uando inciampi e stramazzi al suolo e qualcuno per caso ti vede, la velocità di cadere è direttamente proporzionale a quella di rialzarsi — se non ti rompi niente — ma c’è una cosa che non mi spiego: perché nove persone su dieci invece di soccorrerti scoppiano a ridere? Ma soprattutto, perché non faccio parte di quella nobile minoranza?
Ho dato la colpa ai neuroni a specchio che ti fanno immedesimare nella caduta, ma esiste anche una teoria che dice che l’ironia, essendo una strategia narrativa, permette a chi la usa di porsi più in alto della cosa di cui ride, e questo spiegherebbe che non è stato per cinismo se ho riso quando mia madre e Giaco sono caduti, ma solo per deformazione professionale.
Giugno 2006. Emma ha un anno e io e mia mamma decidiamo di fare una settimana di ferie a Cesenatico: una vacanza madri-figlie. L’attività fisica quotidiana con me è obbligatoria, così suggerisco un bel giro in bici sul porto Canale. Alla mia proposta, Emma ride, la mamma sbianca.
“Non ti va?” le chiedo delusa.
“Non è che non mi va, ma è passato tanto tempo dall’ultima volta…”
“Mamma”, dico con rimprovero, “pensa al detto: ‘è come andare in bicicletta’, quando si impara mica si dimentica! Andiamo.” concludo incoraggiante.
Mia madre si rassegna e mi raggiunge nel parcheggio delle bici dell’albergo per scegliere la sua, io prendo la mia e carico Emma sul seggiolino. Si parte.
Che bello l’inizio dell’estate, penso, mentre la mia piccola indica le grandi barche colorate che assomigliano ai velieri dei pirati. Mi volto a controllare la mamma che è dietro di noi e, come immaginavo, pedala a meraviglia. La felice considerazione elaborata dai miei pensieri si è appena conclusa, quando a un tratto sento un tonfo alle mie spalle: mi volto e vedo mia madre in piedi che ride. Sono i passanti che la soccorrono e la bicicletta per terra a dirmi che è caduta. Mi precipito da lei, ma la sua risata contagia anche me.
Emma, che ha poco più di un anno, ha la stessa espressione dei passanti, ed è traducibile in: ‘ma ti pare?’
Cerco di ricompormi, la faccio scendere dalla bici e raccolgo quella della mamma chiedendole se se la sente di risalire, ma sta ancora ridendo: mi pare evidente che l’ironia è una caratteristica di famiglia.
Giaco, invece, che proviene da un altro ceppo, quando è caduto ha avuto una reazione diversa.
Maggio 2009. Gita a Roma con la family e c’è il diluvio universale. Ma invece di aspettare che smetta di piovere, io e Giaco portiamo le bimbe in un parco giochi al coperto per trascorrere un pomeriggio alternativo. Emma ha quattro anni, Carola deve ancora compierne uno e l’idea funziona: si distraggono e si divertono.
Sono le cinque quando usciamo e sta ancora piovendo. Giaco ha in braccio Carola, io tengo Emma per mano e chiamo un taxi per tornare in albergo. Sto memorizzando nome e numero segnalato dall’operatore, quando Giaco scivola e cade di schiena con la bimba in braccio.
“Mamma, papà si è rotto!” esclama Emma.
Corriamo da loro, ma sono circondati da tutte le persone che hanno assistito alla scena.
Ci fanno spazio e appena vedo che Carola sta bene e che Giaco si è rialzato, la sua espressione sofferente, invece di allarmarmi, mi scatena una crisi di riso isterico. Se a lui manca il respiro per la caduta, a me manca per la risata che non riesco a controllare.
La folla mi guarda con disprezzo, se potesse parlare direbbe all’unisono: ‘ma che razza di moglie sei?”
A salvarmi dal linciaggio è il taxi che si è appena fermato davanti alla struttura.
Mi ricompongo e prendo Carola in braccio.
Emma pensa al papà: afferra la sua mano e lo accompagna alla macchina premurosa.
Siamo appena saliti ed ecco che rivedo il volo di Giaco in loop.
È più forte di me, mi rimetto a ridere.
“Dove andiamo?” chiede il tassista.
“Un attimo, adesso glielo dico.” rispondo con le lacrime agli occhi. “Mio marito è appena caduto…”
“Scusi eh, ma che razza di moglie è?”
Illustrazione: Valeria Terranova