passato un mese da quel tragico venerdì nero, e niente è più come prima.
Sofia ha iniziato a sospettare che non si trattasse di un semplice ritiro sportivo, quando papà è venuto a riprendersi la moto. E credo che ne abbia avuto la conferma, nel momento in cui lo ha sentito gridare, vedendola a terra con lo specchietto retrovisore rotto e la carenatura segnata.
L’ho urtata senza volere.
Non mi ha creduto.
Un piccolo segno di gratitudine per aver scoperto che la sua storia con Andrea va avanti da più di un anno.
Come sia riuscito a prendermi in giro così a lungo rimane un mistero, ma il risultato, per quanto detestabile, non cambia: io resto quella che ha messo il cuore dappertutto, lui quello che lo ha preso a calci.
Sofia ha reagito con discrezione.
Vuole che ne parliamo la sera, prima di andare a dormire, quando mi fa tutte le sue domande: perché non vi amate più? Di chi è la colpa? Sei arrabbiata con lui? Non sarà per quel po’ di cellulite?
“Quale cellulite?” le chiedo, solleticandole il pancino.
E lei si mette a ridere.
“Buonanotte, ci vediamo a colazione.”
Le do un bacio e spengo la luce.
“Notte mami.”
“Sogni d’oro amore mio.”
Chiudo la porta e penso che a me basterebbe esaudirne uno soltanto: risucchiare con l’aspirapolvere — in modo accidentale — una delle sue Lego Friends.
E mentre raggiungo lo Studio, per decidere cosa indosserò domani, rifletto sul mio tempo, sulla sua riorganizzazione, e sulla triste consapevolezza che la mia vecchia vita era totalmente dedicata alla famiglia perfetta, che credevo di possedere.
Davide ha cambiato le sue abitudini, è diventato il padre presente, che è sempre stato solo di rado, e questo è l’unico aspetto positivo della separazione.
Domani porterà Sofia a Disneyland Paris, ma lei ancora non lo sa: vuole farle una sorpresa, è sempre stato quello delle sorprese.
Mi sfugge un sorrisetto triste, quello che ti viene quando pensi a qualcosa di bello che ti manca. E in effetti è così: come era bello ‘Occhi di cioccolato’.
Apro la porta dello Studio ed entro dove tutto è cominciato, dove tutto è finito.
Essere una ex moglie tradita, umiliata e single può essere stimolante, eccitante, deprimente.
Ci sono le fasi: sbalzi repentini di umore che si alternano senza nessun tipo di preavviso. E lì, dentro la mia stanza armadio, ne arriva una in cui sento il bisogno di un time out: sono stanca di avercela con lui.
La mente va indietro, puntuale e precisa, come succede nei film, per riportarmi a una delle mie scene preferite: il primo bacio.
Davide ha raggiunto i suoi compagni alla cena della squadra e io sono rimasta al telefono con Michele per quasi mezz’ora.
Dopo averlo informato della Magnalonga: la punizione che ho deciso di infliggergli per avermi lasciato da sola, tutta la sera, è arrivato il momento delle confidenze, quello in cui ho raccontato tutto nei minimi dettagli. Anche Dolores ha riscosso un successo notevole: Michi dice che vuole conoscerla, ha sempre avuto un debole per le donne con i capelli cotonati.
Guardo l’orologio: è ora di cena, ma l’emozione mi ha chiuso lo stomaco, o forse è solo pieno di farfalle.
Ripenso alla sua ultima frase, a quel ‘ti chiamo domani’ e non resisto, vorrei vedere le lancette girare velocemente, vorrei che il tempo corresse e che oggi fosse già domani, ma dovrò aspettare.
Mi infilo il pigiama e metto un po’ d’acqua nel bollitore: una tisana rilassante mi aiuterà a distendermi — anche se credo che nemmeno un’iniezione di bromuro riuscirebbe a placare il mio livello di eccitazione. Il bollitore si spegne, la tazza è in pole position e mentre la bustina lascia il suo infuso nell’acqua, anche l’incubo ‘Olivia’ smette di terrorizzarmi.
