ifetti? Innumerevoli.
Pregi? Abbastanza, ma senza dubbio, uno dei più distintivi è la mia capacità di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Ho appena salutato Paolo, sto tornando a casa, ma il lato positivo è che sfrutterò parte del viaggio per raccontare a Michele il mio capodanno. Per messaggio ci siamo solo scambiati gli auguri, ma come potrebbe immaginarsi tutto il resto?
Sono quasi le undici, lo chiamo.
Tre squilli, la sua voce, il mio sorriso.
“Amore buongiorno e buon anno!”
“Ciao amore.” dice un po’ assonato.
“Ti ho svegliato?”
“No. Sono a letto con il virus intestinale.”
D’istinto, mi allontano dal viva voce, quasi potessi essere contagiata per trasmissione radio.
“Mi sembra inutile chiederti come stai…” mormoro.
“Uno straccio.” risponde prontamente, lasciando trapelare una certa sofferenza.
Ma seppure mi dispiaccia sentirlo in questo stato, di fatto, è immobilizzato in un letto e quindi può starmi a sentire: è perfetto.
“Te la senti di stare al telefono? Devo raccontarti una cosa.”
Conosco Michele e so con certezza che quel ‘devo raccontarti una cosa’ lo rimetterà in piedi. Potrebbe essere in punto di morte, ma non si perderebbe mai ciò che suona come un pettegolezzo.
“Certo tesoro, sono qui.”
Non posso vederlo, ma so che ha appena sistemato i cuscini dietro la schiena per mettersi comodo.
Mi schiarisco la voce.
“La sera di Capodanno, dopo aver raggiunto l’albergo ed essermi messa l’abito che mi hai consigliato, arrivo alla festa. Entro e vedo Paolo che si struscia con una brunetta…”
“Che cosa?”
Lo immaginavo al buio, ora credo che abbia acceso la luce.
In effetti, ‘strusciare’ è un termine un po’ forte. Riformulo.
“Cioè… stavano ballando belli stretti.”
“Anche un po’ amoreggianti?” mi incalza.
“Oh sì, decisamente… ma non è questo il punto. Ciò che voglio dire è che niente è come sembra.”
“Si strusciavano o no?”
“Un pochino… ma era solo la moglie di Celiane. È solo un’amica.”
“Chi è Celiane?”
“Uno dei suoi amici di Cortina, il fotografo di Royal Picture…”
“Capito: quello carino.” mi interrompe. “E lei com’è?”
Che razza di domanda è?
“Sei sicura che fosse sposata? Hai controllato? Aveva la fede al dito?”
“Come sei diventato diffidente…” dico in tono provocatorio.
“Ho le difese immunitarie al limite.”
Mi metto a ridere: chissà perché, ma credo che si stia scolando quattro fialette di fermenti lattici mentre lo dice.
“E comunque sì, ho controllato.”
“E come lo hai scoperto che è solo un’amica?”
“Dopo un inseguimento in auto, un rapimento, un chiarimento e una notte bollente.” rispondo soddisfatta.
“Dunque, ricapitoliamo: tu sei fuggita, lui ti è corso dietro e poi ti ha rapito?”
“Esatto, davanti all’albergo: siccome non avevo intenzione di farlo salire da me, mi ha caricato sulla spalla, poi sulla sua auto e alla fine mi ha portato a casa sua: dove si è consumato il chiarimento e la notte di fuoco.”
E mentre sento crescere la foga di raccontare la parte più importante della storia, realizzo che non avere Michi di fronte e non poter cogliere le sue sfumature espressive è limitante. Mi danno sempre un quadro preciso dei suoi pensieri.
Ma non è tutto.” mi precipito ad aggiungere. “La mattina seguente, sono la prima a svegliarmi, lascio la camera da letto e indovina cosa trovo?”
“La bionda nel cassetto?”
Noto con piacere che il virus non ha intaccato la sua mente fervida.
“Sbagliato. Non solo la foto è scomparsa, ma è stata proprio Camilla ad avvisare Paolo di avermi vista uscire dal ristorante.”
“Quindi è fuori combattimento?”
“Ufficialmente.”
Lo dico con una certa soddisfazione, mentre mi guardo nello specchietto retrovisore sorridendo.
“E cosa trovi invece?”
“Il mio regalo di Natale. Che però non posso aprire: Paolo sta ancora dormendo.” preciso. “Ma sbircio il biglietto che mi ha scritto, in cui dice che anche se il suo regalo è arrivato in ritardo, il suo cuore sarà sempre qui ad aspettarmi.”
“Mi sembra di vederla la tua faccia sognante…” mormora.
Come dargli torto?
“Lascio il pacco dove l’ho trovato e vado in cucina a preparare la colazione, lui arriva poco dopo, mi chiede di seguirlo in salotto e mi consegna il regalo.”
“Okay… credo di capire che il pezzo che muori dalla voglia di raccontarmi sia questo, ma per correttezza, devo informarti che sto per correre in bagno: non mi sento benissimo…”
“Vuoi che ti richiami?” chiedo preoccupata.
La telefonata si interrompe ancora prima che possa concludere la domanda: doveva proprio trattarsi di un’emergenza.
Mi richiama due minuti più tardi, la sua voce è debole, ma non ha dimenticato il punto esatto in cui siamo stati interrotti.
“Quindi, stavi dicendo: ti chiede di seguirti, ti consegna il regalo…”
“Ma prima che possa aprirlo, lui accende la radio e si mette a cantare.”
“Mezzo limone canta?” chiede stupito.
“Il tempo di morire… Vasco Rossi.” dico ridendo.
“Ma non era di Battisti?”
“Sì, ma lui ha usato una versione di Vasco.” puntualizzo.
Eviterei di aggiungere che si è presentato mezzo nudo come uno dei California Dream Men, non credo reggerebbe, ma il resto deve starlo a sentire.
“Apro il pacco e trovo il modellino di una moto Gilera 125….”
“Perché ho il sentore che non sia quello il vero regalo?” mi interrompe.
“Perché il tuo istinto non sbaglia: dentro la scatola, sul faro della moto, c’è un anello.”
Lo dico così, senza tergiversare, un po’ perché non ce la faccio più e un po’ perché il tempo che speravo di avere a disposizione per una descrizione accurata, il virus se lo sta portando via.
“Accompagnato dalle parole del testo, mi chiede di essere sua, per sempre, di dirgli di sì, e io lo abbraccio, lo stringo a me e dico sì.” concludo soddisfatta.
“Non ti avrà chiesto di sposarti, spero…”
“Sapevo che lo avresti detto.”
“Se ti regala un anello, ti sta chiedendo di sposarti.”
“Non ti facevo così retrogrado.” mormoro.
“Retrogrado? Mi stai accusando di essere retrogrado? Un anello è un anello, anche per il ‘nostro’ mondo.” ribatte concitato.
Ho di nuovo l’impressione di vederlo: con quella smorfia sul viso, mentre si domanda se Paolo sia impazzito.
E anche se potrei essere interrotta dal suo stomaco sottosopra, capisco che non posso fare altro che soffermarmi sui dettagli: lo sanno tutti che sono loro a fare la differenza.
Ci sono abbracci che vorresti potessero durare per sempre.
Quegli abbracci che fondono gli animi e che, in una sola manciata di secondi, chiudono una parentesi e ne aprono un’altra. Quegli abbracci che ti fanno sentire così al sicuro, che quasi ti spaventa chiederti cosa succederà quando lascerai la presa.
E quando senti giungere quel momento, ti accorgi che il lume della ragione, che hai sempre immaginato come una piccola luce fioca all’interno di una lanterna, è invece una grande insegna al neon intermittente che cerca disperatamente di farsi notare.
Continuo a tenere Paolo tra le braccia, ma non capisco se sia un gesto dettato dal semplice desiderio di stringerlo, o se, piuttosto, sia un mezzo per prendere tempo e rielaborare i fatti che hanno preceduto l’abbraccio, chiedendomi se possa aver frainteso le sue parole.
E se dietro la dichiarazione d’amore più romantica della mia vita si nascondesse una proposta di matrimonio che mai potrei accettare in un momento simile?
Sofia è la mia priorità, ho ancora troppe questioni in sospeso e sono certa che Paolo non si sognerebbe mai di chiedermi di sposarlo. Ma se mi sbagliassi?
Dove sono finite le mie certezze?
È Paolo a lasciare la presa per primo, mi sorride, appoggia l’anello sul tavolo e mi prende le mani. Il tepore delle sue mi fa notare quanto siano fredde e umide le mie. Cerco di tenere a bada lo sguardo, che appena può sguscia via dal suo per valutare l’anello che sta sul tavolino. E non posso fare altro che pensare che su un campione di cento donne, novantotto di esse bramerebbero un solitario, ma io e l’altra, invece, non siamo pronte per una proposta ufficiale.
Cerco di rimanere concentrata su di lui, sul suo viso, ma in modo quasi involontario è come se il mio battito di ciglia lanciasse un messaggio in codice Morse, suggerendogli la domanda che non trovo il coraggio di porgli.
Non mi stai chiedendo di sposarti, vero?
“Sei strana.” mormora.
“No affatto, perché?” chiedo in tono innocente.
“Posso darti il mio anello?”
Ho un tuffo al cuore. D’istinto chiudo gli occhi. Difficile capire se sia per imitare i bambini che aspettano la sorpresa, o più per la paura di trovarmi di fronte a un solitario. Ma quando li riapro, l’anello è ancora sul tavolo e lui mi guarda con un’espressione divertita.
“Eva, sarò sincero: starti dietro non è semplice, ma ci ho messo vent’anni per ritrovarti e ora che sei qui, l’ultima cosa che voglio è perderti. E siccome credo di conoscerti, non ti chiederei mai di sposarmi.”
Sono travolta da uno tsunami di felicità.
Non solo la cosa mi solleva, ma le fossette che gli spuntano sulla guance, che solo quel sorriso audace sa produrre, mi provocano un pizzico di eccitazione.
“Non sono i matrimoni che uniscono le persone, ma i sentimenti sinceri, e io ti sto chiedendo di far parte della mia vita.” conclude.
D’improvviso, tutte le certezze che credevo di aver smarrito chissà dove, sono di nuovo davanti a me. D’improvviso, la domanda implicita, nascosta nella sua dichiarazione, che ho tatuato nella mia mente e che mai scorderò: ‘dimmi che sei mia, che sarai mia per sempre, dimmi di sì…’ trova la stessa risposta di poco fa.
“Sì, mille volte sì: voglio far parte della tua vita e voglio che tu faccia parte della mia.”
Piango mentre lo dico: la consapevolezza di poter credere ancora nell’amore, nonostante tutto, ti apre il cuore e anche la mente. Anch’essi, citando Einstein, sono come il paracadute: funzionano solo se si aprono.
Mi asciuga le lacrime e il suo sorriso contagia il mio. Paolo afferra l’anello, lo infila al mio dito e dice: “non volevo che ti facessi strane idee…”
E ora che lo vedo sulla mia mano, da una distanza ravvicinata, non solo mi accorgo che non è un solitario come avevo temuto, ma che si tratta di una semplice fedina con una piccola pietra verde incastonata, su cui è incisa la frase: ti amo.
Sto per commuovermi di nuovo, ma prima che possa succedere, Paolo aggiunge: “è il modellino il vero regalo: vale una fortuna.”
Mi strizza l’occhio, mi bacia e si alza dirigendosi in cucina.
Qualcuno la chiama ‘questione di feeling’, ma è come se uno di noi due fosse sempre pronto a suggerire all’altro il modo migliore per agire e facilitare le dinamiche altrui.
Nonostante abbia sempre cercato di razionalizzare, ci sono cose che vanno oltre la ragione, che succedono e basta e so che con lui tutto andrà bene.
“C***secco: non smetterai mai di sorprendermi.”
Il suo tono di voce, decisamente più rilassato, lascia intendere che anche il ‘loro’ mondo è disposto a considerare le eccezioni che confermano la regola.
“Sai che non amo gli standard.”
“Nemmeno ti ricordavi chi fosse…”
“Non dirmelo.”
“Non volevi nemmeno dargli una possibilità…” aggiunge con enfasi.
“Lo so, è assurdo, a volte mi capita addirittura di chiedermi cosa sarebbe successo se mi avessi portato a Miami.”
“Tutto questo romanticismo mi fa pensare che il campione di ping pong della Versilia si sarebbe fatto trovare anche in capo al mondo.”
“Lo pensi davvero?”
“No. Era per dire.”
“Dì la verità… so che ci hai creduto dall’inizio…” dico incalzante.
“La verità? Non credevo nemmeno che arrivasse a Natale, ma mi sbagliavo: ha addirittura trovato il modo di legarsi a te, mi toccherà congratularmi.”
Avere la sua approvazione conta tanto per me. Anzi, a essere sincera, è la sola di cui mi importa.
“E ora che farai?” mi chiede.
“Sto tornando a casa, Sofia rientra nel pomeriggio, le spiegherò che succede e le chiederò di fare un paio di giorni al mare per presentarle Paolo.”
“Ecco, di una cosa sono certo: le piacerà, vedrai…”
“Vorrei che fossi qui per abbracciarmi.” mormoro.
“Invece, tornerò in bagno, e con una certa urgenza, ma fammi sapere come va.”
La telefonata si interrompe definitivamente e io resto sola con la strada che mi condurrà fino a casa, fuori c’è il sole e lo sento brillare anche dentro di me. Penso a ciò che succederà, a come succederà: sono carica di vita. E voglio viverla come mai prima d’ora.
Questa è la mia chance. Tutto il pacchetto è la mia chance. Ma se la felicità non fosse fatta di attimi, forse non sapremmo riconoscerla.
E lì, mentre mi affaccio alla finestra di un futuro radioso, uno dei fantasmi del mio passato bussa alla porta.
Leggo il suo nome sul telefono e non voglio rispondere. Cosa vuole da me? Sono passati due anni dall’ultima volta che l’ho sentita.
Dopo la morte di papà, è partita per chissà dove, alla ricerca di se stessa, e ora, d’un tratto, si ricorda di un pezzo di essa? Solo adesso si ricorda di sua figlia?
La sua telefonata quasi mi offende.
La sola, dopo due anni, non sa niente del divorzio, e non voglio mettermi a discuterne ora. Sofia sta tornando devo organizzare una nuova partenza, e il solo suono della sua voce mi rovinerebbe l’umore.
Il telefono continua a squillare: vorrei solo sentirlo smettere. Sto per riattaccare, ma poi ci ripenso. Io affronto i problemi, io non sono come lei.
QUARANTASEIESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova