n altro brutto sogno.
E dire che il tonno in scatola è considerato leggerissimo, come può essere?
Eppure, mi trovo a Parigi: Jerôme è sparito e io sono venuta a cercarlo.
Sono in Avenue Montaigne, davanti alla boutique di Dior, sto guardando uno dei manichini della vetrina partendo dal basso, dai prezzi: non posso innamorarmi di qualcosa che non sia alla mia portata.
No, non c’è niente. Meglio così.
Lo sguardo sale: stivale, gonna di tulle, cintura in pelle con fibbia, la fibbia è la lettera D. Camicetta di chiffon, blazer — non so nemmeno perché stia chiamando la giacca a quel modo, ma la mia parte onirica lo sa — e borsa: ha la forma di una sella di cavallo.
Sarà per deformazione professionale, ma lei mi fa impazzire.
Controllo il prezzo una seconda volta, chiudo gli occhi, mi metto il dorso della mano sulla fronte e mi volto dall’altra parte con l’aria sofferente di chi non può permettersela. Quando li riapro, vedo Jerôme sul lato opposto della strada.
Mi scappa una frase tipo: ‘miiii… l’ho trovato!’, mi precipito verso di lui, ma mentre attraverso, ‘Joe le taxi’ mi investe.
E con la voce di Vanessa Paradis in sottofondo, mi ritrovo tatuata sull’asfalto con una mascella fracassata e una gamba rotta.
Jerôme corre a soccorrermi: è bellissimo. Indossa la T-shirt con scritto «something good is coming» un paio di jeans e una scarpa elegante nera con i calzini bianchi — tutto ciò che aveva deciso per il dress code. Si è messo pure la coroncina a testimonianza che ha tutta l’intenzione di partecipare alla festa, peccato che io non sopravviverò.
Tutta Parigi ci guarda, io guardo solo lui, dritto negli occhi, mormorando: ‘I just wanna say hello…”
Il sogno finisce prima che arrivi l’ambulanza.
Mi alzo dal letto, anche Max si sveglia, ma gli occhi sono ancora assonnati.
“Forza pigrone è ora di andare a guadagnarsi la giornata.”
E mentre penso che nella prossima vita vorrei rinascere cane — per fare quella del mio — sento lo stomaco sottosopra.
Forse il tonno era scaduto: devo correre in bagno. I movimenti tellurici provengono dal basso, prendo il telefono e mi siedo sul water. Ho i brividi, ma il pensiero di dare buca a Cassandra — seppure la motivazione sia valida — mi impone di reagire, di stemperare la tensione, leggendo le notizie.
“Una aereo cargo di Amazon Prime è precipitato nella Trinity Bay vicino a Anahuac, in Texas. C’erano tre persone a bordo, ma dalle prime informazioni, non ci sarebbero sopravvissuti. Un passante ha ripreso gli ultimi momenti dell’aereo, prima di inabissarsi in mare. Il volo era diretto a Houston.”
E io sono quasi certa che il libro di Jerôme fosse su quell’aereo.
Il problema di ricomprarlo e riceverlo in tempi brevi diventano le priorità, mettendo il mio stomaco in secondo piano: all’improvviso, mi sento meglio.
Sto per alzarmi, quando mi accorgo di una notifica che è appena arrivata su Instagram. Non importa se ho meno di mezz’ora, potrebbe essere Jerôme.
Anzi, è Jerôme: Dio esiste.
“Ciao Melissa, come stai?”
Mi scuso per non averti risposto, ma purtroppo ho avuto un incidente.
Nulla di grave, ho una gamba rotta e mi sono trasferito in campagna dai miei parenti per ristabilirmi, ma la connessione è pessima.
Ne avrò almeno per tre settimane e pregusto il momento in cui toglierò il gesso. Quando succederà, girerò un video memorabile da postare su Instagram.
Per quanto riguarda la festa, credo che il tema cicogne sia l’ideale. Se fossi in te, cercherei un falegname che possa intagliare due esemplari da dipingere di bianco e di azzurro e userei gli stessi colori per tutto l’allestimento: tovaglie, piatti, bicchieri, decorazioni…
Farò di tutto per esserci.
Un abbraccio
Jerôme.”
Non solo Dio esiste, ma ha pure deciso che Jerôme doveva rompersi una gamba.
Eppure ero io che venivo investita nel sogno. Ma non sarà una piccola frattura a fermarmi, lo porterei anche in barella, se fosse necessario.
Il vero problema sara trovare un falegname che sappia intagliare due cicogne che lo soddisfino. Anche spiegargli che Cassandra aspetta una bambina che non chiamerà Jerôme non sarà facile. Risponderò più tardi: devo giocarmela bene stavolta.
E mentre valuto che sarebbe più utile una gita a Lourdes, piuttosto che una visita a Parigi, stimo il tempo che ho a disposizione per assumere un aspetto che soddisfi la madre di Luca: non è molto.
Dimentico il mal di pancia, mi butto sotto la doccia e prima di vestirmi, mi cospargo di crema idratante profumata: questo non lo faccio neanche per suo figlio.
So già cosa mettermi, questo è uno dei vantaggi di possedere un guardaroba limitato e ora che è composto solo da pochi pezzi che Coco giudicherebbe adeguati: fallire è impossibile. Sono sempre più convinta che la mise che avevo scelto la volta scorsa sia perfetta per l’incontro di oggi. Elegante e disinvolta. Un pantalone a vita alta, una camicetta color crema e un paio di mocassini bicolore — che ora possiedo grazie a Bettina Bellant: sono solo un’imitazione di Chanel.
Sopra indosserò una mantella nera, non il solito cappotto, e un paio di guanti di pelle: fa chic.
Scendo le scale, apro la porta: il cancello è chiuso, mando Max in giardino e corro a prepararmi.
Dopo venti minuti, sono fuori di casa, Max è dentro. Cassandra mi ha appena chiamata per dirmi che sta arrivando, ne approfitto per prendere una boccata d’aria, non mi sento benissimo.
Sono rimasta a stomaco vuoto di proposito, non volevo sollecitarlo, visto ciò che ha appena passato, ma ora sento un certo languorino e questa è proprio fame.
Il Tiguan fiammante di Cassandra arriva due minuti più tardi.
“Tesoro: sono affamata. Prendiamo l’autostrada e fermiamoci in Autogrill, ti prego.” esordisco salendo.
“Ma abbiamo i minuti contati, perché non hai fatto colazione a casa?”
“Perché c’era solo la scatoletta di tonno che ho mangiato ieri sera e credo pure fosse scaduta.”
“Ecco cos’è quel colore verdastro…”
L’auto riparte, io mi precipito sullo specchietto dell’aletta parasole e controllo ‘quel colore verdastro’ che mi viene imputato. In effetti ha ragione, e il profumo che si è messa di certo non aiuta. Mi toglie il fiato. Apro il finestrino e metto fuori la testa per prendere aria, ma la nausea persiste.
“Non ti senti bene?” mi chiede preoccupata.
Nausea. Sensibilità agli odori, se non fossi certa di fare sesso sicuro, inizierei a preoccuparmi.
“Non sarai incinta per caso?”
Mi ha tolto le parole di bocca.
“È impossibile. È solo quella dannata scatoletta di tonno…”
“Sicura?”
“Sicura. Mangiamo qualcosa e starò meglio.”
Mezz’ora più tardi, brioche e tè caldo mi rimettono in sesto: il colore verdastro è scomparso e Cassandra si complimenta per la mise che ho scelto.
A tal proposito, sono curiosa di sapere cosa nasconda sotto il cappotto di Saint Laurent che riconosco. Mi auguro che abbia ascoltato il suggerimento della tinta unita, invece di assecondare la sua voglia di tubino floreale, o potrebbe essere un problema.
Risaliamo in auto e vado dritta al dunque.
“Emozionata?” le chiedo.
“Non parlarmene, non sto più nella pelle, non so davvero come ringraziarti. Questa è un’avventura che ricorderemo per sempre. Entrerà a far parte della nostra storia, delle cose fatte insieme che racconteremo ai nostri figli…”
Sta cominciando a vaneggiare come nel sogno, devo fermarla.
“E cosa hai pensato di metterti per immortalare questo momento?”
“Melissa… continui a sorprendermi: ora sei tu che chiedi a me cosa indosso? È un miracolo!”
Non mi sta dicendo nulla.
“Ti confesso che il pensiero di conoscerla mi eccita parecchio, ma è la scrittrice che ha invitato a entusiasmarmi di più: lei è spettacolare.”
Più spettacolare di Jerôme?
Non credo proprio.
“E quindi, cosa indossi per l’occasione?” chiedo incalzante.
Cassandra fa un bel respiro, sembra che non veda l’ora di parlare, tiene gli occhi dritti sulla strada e dice: “ho un abitino blu di MSGM.”
Sono sollevata: almeno è a tinta unita.
“E sul davanti ha tre fasce iridescenti colorate.” conclude soddisfatta.
Beata lei. Io sono agitata.
Quella in cui sto per addentrarmi non è una zona comfort, non mi sento a mio agio dove si parla di moda.
Se mi facessero qualche domanda e non sapessi rispondere? Se sbagliassi i nomi degli stilisti? O peggio, se non usassi una terminologia adeguata? Rabbrividisco al pensiero. Mila si vergognerà di me, costringerà suo figlio a lasciarmi e io dovrò rimangiarmi la parola con Jerôme: non gli concederà mai l’intervista che gli ho promesso. Sta per venirmi un attacco di esofagite.
A distrarmi dai pensieri frustanti è Cassandra che apre un nuovo discorso:
“Pensa Melissa, se quella sera non avessi messo quella gonna, ora non saremmo qui… non è incredibile?”
“Sai cosa lo è stato? Credere che avremmo impressionato una signora dallo stile country. Chi avrebbe immaginato che potesse essere la direttrice di Grazia?”
“Io no di certo e sono ancora dell’idea che dovresti indagare sul passato di Luca.”
“Ancora con questa storia?”
“Uno dei direttori moda più importanti di Milano ha un figlio con la passione per la mucche, che coltiva a chilometri di distanza, non è strano?”
“A me farebbe strano vedere Luca che sceglie l’impaginazione di un magazine. Non tutti i figli seguono le orme dei genitori, specie se si tratta di professioni prettamente femminili…”
“Su questo hai ragione, ma il mio sesto senso mi dice che deve esserci sotto qualcosa.”
Ogni volta che Cassandra insinua la possibilità che Luca nasconda un segreto, non posso fare a meno di pensare al nostro primo incontro. Quanto era impacciato durante la nascita del vitello? Non sembrava essere nel suo habitat, e se avesse ragione?
Smetto di pensarci, controllo il navigatore e noto con piacere che la mia sosta non ha causato ritardi alla tabella di marcia: arriveremo in orario, ma nemmeno questo riesce a farmi sentire meglio. Lo stomaco è di nuovo sottosopra e a questo punto, credo sia a causa della forte agitazione.
E lì, mentre cerco di distrarmi, mi viene una domanda che mai avrei pensato di fare.
“Non avevi detto che quella gonna ha una storia? Perché non me la racconti?”
“Dici sul serio? Davvero vuoi sentirla?” chiede euforica.
“Certo.”
La vedo sistemarsi sul sedile di guida, l’indice solleva il centro degli occhiali per rimetterli in posizione e inizia a parlare.
“Ottobre 2015, ero single e disperata.”
Non è proprio un buon inizio, ma confido nel corso degli eventi.
“L’inverno stava arrivando, sai che fatico a reggerlo, l’unica consolazione era il posto di lavoro che avevo trovato da poco.”
E io dove sono in tutto questo?
Mi sforzo di riportare la mia mente a quell’annata e mi pare di ricordare che pure io non me la passassi benissimo: anche io ero single e depressa.
“Non ero ancora la responsabile del reparto accessori, ma la titolare si era accorta della mia passione e sapevo che sarei riuscita a sorprenderla. Proposi di organizzare un cocktail per presentare le nuove collezioni alle clienti: avremmo incentivato le vendite e loro si sarebbero sentite coccolate…”
Ignoravo che la mia amica possedesse un’anima commerciale.
“La titolare ne fu entusiasta: accettò. Decise di assegnare a ogni commessa una sezione che rappresentasse uno stile. A me toccò il corner con i marchi più giovani.”
“E Venere?” chiedo curiosa.
“Chi è Venere?”
Dimentico troppo spesso che i nomignoli che affibbio alle comparse della mia vita sono solo miei e che gli altri non li conoscono.
“La signora che mi ha servito il giorno che abbiamo litigato a causa di quel cappotto.” dico indicandolo senza esitare.
“Serena! Non sapevo che le avessi dato un soprannome. A lei venne assegnato l’angolo Givenchy, Valentino, Dolce & Gabbana.” conferma decisa. “Comunque, il mio pacchetto clienti era quasi inesistente, lavoravo lì da pochi mesi, indicai tre nomi appena…”
Scommetto che se si ripresentasse un’occasione come quella, ora anch’io meriterei un invito: il mio percorso stilistico ha fatto passi da gigante negli ultimi mesi.
“Ma come riuscire a impressionare la titolare con un numero così basso?”