La gioia di vivere? Sì, credo sia così.
Accendo la tv, recupero il mio plaid leggero, la mia tazza, ma mentre faccio per tuffarmi sul divano, suona il campanello.
È quello della porta di casa: Dolores deve avermi preso in parola, forse le serve dello zucchero, mi avvicino e apro sorridente.
“Posso entrare?”
Ecco, riflettendoci, ora che ho di fronte quegli occhi di cioccolato, l’appetito è tornato — anche se non ho ben capito di che natura esso sia.
“Certo, entra…” dico frettolosa.
Ossantocielo.
Domani è già arrivato, l’uomo più bello del mondo ha appena varcato la soglia di casa mia, e io ho addosso un pigiama con orsacchiotto patchwork. Voglio morire.
E a uccidermi lentamente, non è solo la mise deludente che vedo riflessa nella porta a vetri del balcone, ma pure questa ossessione latente per gli orsacchiotti, di cui mi accorgo soltanto ora.
Penserà che sono una psicopatica, troverà una scusa e mi lascerà sola con la mia tisana.
No, no, no. Devo fare qualcosa.
Saranno passati 43 minuti da quando l’ho visto frecciare via con la sua Porsche, e a meno che la cena della squadra non fosse al Mc.Drive, dubito che abbia mangiato.
E se è tornato da me, dubito anche che abbia fame.
In momenti come questo, mi piacerebbe essere audace quanto Samantha di Sex and the City. Sì, vorrei avere il coraggio di togliermi di dosso il pigiama di Teddy Bear e raggiungerlo in soggiorno in lingerie di pizzo, ma io sono nata Charlotte, e ho paura che dovremo procedere per gradi.
Come me ne libero? Sotto ho una t-shirt, basta levare la maglia.
Faccio scivolare le braccia dentro le maniche, afferro lo scollo per far uscire la testa, e lui viene verso di me.
“Ti aiuto?” mi chiede sorridendo.
Sono pietrificata, le farfalle hanno ripreso a volare, ma sembrano sardine che si muovono a scatti in branco: non posso dare di stomaco anche stavolta.
È sempre più vicino, le mie mani non si muovono e la maglia orsacchiotto è ancora su di me.
Sono combattuta: le braccia non possono fare due cose contemporaneamente: o tolgo la maglia o stringo Davide, ma non c’è più tempo, lui è già di fronte a me.
Mi guarda, prende i miei pollici e le mie braccia si allungano verso l’alto.
Abbasso lo sguardo e vedo la maglia sul pavimento, mi prende il viso tra le mani, avvicina le sue labbra alle mie, e mi bacia.
Gli occhi si riaprono di fronte a una distesa di abiti appesi. E di fronte alla verità: lo amo ancora e mi detesto.
La rabbia riprende terreno: passo alla fase ‘ora, sporco traditore, me la pagherai’.
A conti fatti, è come se avessi perso anche Michele a causa sua.
Non so più chi sono, chi sono diventata. Vedo solo quello che ho lasciato dietro di me. È colpa del mio dannato modo di vedere le cose: tutto bianco o tutto nero.
Avrei potuto mantenere il mio lavoro, le mie amicizie, e invece mi sono trasformata in una casalinga priva di interessi al di fuori della famiglia.
Avrei dovuto considerare quelle cinquanta sfumature di grigio da cui ho sempre voluto mantenere le distanze.
Sono un cattivo esempio per eccellenza.
Fase successiva: introspezione.
Se mio marito mi ha lasciato per un’altra, deve essere anche colpa mia: sono troppo intelligente per non mettermi in discussione. Ma ho bisogno di Michele per gestire il mio conflitto.
Domani parto anch’io, lo raggiungo a Milano per il weekend.
Al telefono non ho avuto il coraggio di raccontargli niente, ma sa che un fuori programma di questo tipo non è più da me.
Pare sia giunto il momento di riprendere qualche vecchia abitudine: io e Michele.
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che siamo stati come eravamo una volta?
DECIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova