i sono quelle mattine in cui svegliarsi di buon ora ha qualcosa di magico. Le mattine in cui nemmeno lo strato di brina che ricopre i tetti riesce a dissuaderti dall’abbandonare il tepore delle lenzuola.
Le mattine precedute dalla classica notte in bianco, in cui quella strana combinazione di entusiasmo e agitazione ti fa sentire come un bambino in partenza per la gita della scuola, che desidera trepidante la scoperta. E anche se quello stato d’animo è diventato grande quanto me, è pur sempre lo stesso e ho l’impressione di riviverlo.
Vecchia mia: è l’alba di un nuovo giorno, mi dico mentre le testine oscillanti dello spazzolino elettrico perlustrano il mio cavo orale, e se davvero voglio che lo sia, prenderò questa frase alla lettera: porterò Max e Lolita fuori per una passeggiata e aspetterò il sorgere del sole, sfruttando il momento di transizione in cui la notte si nasconde dietro le quinte dello stesso palco su cui il mattino si esibirà, per preparami al mio incontro con Luca.
È ancora buio quando usciamo di casa e ammetto che la poesia che avevo visto in questo momento epico, si è appena congelata a causa del freddo. Ma Lolita e Max sembrano felici di essersi presi una pausa dai cuccioli, fare i genitori sembra impegnativo — anche nel mondo canino.
Ma dopo quella riflessione che mi fa sorridere, inevitabilmente penso a Cassandra, alla sua perdita e al tempo che le servirà per superarla. E seppure sia cosciente che certi tipi di ferite non siano destinati a guarire, o almeno non del tutto, so che arriverà il giorno in cui ripenseremo a questa triste parentesi con la capacità di rammentarne solo il lato positivo: un momento in cui ci siamo sentite vicine più che mai.
Ora, ciò che posso fare concretamente per renderle un po’ di spensieratezza è chiarire la mia situazione amorosa che l’orgoglio ha lasciato in sospeso.
Continuo a camminare, tengo il passo sostenuto dei miei compagni di viaggio, approfittando delle loro pause fisiologiche per riprendere il discorso mentale che ho iniziato durante la veglia notturna e che ho abbandonato poco fa, prima di lasciare il calduccio del mio letto. Dov’ero rimasta? Ah ecco: all’ammissione delle mie colpe.
A ricordarmi che è necessario disfarsi delle cose inutili sono le luci lampeggianti e il fragore provocato dall’immondizia gettata nel cassone del camioncino dei rifiuti, che vedo transitare dall’altra parte della strada. Non perderò altro tempo a preoccuparmi della fantomatica ex di Luca che appartiene a un passato evidentemente doloroso. Anche io gli ho evitato il mio con piacere: ho omesso di raccontare di Marcello, delle dinamiche che hanno portato alla fine di una storia che ha ucciso la mia autostima, della moglie logorroica con cui ha avuto un bambino che gli somiglia come una goccia d’acqua e da cui ne aspetta un altro che prenderà il suo nome. E ho tralasciato il cruccio più grande: il mio disturbo alimentare, un dettaglio tutt’altro che trascurabile. A volte credo di averglielo nascosto per cercare di superarlo in silenzio, perché con lui, come con nessun altro, mi sono sentita al sicuro sin dal primo momento. Forse anche Luca ha agito nello stesso modo per le medesime ragioni. Come ho fatto a non capirlo?
Ho forzato la serratura di una porta che non era pronta per essere aperta e non posso biasimarlo se ha deciso di sbattermela in faccia. E lì, mentre mi auguro di cuore che sia disposto a riaprirla, l’orizzonte che inizia a schiarirsi mi dà il segnale: è giunta l’ora di rientrare e di correre da lui.
Correre da lui, era solo una frase fatta, un modo per descrivere il mix di desiderio e necessità con cui mi catapulterei da lui all’istante, ma mai e poi mai potrei presentarmi al suo cospetto senza un po’ di trucco e un outfit decoroso: ne va del nostro futuro.
E con un make leggero — in cui ho deciso di fare a meno del mascara, visto e considerato che le lacrime di commozione siano un’ipotesi possibile — e una mise sportiva che trasuda buon gusto, esco di casa e mi dirigo verso la Punto amaranto che mi aspetta.
La guardo, parcheggiata nel cortile di casa, vicino a quella buca che Max aveva scavato per disotterrare le mie vecchie sneakers e che Luca si era offerto di ricoprire per evitare l’ira funesta di Cassandra. Sospiro ripensando ai suoi modi gentili, alla sua calma seducente, alla fragilità che ho sempre ritrovato nella dolcezza dei suoi sguardi e mi mancano come l’aria. Devo andare a riprendermelo: sono qui per questo no?
Salgo in auto e metto in moto, ma mentre sto aspettando che il cancello si chiuda, sul telefono che ho appena appoggiato sopra il sedile del passeggero, compare un messaggio di Enrica.
È già sveglia a quest’ora? Ma soprattutto: come posso essere tra i suoi primi pensieri? Vorrei rimandare la lettura a più tardi, ma qualcosa mi dice che sarebbe meglio farlo ora.
“Ciao Melissa, come stai?
Come procedono i preparativi della festa? Non ti ho più sentita e mi chiedevo se fosse tutto confermato. So che avrai già spedito la t-shirt che mi avevi promesso, ma purtroppo non l’ho ancora ricevuta, volevo fartelo sapere, nel caso ci fosse stato un disguido postale.
Per ciò che riguarda il redazionale, Mila ti ha informato che uscirà giovedì prossimo?
Potremmo realizzare una stampa gigante con la foto di Cassandra da usare come allestimento per il party, sarebbe una bellissima sorpresa, non trovi?
Fammi sapere. Se avessi bisogno di una mano, sarei felice di mettermi a disposizione, non esitare a chiamarmi.
Un abbraccio
Enrica.”
Okay, niente panico, una cosa alla volta: prima riprenderò le redini della mia vita privata, poi mi occuperò delle pubbliche relazioni. O forse no.
Alla fine, invece di ripetere ad alta voce il mio discorso strappalacrime per l’ennesima volta, ho preferito conservare il pathos e sfruttare il tragitto in auto per capire come rispondere al messaggio di Enrica e sono arrivata alla conclusione che sarebbe meglio chiamarla e farle sapere che:
1. Nonostante la festa abbia cambiato destinazione d’uso, è confermata
2. Enrico si è occupato della stampa delle t-shirt, che arriveranno domani
3. Le poste non hanno alcuna colpa
4. Sono stata personalmente informata del ritardo voluto dell’uscita del redazionale
5. L’idea di realizzare una gigantografia dell’immagine di Cassandra era già stata partorita dal mio cervello — il suo è arrivato tardi — ma a causa del triste episodio capitato alla diretta interessata, di cui Enrica evidentemente non sa nulla, ‘la bellissima sorpresa’ di cui sopra potrebbe non essere bellissima.
E su quest’ultimo punto, in cui mi pare di capire che l’ingrato compito di informarla sia mio e mio soltanto, arrivo davanti alla fattoria. Mi sfugge un sorriso pensando all’ultima volta che sono stata qui, quando il problema serio era trovare un rifugio per nascondermi da Mila, chi lo avrebbe detto che lo avrei rimpianto?
Mi prendo qualche secondo prima di suonare il campanello, osservo il portico in cui ho immaginato i cuccioli scorrazzare felici e penso che mi trasferirei oggi stesso, se Luca me lo chiedesse.
Faccio un bel respiro per fare il pieno di coraggio e scendo dall’auto.
Sbircio dalle inferiate del cancello: c’è un uomo di spalle arrampicato su una scala e non ci vuole un genio per capire che è lo stesso potatore che desidererebbe trasferirsi a casa mia: che sia un segno divino? Qualcuno da lassù sta cercando di dirmi che è giunto il momento di traslocare? Potrebbe essere.
“Ciao Melissa.” dice lui voltandosi.
“Ciao…”
Sapevo che comprare un taccuino su cui annotare i nomi delle persone che puntualmente dimentico, sarebbe stata una buona idea, peccato che poi abbia dimenticato anche quello.
“Cerchi Luca?” mi chiede mentre scende dalla scala.
“Sì… sono passata a trovarlo.”
Quanti secondi ho per ricordare come diavolo si chiama? Tempo scaduto: mi è già di fronte e sta facendomi entrare.
“Luca non c’è.”
Strano, di solito a quest’ora è con i cavalli.
“Allora, lo aspetto.” dico socchiudendo il cancello alle mie spalle. “Quando torna?”
È una domanda semplice, perché Rossano — ecco come si chiama — sembra essere in difficoltà?
“È partito. È andato a Milano per un po’, pensavo lo sapessi.”
Non saprei descrivere lo stato emotivo che abita in me in questo preciso momento, ma direi che la delusione — in ogni sua sfumatura — sia la componente principale.
“Fino a quando?” gli domando sforzandomi di usare un tono di voce vivace che possa camuffare il mio disagio.
“Mi ha chiesto di occuparmi dei cavalli per qualche giorno, ma non so dirti quando abbia intenzione di tornare.”
E non saprei nemmeno come classificare la sua incertezza: sta rimanendo sul vago perché davvero non lo sa o sta solo cercando di coprire un amico?
“Okay.” dico afferrando il cancello per uscire. “Magari lo chiamo…”
“Certo, a presto…”
Sappiamo tutti e due che non succederà, ma preferiamo mantenere un sorriso di circostanza per tenere a bada l’imbarazzo che ci accumuna. Lo saluto, mi dirigo verso l’auto, ma prima che possa sparire per non tornare mai più, Rossano mi chiama.
“Melissa…”
“Sì…” dico voltandomi.
“Se dovessi cambiare idea sull’appartamento, io sono ancora interessato.”
Ammetto che l’ipotesi di espatriare mi alletta parecchio, ma lì per lì, la sola cosa che mi viene è molto semplice.
“Non credo che cambierò idea.”
Salgo in macchina e me ne vado.
SESSANTOTTESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova