e oggi nel branco siamo quattro: io, Claudia, Tilla e la Secca, all’inizio eravamo solo in due: io e la Secca. Ci siamo conosciute a scuola, dalla terza alla quinta superiore siamo state nella stessa classe, nella stessa fila di banchi.
Quanti eravamo? Non lo ricordo, ma ricordo le facce dei miei compagni, il loro modo di vestirsi, i loro tratti distintivi.
Eravamo un gruppo misto: c’era chi studiava, chi tirava a campare e chi era nato per dare spettacolo. Eravamo una classe dinamica che faceva casino e politica.
I banchi di scuola altro non erano che postazioni tattiche da decidere in base a criteri ben precisi: amore/lavoro/amicizia. Dovevi sceglierti un compagno, ma con una strategia. Per esempio: se ti piaceva qualcuno e non avevi il coraggio di sederti accanto a lui, dovevi prendere posto in un banco vicino al suo, ma non troppo, e con una giusta visuale per tenerlo d’occhio durante le lezioni. Ma in linea di massima, funzionava così: i diligenti si coalizzavano, gli altri si mescolavano tra di loro.
La piantina di classe sembrava una tabella di battaglia navale, e anche se nessuno voleva affondare nessuno, all’inizio della quarta superiore, io occupavo la parte centrale di una nave da tre: a destra c’era Bruno, a sinistra Marco, uno schieramento che coincideva con le idee politiche. La Secca, invece, era su una nave da due, insieme alla Bonny, che navigava proprio dietro la mia.
Tra un paio d’anni, ci saremmo persi di vista, i rapporti pian piano si sarebbero sciolti e ognuno di noi avrebbe preso la sua strada, ma tutte le dinamiche che si erano innescate conoscendoci, come si sarebbero concluse? Bruno e la Ventu avrebbero continuato a stare insieme? Laura e Vale sarebbero rimaste amiche per sempre? La Secca avrebbe sposato il Mike? Ma soprattutto, sarei riuscita a risolvere il problema di quel triangolo amoroso di cui io ero al vertice?
Base per altezza diviso due, ma noi eravamo in tre, io, Alice e Marco: l’oggetto del contenzioso.
Lui leggeva Coelho, Il Manifesto, ascoltava gli Aerosmith, i Blur e ti consigliava pellicole di spessore come In the name of the father o Harry a pezzi. Non era bello, ma aveva quell’aria intellettuale e sovversiva che affascinava, era il ragazzo che aveva sempre qualcosa da dire.
Alice: ungherese di nascita, italiana di adozione, era bellissima. Capelli biondi e ondulati, occhi azzurri, bocca a cuore. Modi gentili, aggraziati, a scuola faceva sempre tante domande, Marco la chiamata ‘la signorina Garzanti’ ed era follemente innamorato di lei. E nonostante cercasse di non darlo a vedere, io lo sapevo.
Anche la nave di Alice era da due, la divideva con Paola, la sua compagna, ed era attraccata alla finestra, alla nostra sinistra e a sinistra della classe.
Ero stata impavida, ero la vicina di banco di Marco, ma il triangolo in questione assomigliava a quello del Matrimonio del mio migliore amico: lui correva dietro a lei, io correvo dietro a lui e nessuno correva dietro a me. Io ero l’amica.
Ora, senza nulla togliere a colei che presto sarebbe diventata la mia rivale in amore, c’è da dire che una delle caratteristiche che più la distingueva, era l’ingenuità — che io non sopportavo.
Lei era la crème brûlée: bella vedersi, dolce, insopportabilmente perfetta. Io, invece, ero a tutti gli effetti una gelatina: semplice, schietta, poco elaborata.
Nonostante il palato di Marco fosse indiscutibilmente interessato alla crème brûlée, la crème brûlée si lasciava desiderare, mentre la gelatina, che agiva sotto copertura nelle vesti di amica, aspettava il suo momento, sicura del fatto che prima o poi, i suoi gusti sarebbero cambiati. Ma la partita che immaginavo potesse concludersi alla fine delle superiori, è ancora aperta.
Io ho sposato Giaco, Marco convive con una crostata con cui ha concepito due crostatine e Alice pare ancora ricoprire il ruolo di crème brûlée desiderabile che non si concede. Ma dopo vent’anni, tutta la classe si sta ancora chiedendo, quale fosse il dolce che preferiva Marco all’epoca.
È la resa dei conti.
Chat di gruppo: cena di classe. Amministratore: Silvia Olivieri.
Marco ha qualche idea, scrive un messaggio:
“Vi lascio le mie opzioni cena/pranzo che potremmo organizzare.
1. Se decidiamo di fare la cena dall’ Enri, va fatta nel breve periodo, prima che le pignorino la casa, che servirà a coprire le spese di stampa e di pubblicità e altri oneri legati al libro — senza nulla toglierle, ma l’editoria è in crisi profonda, non vende neanche Umberto Eco. Potremmo comunque valutare l’alternativa di utilizzare le copie invendute per accendere il fuoco e fare una grigliata.
2. Tigellata. In quel caso, ci penso io a organizzare tutto. Quanti saremo? Venti al massimo? E poi se teniamo conto che l’Enry si sfama con un sedano e che molte la vorranno emulare, basterà preparare un pinzimonio abbondante.
3. Oppure, oppure… ci troviamo la mattina alle Piane di Lama Mocogno — con famiglie — chi vuole fa una ciaspolata, chi vuole andare in infortunio può sciare, chi invece, come l’Alice vuole abbronzarsi può approfittare del sole VERO. Se avete i bimbi, c’è la pista da Bob, se avete i radicali liberi, c’è la pista da sci di fondo per tonificarvi.”
Non abbiamo ancora deciso modalità e tempi di questo incontro — fissato approssimativamente per la fine di marzo — ma prometto che stavolta, per dovere di cronaca, sapremo la verità: Marco voleva la crème brûlée o la gelatina?
Illustrazione Valeria Terranova