Lo sta chiedendo a me? La mia espressione interrogativa la induce a continuare.
“Comprando un look da sfilata, ovviamente.”
È così fiera mentre lo dice.
“Non uno qualunque: il più rappresentativo della collezione.”
E forse anche il più difficile da piazzare.
Solo una pazza non le avrebbe assegnato il reparto accessori.
“La sera del cocktail mi presentai con la mia gonna poncho, anche Serena che ha un gusto più classico si complimentò, per non parlare della titolare, che rimase piacevolmente colpita.”
“E poi?” chiedo curiosa, immaginando un imminente colpo di scena.
“Avevo usufruito di uno sconto particolare per comprarla, contavo di recuperare la cifra con le vendite della serata, ma nessuna delle mie clienti si presentò, tutte avevano avuto un contrattempo diverso.
Rimasi alla mia postazione, ma le clienti più importanti si avvicinavano appena, un po’ perché ero l’ultima arrivata, un po’ perché ciò che proponevo non incontrava il loro gusto. Ero mortificata, delusa.”
E mentre usciamo dal casello, penso che se ‘La storia infinita’ non fosse già stata scritta, potrebbe essere questa.
Non vedo l’ora che arrivi a un dunque, mi sta tornando la nausea.
“Ma poi, in mezzo alla folla, notai un ragazzo: il solo esemplare maschile in quel contesto, e non mi toglieva gli occhi di dosso.”
Non conosco le dinamiche precise del suo primo incontro con Tommaso, ma non ho dubbi: credo proprio che stia parlando di lui.
“Si avvicinò, me lo trovai di fronte e disse: ‘una ragazza che indossa una gonna come quella, deve avere carattere.’ Fu un vero colpo di fulmine.” conclude appagata.
“Era Tommaso?”
“E chi altrimenti?”
“Come mai era lì?”
“Aveva accompagnato la sua fidanzata a fare shopping.”
Come può dirlo con una naturalezza simile? Io non ne sapevo nulla.
“Quindi? Lui si avvicina, ti corteggia e la fidanzata che era con lui?”
“Se ora mi sta sposando, prova a indovinare…” mormora.
“Okay, ma come ha fatto a liberarsi di lei?”
“Non è stato facile, erano fidanzati da sette anni ed è risaputo che la crisi del settimo anno spesso si traduce in una svolta: quella svolta ero io.”
Sono sconvolta, letteralmente sconvolta.
Credevo che avesse conosciuto Danny DeVito chissà dove, il fatto che fosse riuscito a conquistarla suonava già come un miracolo, e invece, era addirittura fidanzato con un’altra. E ciò che più mi stupisce è che mi abbia tenuto all’oscuro.
“E hai vissuto con questo segreto per tre anni?”
“Siamo stati amanti per un po’…” sussurra.
“Non potevo parlarne a nessuno.”
All’improvviso, rivedo me stessa in quella povera fidanzata lasciata e tradita. Provo pena per lei. Anche Cassandra: come può aver fatto una cosa simile?
“Ma oggi è diverso. Ora posso dirti tutto. Voglio che tu sappia che è che con quella gonna che ho conosciuto il mio grande amore, ecco perché desideravo che la mettessi: è un portafortuna. Tu dovevi avere il mio portafortuna segreto.”
Vorrei precisare due cose.
La prima: ho indossato quella gonna per incontrare la madre del mio grande amore, non è la stessa cosa.
La seconda: un portafortuna? Dipende dai punti di vista, le fidanzate lasciate e tradite la penserebbero in modo diverso.
Ma siamo arrivate a destinazione e non ne ho il tempo.
La redazione di Grazia si trova a Segrate, all’interno dello stabilimento Mondadori: visto da fuori sembra una città.
C’è un casello prima dell’ingresso.
Il signore in divisa, che sta seduto in postazione, ci chiede i documenti.
Questa è una cosa seria.
Li controlla, li restituisce, ci domanda con chi abbiamo appuntamento.
Rispondiamo all’unisono come due pecorelle smarrite, ma lui è il nostro pastore e ci indica la strada per arrivare allo stabilimento 5E. Trovato.
Scendiamo dall’auto, l’aria fresca mi fa sentire meglio. Mi volto verso Cassandra, mi fermo a guardarla: un raggio di sole le illumina il sorriso. Sembra felice, curiosa, impaziente di entrare. Dopotutto, sono arrivata fin qui: mi toccherà andare in scena.
TRENTOTTESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova