on so dire di preciso cosa abbia riacceso questa fiamma, ma di fatto, Milano è una città che mi ha sempre stimolato a migliorarmi, e dopo la mia presentazione di dicembre, ho deciso che se voglio crescere professionalmente, devo lavorare sulla mia personalità e avere maggiore fiducia in me stessa.
Ma il problema — come suggeriscono Emma e Carola — è che io da me stessa pretendo sempre troppo. E spesso, le mie aspettative molto alte si traducono in grandi delusioni difficili da gestire.
Il continuo mettermi alla prova dimostra chiaramente che, seppure sia un’eterna insicura cronica, sotto sotto, sono anche la mia prima fan. #DajeEnri.
Ci sono azioni che a qualcuno non creano alcun tipo di ansia e per altri, invece, quelle stesse azioni rappresentano veri e propri tormenti esistenziali, che poi abbiamo tutti — figurati gli artisti — o non si spiegherebbe perché oggi, gli studi di psicoterapia siano in aumento.
Lo avevo intuito tredici anni fa che frequentare settimanalmente uno strizzacervelli sarebbe stata una buona idea. Ma lo psicologo è un po’ come l’idraulico: di solito te lo consiglia un amico fidato ed è Francesca a suggerirmi questo dottore da cui è già stata.
Mi avverte che è un signore dall’aspetto buffo, assomiglia a un piccolo Buddha, è pacato nei modi e nel tono della voce, è un buon ascoltatore e tira fuori il lato che ti piace che non sapevi di possedere.
Con questi presupposti, stregone o medico che sia, vale la pena tentare.
Ed ecco che la mia mente mi riporta indietro, al nostro primo incontro.
Lo studio del dottor S. si trova sul retro di un ambulatorio odontoiatrico.
Busso alla porta, mi invita a entrare, mi accomodo sulla sedia che sta dall’altra parte della scrivania e noto che il dottore assomiglia davvero a un piccolo Buddha, con gli occhiali però. Ed è letteralmente incastrato nella sua poltrona di plexiglas trasparente, che sta per rompersi in due.
Dalle dimensioni della sua stazza, avrei scelto una poltrona più ampia, ma forse è una gentile concessione dell’associazione dentisti italiani qui a fianco.
Il dottor S. appare comunque disinvolto, sembra averci fatto l’abitudine, o forse no. Inizia a tossire, tossisce ancora, non si ferma. Vorrei versargli un bicchiere d’acqua, ma lui mi fa un cenno con la mano e non capisco se vuole dirmi: ‘lascia perdere è finita’ o se, piuttosto, ‘posso farcela, stai tranquilla’.
La voce si tranquillizza, la sedia lo immobilizza, si ferma e mi chiede cosa mi affligge.
Ho continuato a raccontargli ‘cosa mi affligge’ anche nei tre anni successivi.
Le dinamiche cambiavano con il passare del tempo e lui restava lì ad ascoltarmi.
A dire la verità, un paio di volte l’ho beccato russare. Probabilmente a causa della mia parlantina a mitraglia che stordisce chiunque. Disse che si stava concentrando a occhi chiusi.
Gli ho creduto.
Smisi di vederlo perché mi sentivo meglio, lui ne fu felice. Ma anche la mente, come il corpo, di tanto in tanto, ha bisogno di filler. Le nostre chiacchierate mi mancano, voglio riprendere le sedute con il dottor S.
Lo decido lì, davanti all’albergo, prima di tornare a casa dalla family. Ringhio è a pochi passi da me.
Cerco il suo numero in rubrica, ma non è attivo. Non sono mai stata una paziente morbosa, ma se mi avesse bloccata?
Faccio una ricerca su Google e dalle recensioni che trovo sotto il suo nome, scopro che è venuto a mancare.
Avrei preferito che mi avesse bloccata.
Mi sfugge un sorriso ricordando quel rarissimo esemplare di dolce umanità.
E mi sfugge anche un pianto per il dottore che, tra un sonnellino e l’altro, ha sempre trovato il modo di tirarmi su di morale.
“Quindi amo che dice?” mi chiede Valeria.
Mi volto a guardarla e si accorge delle lacrime.
“Cos’è successo?”
“Il dottor S. è morto.” dico con voce strozzata.
“Mi dispiace.”
Ringhio mi abbraccia.
“Come farò a sostituirlo?” le chiedo.
“Amo non ti preoccupare, lo psicologo è un po’ come l’idraulico: lo cerchiamo su Pronto.Pro.”
In certi momenti, adoro il suo pragmatismo.
Illustrazione: Valeria Terranova