre non si sarebbe risparmiata, anche in presenza di ospiti, ho pulito e riordinato casa: è tutto perfetto. Anche il mio look.
Ammetto che prendere qualcosa in prestito dalla piccola riserva che Cassandra ha lasciato in quell’anta con il post it: ‘presto tornerò a prendervi!’ mi procura sempre un certo brivido.
Terrore di provocare danni o gusto per la trasgressione? Non saprei, ma per incontrare Jerôme, ho scelto: una blusa verde bosco e blu notte, a fantasia geometrica, un paio di jeans scuri e un cappotto color cammello dalle maniche interessanti. Sull’etichetta di tutti e tre c’è lo stesso nome. Ho fatto ricerche, nel caso in cui Jerôme dovesse chiedermi: ‘che bello quel cappotto, di chi è?’, e ho scoperto che la stilista è figlia di Paul McCartney dei Beatles. Così, buona a sapersi.
Aggiungerò le mie décolleté indolore di Dolce & Gabbana, ma il pezzo forte che conclude il mio discreto assemblaggio, è la Signora Saddle in pelle nera con cui ho deciso di premiarmi due ore fa, dopo essermi detta: si vive una volta soltanto.
Enrica si è offerta di portarmi a casa il pacco di Cassandra, ho accettato con piacere e a quel punto, siccome è la sola a conoscere la strada per l’aeroporto, l’ho invitata ad accompagnarci e a passare la serata con noi. E contrariamente a quanto avrei pensato, quando le ho detto di Jerôme e del suo ruolo da ospite d’onore — che poteva essere suo — non solo l’ha presa bene, si è addirittura emozionata. Mi pare chiaro che tra scrittori non ci sia la stessa rivalità che c’è tra i rapper: meglio così.
Apro la porta e annuso l’aria come farebbe Max: è una serata tiepida che profuma di inizio primavera. È come se tutto stesse cambiando. Anche i fiori sono tornati sugli alberi e ogni volta che li vedo riapparire, dopo l’inverno che tollero a mala pena, mi sorprendo dell’effetto che mi fanno: una cosa tanto semplice e al tempo stesso tanto speciale.
“Dobbiamo scaricare le locandine.”
Il mio momento poetico è appena stato interrotto dalla sensibilità di Britney, che ha parcheggiato l’auto davanti a casa mia. Enrica è con lei, al posto del passeggero.
“Vi apro.”
Dopo aver sottratto sette minuti al viaggio in auto per decidere se posizionare le locandine più a destra o più a sinistra rispetto al tavolo da pranzo, ho suggerito di riprovarci domani, dopo aver allestito tutto il resto. Le ragazze sono state d’accordo. La scatola che contiene l’abito e le scarpe di Cassandra, invece, ha già preso posto al centro del tavolino del salotto, vicino alla teca di Thor.
“Ragazze dobbiamo andare.” intimo infilandomi il cappotto.
“Prendiamo la mia macchina.” suggerisce Britney.
Stiamo per uscire di casa, quando Enrica ormai vicina alla soglia, mi abbraccia e mi bacia. Sono in imbarazzo: avrei voglia di chiederle perché, ma è lei a soddisfare la mia curiosità.
“Quando mi hai detto di Jerôme ho perso la testa! Grazie!”
Va bene la non concorrenza, ma addirittura perdere la testa per qualcuno che fa il tuo stesso mestiere, mi pare un po’ eccessivo.
“Hai letto il mio romanzo?” mi chiede eccitata.
Dannazione, stavamo andando così bene… e poi non eravamo in ritardo?
“Non tutto… ma sono a buon punto.”
“Sai che cito Lessico dello stile di Jerôme?”
Non nelle prime sette pagine.
“È vero!” interviene Britney. “Non ci avevo pensato! Certo che il mondo è proprio piccolo!”
“E sapete che sto finendo un nuovo romanzo in cui lui è uno dei personaggi? Non è incredibile? E sto per incontrarlo grazie a te!” esulta abbracciandomi di nuovo.
“Un nuovo romanzo? E di cosa parla?” chiede Cristina entusiasta.
“Possiamo parlarne in macchina? Siamo in ritardo…” le interrompo.
“È una sorpresa! Ma ti assicuro che varrà la pena aspettare.”
La porta si chiude, l’auto parte: Jerôme stiamo arrivando.
SETTANTADUESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova