a luce del sole illumina i campi dorati e il profumo del grano mi solletica il naso. Mi guardo intorno: la luce a quest’ora è bellissima, sollevo lo sguardo verso l’alto, poi chiudo gli occhi. Sento il sole scaldarmi la pelle e rido, mentre lo immagino disegnarmi sul viso quelle adorabili lentiggini che mi fanno sembrare ancora più carina. Mi piace il profumo dell’erba tagliata e mi piace vedere il nonno che si sistema il cappello, prima di riprendere la falce tra le mani. Ci sono così tante cose da vedere che il tempo non mi basta mai, ma c’è ancora un po’ di prato da tagliare, posso rimanere qui con il nonno fino a che non tramonta il sole. Ci sono fiori a perdita d’occhio: fiordalisi, primule, violette, e i miei preferiti: i papaveri. Sono così eleganti. Quando soffia il vento, si muovono leggeri su quello stelo sottile: sembra quasi di vederli ballare. I loro petali sono fatti di velluto rosso, mi ricordano gli abiti delle mie bambole. Hanno solo un difetto: quando ne raccolgo un mazzetto da regalare alla nonna, appassiscono subito. Senti, senti: i grilli, che fanno quello strano rumore… ma non mi fanno paura. Una volta, ne è entrato uno in classe e la maestra è saltata sulla sedia. Ci siamo messi tutti a ridere. Io penso a quello della favola di Pinocchio: è più carino con un cappello, una giacca e un paio di stivali. E ‘questo’ rumore cos’è? È la mia pancia che brontola. Non so che ore sono, quanto tempo è passato, ma ho proprio fame.La nonna prepara sempre due panini: uno con il miele e uno con il burro di nocciole, e quello che dovrebbe toccare al nonno, lo mangio sempre io: è un nostro piccolo segreto. Mi siedo e faccio merenda, le api mi ronzano intorno e io cerco di restare immobile, ma non ci riesco: ho paura. Mi alzo, corro, e getto a terra il panino.
‘Provate a prendermi adesso’, dico mentre fuggo via. Poi, riprendo a camminare e mi ritrovo in una piccola radura. Ecco la mia merenda, mi dico con l’acquolina in bocca, mentre mangio con gli occhi il ribes nero di quel cespuglio. Mi siedo sul prato e li assaggio, poi mi fermo e mi metto a pensare a mamma e papà. Papà ha trovato un nuovo lavoro, un lavoro migliore, e mamma e mio fratello si sono trasferiti con lui. Anch’io potevo seguirli, ma quando mi hanno chiesto se desiderassi rimanere con i nonni, per finire la scuola, ho detto sì. Faccio la quarta elementare e voglio bene ai miei amici, mi serve un po’ di tempo per abituarmi a un addio. E poi, da quando vivo qui, non sono più stata triste, neanche una volta. A casa mia, invece, succedeva spesso. Loro litigavano sempre e sì: ero triste. Non mi piaceva la mamma con gli occhi lucidi, non volevo vederla così, ma sono cose da grandi, lo so, i piccoli devono starne fuori. Dai nonni, invece, non succede mai.
Loro ridono, scherzano, e mi fanno ridere anche quando litigano. La nonna sembra un po’ la mia mamma: le assomiglia. Ha solo il naso un po’ più grosso e porta gli occhiali. Quando la faccio arrabbiare, anche lei mi rincorre per casa e io mi metto a ridere. Il nonno prende sempre le mie difese, poi mi strizza l’occhio. Va matto per la zuppa di cereali e la sua coccola è una tazza di latte caldo, prima di darmi la buonanotte.
“Abbey…”
Mi sta chiamando: anche per oggi il pomeriggio in campagna è finito. Si torna a casa, la nonna ci aspetta per cena. La via del ritorno è tutta in salita, e la mia pancia brontola ancora. Manca poco, riesco a vedere i vasi di lavanda, i vasi che la nonna tiene ai lati dell’ingresso. Ha ragione: quelle piccole spighe mettono allegria. Apro la porta e sento l’odore del pane appena sfornato: muoio di fame. Chiedo alla nonna di rimandare il bagno dopo la cena, e lei non riesce a dirmi di no. Ci mettiamo a tavola, dove viene servito il piatto preferito del nonno e il dolce alla vaniglia che la nonna prepara per colazione. Li guardo e sono felice: si vede che si amano — anche se non se lo dicono mai. Finisco di mangiare e mantengo la promessa: vado fare il bagno. Lascio che la vasca si riempia, poi arriva lei e aggiunge la sua pozione magica, che fa venire tanta schiuma. Mi immergo, l’acqua è calda, la nonna mi insapona la schiena. Mi chiede se ho fatto i compiti, rispondo che il nonno mi ha aiutato, e lei si mette a ridere. Forse perché il nonno non legge mai, o almeno non quanto lei, e non ce lo vede ad aiutarmi con i compiti. Mi sciacquo, mi infilo l’accappatoio e sento addosso lo stesso profumo della schiuma che scivola giù, mentre la vasca si svuota. Lo stesso che sento sui miei vestiti quando torno a Londra da mamma e papà. Il latte di mandorle e il muschio bianco.
Sono nel mio letto, i nonni mi danno la buonanotte. I miei occhi si perdono nel buio e penso che domani rivedrò anche il mio fratellino, sono eccitata. Ma penso anche che arriverà il giorno in cui dovrò tornare a casa, il giorno in cui non dormirò più qui, e un po’ sono triste. Come farò? Mi chiedo sospirando, mentre affondo il viso nel cuscino fresco e profumato, che mi dice sogni d’oro. A volte, vorrei che fosse questa la mia vera casa. Poi, quel giorno è arrivato: la scuola è finita e io sono tornata nella casa di Londra. I nonni sono rimasti lì: nella valle della felicità, e mi hanno detto che potrò andare a trovarli tutte le volte che vorrò. Li ho lasciati, ma ho portato con me quel profumo: il profumo di una famiglia che mi ha fatta sentire una principessa.
Jo Malone London ha creato English Fields, una collezione di colonie in edizione limitata, ispirata alla campagna inglese. Le ho assaggiate tutte, una per una, più di una volta. E mi sono sentita come Gusteau davanti alla ratatouille. Questa storia è un po’ di passato, un po’ di immaginazione: così vi racconto le cinque affascinanti colonie di Jo Malone London, che possono combinarsi tra loro per creare una fragranza unica.
Illustrazione: Valeria Terranova