a mattina del matrimonio, sono tutti in fibrillazione. Ho espressamente chiesto a mamma e papà di risparmiarmi il rinfresco a casa con i parenti… ma solo perché sono tanti, e per questioni logistiche si tratterebbe di scegliere tra loro e il mio abito da sposa. La cerimonia è alle quattro, decido di fare un giro in centro per svagarmi. Prendo la borsa, saluto, ma mentre faccio per uscire, mio padre mi blocca: ha la stessa faccia di Adriana prima che Rocky faccia il suo incontro.
“Dove stai andando?” chiede preoccupato.
“In centro, vado a prendere un caffè con la Stefi.”
“Ma oggi ti sposi…”
“E da quando il matrimonio è diventato sinonimo di clausura?”
Mio padre diventa tutto rosso. Per lui è evidente che la questione è delicata. Ha sempre tentato di essere un papà moderno, ma sotto sotto è siculo, e gestire le due cose contemporaneamente non è mai stato facile.
“A che ora torni?”
“Per pranzo, okay?”
Gli schiocco un bacio e me ne vado.
È una calda mattina di giugno, e il sole splende alto nel cielo. Salgo in macchina, apro il tettuccio della mia Punto Cabrio, e sento la sua voce dal balcone.
“Enrica mi raccomando!”
Ecchecavolo! Pure mia mamma!
“Sì mami. Stai tranquilla.”
Strano, penso mentre metto in moto, di cosa si preoccupa? Che scappi? Che lasci Giaco solo all’altare? O che non metta l’abito che è riuscita a farla piangere? Prendo il mio caffè con la Stefi. Mi compro un vestitino che porterò con me in viaggio di nozze e torno a casa. Mi siedo a tavola con uno yogurt, mio padre protesta, io gli ricordo che oggi mi sposo. In effetti, non ha tutti i torti: all’ultima prova dell’abito, le coppe del corpetto erano completamente vuote e hanno dovuto imbottirle. È stato imbarazzante. E in questo momento di grande sconforto, mi assale il bisogno impellente di sentire l’uomo che tra qualche ora diventerà mio marito. Gli telefono.
“Ciao…” dico in tono sexy.
“Amore scusa: la parrucchiera di mia madre mi sta fonando il ciuffo, posso chiamarti dopo?”
Riattacco e mi metto a pensare alla scena: non sono sicura di voler sposare uno che si fa fonare il ciuffo dalla parrucchiera della madre. E poi arriva la mia, sono le due precise.
Mi raccoglie i capelli in una semi coda centrale e ci ficca dentro dei fiorellini: sembro una Madonna. E la domanda è una sola: perché? Saluto la parrucchiera sulla porta fingendomi soddisfatta, aspetto che scenda le scale, che salga in macchina e poi mi metto a strillare.
“Questa acconciatura è da prima comunione, io così non mi ci sposo!”
Nel frattempo arriva Morra: lui e Gughi sono i migliori amici di Giaco. Devo darmi un contegno. Volevo che fosse lui ad accompagnarmi in chiesa. Avere la sua benedizione significa fare parte del branco, e il fatto che si sia presentato è già un buon segno. Indossa un completo nero – si è messo pure la cravatta per farmi piacere – e lì, la mia mente si catapulta indietro nel tempo: alla sera in cui Giaco me lo ha presentato. Quella volta mi porta a fare un rally in montagna per raggiungere un paesello a mangiare l’anguria. Parcheggia di fianco al chiosco, ma quello che credo possa essere un dopo cena a lume di candela, in realtà non lo è. Ad aspettarci c’è una coppia di amici suoi. Uno è Morra, l’altra la Gessy: la sua ragazza all’epoca. Lei è carina, sembra simpatica ma non mi guarda mai negli occhi. Strano, di solito sono io quella che non regge gli sguardi. Passiamo una bella serata, ma quando stiamo per andarcene, Morra la guarda e scoppia a ridere.
“Gessy?”
“Sì.”
“Sai quando ti ho chiesto di non guardare l’Enri negli occhi perché ne ha uno di vetro?”
Lei mi guarda imbarazzata. Poi si volta verso di lui senza riuscire a spiccicare parola.
“Stavo scherzando.”
“Sei un cretino!” dice lei picchiandolo sulla spalla.
Giaco è diverso quando è insieme ai suoi amici. Ha un bellissimo sorriso, anche i suoi occhi cambiano, e lì mi accorgo di amarlo direttamente senza passare dal via.
Il mio flashback mentale finisce ed eccomi di nuovo catapultata nel presente, guardo Morra e penso: da uno che riesce a inventarsi la storia di un occhio di vetro mi aspetto di tutto. E se fosse qui per rapirmi come Don Rodrigo? Mio padre gli offre un bicchiere di vino: la situazione non può che peggiorare. Arriva la truccatrice e decide di cominciare da mia madre. Dopo quarantacinque minuti, sembra Liza Minelli, versione museo delle cere. Cerco di farle capire con delicatezza che gradirei un effetto un po’ meno matte, più acqua e sapone. Si ecco, piuttosto niente, grazie. E lei mi accontenta. Mi faccio il segno della croce, la saluto e corro a vestirmi. Tra mezz’ora dovrei essere in chiesa: non ce la farò mai.
“Mamma, devi aiutarmi con l’abito.”
“Eccomi.” dice Liza.
Lo guardo appeso all’anta dell’armadio: è bellissimo. È in taffetà azzurro, come i fiorellini che ho in testa… non è che questa cosa del non volermi sposare in bianco mi si sta ritorcendo contro?
“Enrica, tra mezz’ora devi essere pronta, che facciamo?” intima mia madre.
“Giusto. Cominciamo dalla gonna: la infilo da sotto.”
“Attenta.” si raccomanda.
“Okay, ci sono.”
Chiudiamo anche il corpetto e sono pronta. Mi guardo allo specchio e dico:
“Io così, fuori di casa, non ci vado!”
E se non fosse che ho appena speso duecento euro di trucco, mi metterei pure a piangere.
“Beppe, vieni a vedere tua figlia…” dice mia madre in cerca di rinforzi.
“Amore: sei bellissima!” esclama commosso.
Beato lui che può piangere.
“Lo dici solo perché sono tua figlia.” ribatto.
“Enri, stai bene, davvero.” interviene Morra.
Okay. Decido di darmi una seconda chance: faccio un bel respiro e mi riguardo allo specchio. Fino a stamattina, nella mia testa c’era una gnocca da paura, dove diavolo è finita? Patteggio con gli ormoni, la fibrillazione, le coppe imbottite che mi fanno sembrare Pamela Anderson con una taglia 38, con questi cavolo di fiorellini che vorrei vedere appassire all’istante, e firmo un trattato di pace con me stessa per evitare di sabotarmi il matrimonio da sola.
“Morra dice che sto bene? Allora andiamo!” concludo con un sorriso.
Usciamo di casa, mia madre chiude la porta e siamo tutti in fila sul pianerottolo cercando di capire chi deve scendere le scale per primo. Mio padre prende in mano la situazione:
“Io e Moreno andiamo per primi, poi viene l’Enrica… che se cade la fermiamo noi…” dice ridendo, “poi Anna vai tu che le tieni il vestito. Okay?”
Li vedo scendere le scale, e ora tocca a me. Dio che emozione! Questo sarà il giorno più bello della mia vita. Ma appena la mia mente conclude questa felice constatazione, io perdo un sandalo. Mia madre che mi tiene la gonna, d’istinto mi trattiene e io finisco col sedere per terra. Dio come vorrei non aver detto: Dio che emozione! Questo sarà il giorno più bello della mia vita. Mi sa che me la sono tirata. Fingo con nonchalance di essermi seduta per rimettere il sandalo bello e impossibile, mi alzo e mi rimetto in marcia, ma appena usciamo di casa, veniamo assaliti da una raffica di vento sui 55 nodi. Un ciuffo di fiorellini che ho in testa non ce la fa, vola via e si sfracella sull’asfalto. Vedi? Piccoli segnali di ripresa. Poi, facendo attenzione, mi avvicino all’auto: una spider a due posti. Solo in quel momento realizzo che il posto per mio padre non c’è. Devo inventarmi qualcosa. Se aprissimo il tettuccio, potrebbe incastrarsi tra il retro dei seggiolini e il vano della capote. Certo, potrebbe lussarsi un’anca, ma oggi ci sta. Si posiziona come la T verde di Tetris, con le mani che afferrano i poggiatesta per reggersi, Morra dà due colpi di clacson e mette in moto: il mio amore mi sta aspettando.
Illustrazione: Valeria Terranova