l rettangolo luminoso che sta sul palmo della mia mano, mi ha appena lasciato a bocca aperta.
Sento uno strano ritmo nelle vene: credo sia la Marsigliese e il mio corpo brucia dalla voglia di esibirsi in un can-can, ma viste le mie condizioni, mi sembra prematuro. Meglio limitarsi a un grido di gioia: Jerôme mi ha risposto.
“Cara Melissa, ti leggo solo adesso, spero che non sia troppo tardi…”
A quanto pare sono stata convincente.
“Mi dispiace di averti dato l’impressione di essere snob, ma da Dior mi spremono come un limone e controllo Instagram solo di rado. Mi hai chiesto di non leggere i tuoi messaggi, ma non ho potuto farne a meno, sei così divertente.”
Lo immagino sotto la Tour Eiffel, mentre ride delle mie disavventure. Ai suoi occhi sarò anche un piccolo gatto spelacchiato, ma le sue parole mi fanno gongolare.
“Mi farebbe piacere spedirti il mio libro e sarei felice di scrivere una dedica per te e per Cassandra.
Fammi sapere il tuo indirizzo.
A presto
Jerôme.”
D’istinto mi viene da mangiarmi le unghie: un po’ per l’emozione, un po’ perché mi sento in trappola.
È tutta colpa di Dior: se gli avesse lasciato più tempo libero, non avrebbe aspettato così tanto a rispondermi e io non sarei dovuta ricorrere all’espediente del terribile incidente. Ora come glielo spiego di avere un tantino esagerato?
“Caro Jerôme, sono sopravvissuta.
Dopo una settimana trascorsa fra la vita e la morte, in cui mi è addirittura parso di vedere la signora con la falce ai piedi del letto, l’equipe di medici è riuscita a salvarmi: ora, sono fuori pericolo.”
Può funzionare, potrebbe credermi.
Ma pare non abbia colto la parte in cui gli chiedo di essere l’ospite d’onore alla festa di Cassandra: l’operazione ‘annientamento Britney’ rischia di saltare e non posso permetterlo.
Come convincerlo?
“Cassandra sarà felice di ricevere il tuo libro autografato, ma ora che aspetta un bambino a cui ha deciso di dare il tuo nome, se potessi essere tu a consegnarglielo di persona, sarebbe fantastico.
Come ti avevo già scritto in precedenza, sarei io a pensare a trasferta e soggiorno, devi solo dirmi di sì: sei il suo idolo.
Pensaci.
A presto.
Melissa.”
Forse, anche questa volta, ho esagerato: Cassandra non ha mai appeso alla parete il poster di Jerôme Gautier — è sempre stata un tipo da Spice Girls — ma ha il suo libro su uno scaffale e questo significa qualcosa. Devo solo sperare che il figlio di Cassandra sia maschio, nessuno conosce ancora il sesso, ma potrei aver indovinato e se Jerôme ha un cuore, vorrà conoscere la madre del suo nipote acquisito.
Anche io ho acquisito un ragazzo: Diet Coke e siamo ufficialmente una coppia.
“Melissa, mi piaci.” È cominciata così, sul divano di casa mia, tre giorni fa.
E non c’era un secondo fine — sì insomma: non che mi sarei tirata indietro, ma le mie costole incrinate non possono ancora permettersi una notte bollente — in quella frase c’era tutto ciò che volevo sentirmi dire, da tanto tempo.
Un nuovo fidanzato agisce su una donna come il botox sulle rughe: in un attimo dieci anni di meno.
Luca è dolce, è bello, è sexy — conto con le dita mentre faccio l’elenco di ciò che vedo quando lo guardo — e nemmeno se lo avessi trovato scritto sul foglietto di un biscotto della fortuna, avrei creduto che il mio ragazzo potesse essere un fico da paura con il cuore tenero.’
Questa consapevolezza si traduce inevitabilmente nell’espressione che dovrei controllare, quella che mi esce ogni volta che lo guardo sognante — traducibile in: come ho fatto a incastrarlo?’ — ma Luca sembra essere riuscito a mettere in discussione la mia confusione.
Forse sono meno incasinata di quel che penso: se gli piaccio, tutto ciò che di me ho sempre criticato non deve essere poi così male. O forse non lo ha ancora notato… Forse è miope.
O forse, è così e basta.
Continuo a chiedermi se il merito sia del cappotto di Saint Laurent. Non credo sia un semplice cappotto, ma un oggetto dai poteri paranormali, capace di cambiare il corso degli eventi. Se quella mattina alla stalla, non lo avessi indossato, Luca non si sarebbe accorto di me e se non lo avessi rovinato, non sarei passata in tintoria la sera dell’incidente e se non fossi finita in ospedale, lui non si sarebbe presentato con una pizza per rubarmi il cuore.
E siccome tutto si è risolto nel migliore dei modi, non voglio sfidare la sorte: non lo indosserò mai più.
Cassandra non lo ha ancora rimesso nell’armadio, sta lì: appeso a una delle ante laccate di bianco, in bella vista come il quadro di una mostra. Titolo dell’opera: ‘Sei tornato a casa e ancora non ci credo.’
La settimana è passata in fretta, Max non mi ha mai lasciato sola, fatta eccezione per quella piccola pausa che si è preso per scavare una buca in giardino: è grande quanto l’Area 51 del Nevada, ma chiederò a Luca di sistemare, prima che Cassandra se ne accorga e ci uccida tutti e due.
Il suo umore — condizionato inevitabilmente dagli ormoni impazziti e dalla nausea — non garantisce stabilità, ma non voglio pensare a come sarà vivere qui senza di lei, e il momento che temo è sempre più vicino.
Per ingannare la mente, ho deciso di buttarmi sulla lettura, di andare avanti con il libro e ho scoperto che Chanel ha addirittura tentato di conquistare Hollywood.
Nell’estate del 1930, Gabriel frequenta spesso Montecarlo. Dimitrij, che era già stato il tramite tra l’amica ed Ernest Beaux, il creatore di Chanel Nº5, le presenta il produttore Sam Goldwyn, che da tanto tempo desidera conoscerla.
Sam, figlio di un venditore ambulante come Coco, dopo aver contribuito alla costruzione della Paramount e della MGM, diventa uno dei personaggi più potenti di Hollywood e si dedica solo a produzioni di particolare rilievo.
La crisi economica del ‘29 si riflette anche sul cinema statunitense, ma Goldwyn è convinto che se la più grande stilista dell’epoca vestisse le star hollywoodiane, il ritorno del pubblico nelle sale sarebbe assicurato.
Le propone un contratto mirabolante: un milione di dollari all’anno. La sua proposta sembra irresistibile, ma Chanel esita, sembra dubbiosa. Forse è vero che il ruolo che ricoprirebbe in quel viaggio le assicurerebbe un ritorno di pubblicità, ma non ne ha bisogno. Le ricche donne americane sono già sue clienti, l’America adora l’alta moda parigina e il suo stile è riconosciuto anche oltre oceano: le clienti più facoltose acquistano i modelli originali, quelle che lo sono un po’ meno si procurano delle copie a un prezzo inferiore e le riproduzioni più approssimative sono alla portata di decine di migliaia di donne. Ma dopo mesi di trattative e di tergiversazioni, Gabrielle decide di raggiungere Hollywood.
Attraversa l’oceano con un esercito di modelle, assistenti e sarte provenienti da Rue Cambon.
Lungo uno dei binari della Grand Central Station, la attende un treno speciale che la porterà a Los Angeles. Il convoglio, dalla locomotiva al vagone di coda, è tutto bianco: è una commovente attenzione del produttore, che è stato informato del suo amore per quel colore, e il caviale e lo champagne che vengono serviti a bordo fanno dimenticare la lunghezza interminabile di un tragitto di circa cinquemila chilometri.
Quando il treno arriva alla stazione di Los Angeles, Greta Garbo, già all’apice della gloria, accoglie Coco con un mazzo di orchidee. Le due donne simpatizzano immediatamente, resteranno amiche e sarà Chanel a vestirla fino a che non deciderà di ritirarsi dalle scene, a soli trentasei anni. Ma è con Marlene Dietrich Che Gabrielle trova la migliore intesa.
Come tutto il pubblico, Coco adora la strana bellezza di Marlen e diventerà una delle sue migliori amiche.
Chanel ha già vestito i danzatori dei Balletti russi, gli attori della pièce di Cocteau, ma non ha nessuna esperienza del grande schermo e come aveva previsto, il cinema ha le sue leggi: le attrici vogliono primeggiare.
Una donna vestita da Chanel è sobria, elegante, ma le star hanno bisogno di qualcosa di speciale, capace di eclissare le potenziali concorrenti, e lo stile di Coco non sembra il più adatto a evidenziare l’immagine di un’attrice.
Nonostante i film i cui costumi le sono stati affidati godano di una stampa favorevole, i suoi abiti ricevono soltanto brevi commenti, quasi non tenessero il passo con il successo delle pellicole.
Il suo lavoro risulta superfluo: lei lo aveva sempre saputo, ma questa volta, anche il produttore è d’accordo con lei ed entrambi convengono sia meglio porre fine a questa esperienza.
L’essere umano ha un grande dono: l’intuito, ma pare non sia dotato del coraggio sufficiente per starlo a sentire.
Ci sono situazioni che ci colgono alla sprovvista, e nonostante ogni briciola di noi ci implori di ascoltare l’intuito, agiamo d’istinto, anche quando è pericoloso.
Io sono l’esempio perfetto: il mio intuito, che fa tesoro dell’esperienza, mi dice di non dire bugie, ma il mio istinto animale mi riporta alla mia vera natura: mentitore incallito. E mentre scuoto la testa di fronte alla mia presa di coscienza, Cassandra entra in casa.
Max, che ha sentito aprire la porta, solleva le orecchie e si precipita giù per le scale, gli ricordo di non travolgere la mia amica incinta, e alla massima velocità consentita, li raggiungo anch’io.
Le scale mi uccidono, ma c’è qualcosa nel sorriso di Cassandra che mi suggerisce di soffrire più tardi: oggi ha fatto l’ecografia e adesso, che anche il mio destino dipende dal sesso di questo bambino, voglio solo buone notizie.
“Cosa ha detto il dottore?”
“Dice che va tutto bene, mi ha trovato in gran forma. Se non fosse per la nausea, con cui dovrò imparare a convivere, sarei perfetta. Ma la maggior parte delle gestanti ne soffre solo per i primi tre mesi: spero di essere tra le fortunate.”
“E sai già se sarà bimbo o bimba?”
Visto che va tutto bene, non vedo perché non arrivare subito al sodo.
“Certo che lo so…”
“Quindi?”
“Indovina…”
La sua voce squillante assomiglia a quella delle Chipettes dei Chipmunks.
Una brava zia direbbe: non importa, basta solo che sia sano’, ma deve essere un maschio o addio Jerôme.
“Mi basta sapere che sei felice.”
Questa è la frase più trita del mondo, ma se la dici a qualcuno che brucia dalla voglia di confidarti un segreto, il suo entusiasmo si spegne e confessa immediatamente.
“Non dire sciocchezze, queste sono cose che dicono le mamme, le nonne, tu sei Melissa: spara!”
“Maschio?”
Lascio volutamente un punto interrogativo, anche se vorrei che fosse la sola opzione possibile, ma gli occhi di Cassandra, seppure euforici, non lasciano trasparire nulla.
“Ho indovinato?”
“No: è una femminuccia!”
Sto per svenire.
DICIANNOVESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova