Ho bisogno di un abbraccio, ho tanto bisogno di un abbraccio… Lo sto ripetendo da quando sono uscita dall’ufficio, ho continuato per tutto il tragitto in macchina, durato ventisette minuti, e lo ripeto anche ora, ferma sul pianerottolo con la chiave nella toppa della porta, la porta della nostra casa – la mia e di Luca. – Nostra una volta, prima che mi lasciasse con un messaggio vocale, dopo 739 giorni di convivenza. Impreco mentalmente a pensare quanto sono stata innamorata di lui, tanto da accendere un fuoco di passione e un mutuo per l’alcova dei nostri sogni – che forse erano solo miei. – Appoggio la borsa sul mobile laccato dell’ingresso, tra la lampada di design che dimentico sempre di spegnere e la pila dei magazine di moda, quello spazio che rimane vuoto, mentre sono al lavoro, sembra che aspetti il mio rientro per completare la composizione dal tassello mancante. Mi dirigo verso la cucina, verso l’enorme frigorifero che avrebbe dovuto ospitare le provviste per le nostre feste con amici, quelle che non ci sono mai state perché lui le detestava. Apro una bottiglia di vino rosso, mi verso un bicchiere e mi siedo sullo sgabello del mio tavolo da pranzo. Osservo quel signore, il cui ritratto è riposto sul cavalletto, quasi fosse un dipinto, forse lui conosce tutte le risposte alle domande che continuo a farmi. Gli interni di case possono essere tanti, ma i miei sono diversi, sono speciali. Tutto ciò che ho costruito è curato nei minimi dettagli, il bianco regna sovrano sui divano, sui tappeti, nelle camere da letto e in soggiorno, ogni singolo componente sembra essere nato appositamente per creare un luogo piacevole in cui trascorrere momenti indimenticabili. Dalla finestra entra una luce avvolgente e imperiosa, è un estate di giornate lunghissime e luminose e ammirare la bellezza che mi sta intorno, un po’ mi sconvolge se la la paragono al tumulto del mio cuore. Questa settimana avevo in programma di finire il mio giardino d’inverno, un ambiente ideale in cui trascorrere i pochi momenti rilassanti che questa vita caotica ci concede. Volevo usare dei grandi vasi da riempire con tanti ciottoli e la cosa buffa è che erano mesi che chiedevo a lui di aiutarmi. Appoggio il bicchiere che ho appena sorseggiato e tolgo le scarpe, mi piace sentire il contatto dei piedi nudi sul pavimento in legno, mi fa sentire libera. Mi avvicino ai sassi e li trascino fuori con una forza che non pensavo nemmeno più di possedere, li accarezzo e mi sembrano tante pepite albine. Credo che oggi possa essere il giorno giusto per costruire il mio futuro. Parto lenta, ma febbrile, li raccolgo a manciate di tre e inizio a riempire i vasi. La mia mente si svuota allo stesso ritmo con il quale loro si colmano. “Questi sono per tua madre che non mi ha mai sopportato, questi per il cane che non ho adottato al canile perché non me lo hai permesso, questi per la mia amica Carla da cui mi hai fatto allontanare; questi per le mie cene che non hai mai apprezzato; questi per l’ambiente curato che ho costruito e che hai sempre condiviso con indifferenza.” Due ore. La tua latitanza emotiva vale giusto due ore del mio tempo, le cui tracce restano solo sulle mie unghie rovinate dai sassi. Due ore e il giardino d’inverno ha preso vita, lo guardo: è bellissimo, penso a quella frase che lessi su un libro una volta: la bellezza salverà il mondo ed è proprio vero, ha salvato anche il mio. Mi siedo soddisfatta sul divano per ammirare il mio lavoro da più lontano e, sotto i cuscini soffici in fantasia coloniale, trovo quello che stava leggendo lui, prima di andarsene, lo prendo e in un impeto di sollievo, lo getto dal terrazzo. Uno strano uccello di carta che vola verso il tramonto di una nuova esistenza: la mia. Domani chiamo l’imbianchino per cambiare colore alle pareti, saranno bianche come ho sempre voluto che fossero e su quelle scriverò le pagine del mio nuovo inizio.
21
Ago