e un anno fa, mi avessero detto che avrei cambiato drasticamente la mia vita, non ci avrei creduto. Vi ricordate quando Enrica vi ha raccontato dell’intervista al chirurgo estetico? Quella che mi disse che ero bellissima, che avevo un viso da copertina, ma che dovevo dimagrire?
Bene. Le avevo promesso che ci avrei pensato, ma sono sempre stata in ritardo con tutte le tabelle di marcia della mia vita — la sfortuna cosmica, di solito, non accorcia i tempi — e prendermi cura del mio corpo è sempre stato l’ultimo dei miei pensieri. La verità è che nonostante non sia mai stata magra, mi sono sempre sentita a mio agio con me stessa, anche con trenta chili in più. Stavo bene anche nella mia taglia 48/50.
Ma poi succede che anche il mio medico di base mi mette seduta per farmi una ramanzina a proposito del peso in eccesso, che può causare seri problemi di salute. Ne prendo atto, stavolta seriamente. Quelle frasi continuavano a risuonare nella mia testa come i mantra buddisti, sapevo di dover cominciare, ma da dove? Con chi?
Un bel giorno, Antonio, il mio fidanzato, mi disse: “basta. Io mi iscrivo in palestra. Perché non vieni con me?”
Non mi aspettavo una proposta del genere: anche Antonio ama mangiare, è il re della pizza, delle salsicce, ma conoscendo Furio, sapevo che nel giro di mezz’ora sarebbe uscito per fare ciò che aveva detto e così fu.
Incoraggiai la sua decisione, ma non ero pronta a seguirlo, lo aspettai a casa.
Avevo troppi pregiudizi, gli stessi che mi avevano sempre tenuto lontano dai centri sportivi — odio le palestre; non sopporto il cattivo odore che si respira nelle palestre; non mi piace l’ambiente e la sensazione di disagio che mi provoca la gente che ti osserva come un alieno; la stessa gente che mangia solo insalatine e petti di pollo come fossero gli unici alimenti con cui poter sopravvivere.
Io ero specializzata in maratone di serie tv e film che potevano durare anche tutto il weekend. Sono quasi certa che uno dei sinonimi della parola ‘pigrizia’ sia ‘Valeria’. Ero troppo affezionata al mio posto fisso sul divano. Ma sapevo bene che stavo cercando inutili scuse per non dare una svolta alla mia vita.
Se non fosse che Antonio, detto Furio, tornato dal suo primo allenamento quasi esanime, cominciò a parlarmi di quanto fosse entusiasta, di quanto fosse pulita e ordinata la palestra, di quanto fosse gentile il personale e di quanto gli fosse piaciuto l’allenamento. Neanche fosse nell’ambiente da una vita. Nel frattempo, io, che ero appollaiata alla mia scrivania affollata, continuavo a fissarlo con aria perplessa, con una sigaretta in una mano e la matita nell’altra.
“Hai a disposizione quindici giorni per fare una prova gratuita, se non ti piace, nessuno ti obbliga, ma potrebbe piacerti.” mi disse.
Lo dissi a Enrica che rimase entusiasta della mia decisione ed è anche ‘colpa’ sua se dal primo momento in cui ho messo piede lì dentro, non ho più smesso di andarci. Chi l’avrebbe detto che sarei diventata un ‘animale da palestra’? Oggi mi sento e so di essere una persona diversa. Sia fisicamente che psicologicamente.
Sono più positiva e motivata. Non che prima non lo fossi, ma dopo questa esperienza, ho scoperto una parte di me che prima non conoscevo: affronto le cose in modo diverso, con uno spirito più propositivo. Sono felice.
Volermi bene è stata l’unica cosa che mi ha spinto ad andare avanti e per cui sono motivata a continuare: lo faccio per me, solo per me.
Ho perso ventuno chili, forse non sarò mai una taglia 40, ma non mi importa, non è mai stato uno dei miei obiettivi, ciò che conta per me è essere la mia versione migliore.
Il peso, la taglia sono fattori che ruotano da sempre attorno all’universo femminile e volente o nolente condizionano la nostra autostima. Noi donne dovremmo imparare ad amare noi stesse per rendere la nostra vita straordinaria.
Non sono le taglie che indossiamo a fare la differenza, ma l’idea che abbiamo di noi stesse — con pregi e difetti. E se ci sono riuscita io, può riuscirci chiunque. Provare per credere. Ora scusatemi, ma ho una lezione di cardio che mi aspetta, sono già in ritardo.
Testo e illustrazione di Valeria Terranova