iao Melissa, sono Luca, come stai?
Ho provato a chiamarti, ma devo aver scelto il momento sbagliato. Richiamami se ti va…”
I miei occhi si alzano dallo schermo e si gettano su quelli di Cassandra, che sono fissi su di me, con un’espressione meravigliata, curiosa, eccitata.
Se non mi avesse appena confessato di avere già letto il messaggio, giurerei che sta per chiedermi cosa c’è scritto.
“Quindi?” si affretta a domandarmi per non perdersi le mie prime riflessioni.
Ma non so cosa rispondere, sono frastornata, in parte felice e sopratutto dubbiosa, molto dubbiosa.
Ho sempre pensato che i messaggi che ti scrivono i ragazzi necessitino di una sorta di interpretazione.
Qualcuno crede che siamo noi a lavorare di fantasia, che amiamo complicare ciò che è semplice, ma non è proprio così: lo sanno tutti che uomini e donne vengono da pianeti diversi e si esprimono in maniera differente.
“Quindi…” dico sospirando, “prima di rispondere, dobbiamo tradurre da marziano a venusiano.”
“Che cosa?”
“Tu sei fidanzata, stai addirittura per sposarti, dovresti saperle certe cose: più i messaggi sembrano chiari, più sono difficili da decifrare.”
“Melissa: ti sta dicendo di richiamarlo, è chiaro che ha voglia di uscire con te e vuole chiedertelo a voce. Non è romantico?”
Quanto invidio la sua sicurezza. Mai un dubbio, mai una perplessità, ma io non sono come lei e non credo che lo sarò mai. Io sono una pasticciona, una titubante cronica e il mio bicchiere mezzo pieno lo ha bevuto qualcun altro. E nonostante la sua aria sognante sia quasi contagiosa, dopo il trauma cranico, la mia necessità di razionalizzare sembra essersi amplificata.
“E se invece volesse solo un parere medico sulla sua mucca?”
“Quale mucca?”
Il rossore si deposita sulle mie guance in modo quasi incontrollato e il mio imbarazzo resta lì: in bella vista, davanti a lei.
“A quanto pare non sei la sola ad avere dei segreti…” mi stuzzica Cassandra. “Si può sapere chi è?”
Potrei usare la domanda che mi ha fatto per anni e limitarmi a rispondere: ‘è il padrone carino di un paziente che ho visitato.’ Ma non voglio arrivarci subito, voglio raccontarle la verità — tutta la verità — e visto che ora, il suo cappotto sta appeso dentro un cellophane pulito e profumato, posso permettermelo.
Appoggio il telefono sulle lenzuola e mi metto a raccontare.
“Quella mattina, ho preso in prestito il tuo cappotto perché sapevo che ci avrebbe fatto visita un collega di Roma, un esperto di animali esotici, e volevo fare colpo.”
Cassandra sembra molto interessata alla faccenda, pende quasi dalle mie labbra.
Cerco di aumentare l’enfasi, per farle capire cosa mi aspettassi.
“Sono arrivata in clinica e si parlava solo del dottore della giungla. Anche io mi ero fatta un’idea: me lo ero immaginato come Tarzan. Il Tarzan della Disney per essere esatti, e i miei ormoni stavano già facendo cross-fit.”
“Continua…”
“Ma quando è arrivato e me lo sono trovato di fronte… ho pensato che potevo lasciare il tuo cappotto nell’armadio.”
“Perché?” chiede delusa.
“Prova a indovinare… basso, grasso, calvo e con gli occhiali a fondo di bottiglia.”
Non riesco a decifrare l’espressione di Cassandra: disgustata? Delusa?
“Non mi dirai che ti vedi con questo?”
“No!” rispondo contrariata. “Sono struccata, ho appena subito un trauma cranico, ho gli occhi pesti, un turbante di garze, ma a parte questo: credo di meritare di meglio.”
“Stavo solo chiedendo…” dice con aria innocente, come se il mio racconto portasse a questa conclusione prevedibile.
“Ma se non è lui, chi è questo Luca?”
Ora viene la parte più difficile: quella che la riguarda da vicino.
“La conferenza del dottore della giungla era appena cominciata e stavo già morendo dalla noia, quando all’improvviso, uno dei miei colleghi mi chiede di raggiungere un suo amico fattore, con una mucca sul punto di partorire: mi ci sono fiondata.”
E mentre cerco di trovare il coraggio per raccontare il resto, sorvolando sul fatto che il suo cappotto abbia assistito alla nascita di un vitello in diretta, lei mi anticipa.
“Luca è il fattore?”
“Esatto!”
“E com’è?”
“Il sosia della pubblicità della Diet Coke in versione country.” rispondo sospirando, mentre mi concedo un istante per ripensare a quanto sia bello.
“Melissa: se non esci con lui, ti uccido: lo devi al mio cappotto!”
In effetti, ha ragione.
Ora, dovrei prendere il telefono, richiamarlo e chiacchierarci come se niente fosse, ma non ci riesco.
Già immagino la scena: io che mi attorciglio i capelli con le dita in modo nervoso, la mia voce che trema e il silenzio imbarazzante tra una battuta e l’altra, causato dalla poca confidenza.
“Hai ragione, aiutami a rispondere al messaggio.”
“Messaggio? Devi richiamarlo!”
“L’ho visto una volta soltanto, di lui non so niente e forse dimentichi che ho appena avuto un incidente: da medico, suggerisco di limitare lo stress e di concentrarmi solo sul messaggio.”
La parte in cui menziono lo stress deve averla convinta ad assecondarmi.
Si alza dalla sedia che sta accanto al mio letto e si avvicina a me, rimanendo in piedi, per aiutarmi a decidere come rispondere.
Apro il messaggio e lei inizia a leggerlo ad alta voce.
“Ciao Melissa, sono Luca, come stai?”
“Bella domanda Diet Coke!” intervengo con spirito. “Sono in ospedale, ho avuto un incidente e ho due costole incrinate, ma a parte questo — e la macchina in carrozzeria — tutto bene.”
“Suggerirei, piuttosto, la solita risposta standard: ‘bene, grazie e tu?’”
“Okay e qui? Quando dice di aver sbagliato il momento? È chiaro che abbia sbagliato il momento…”
“Ma non puoi dirglielo! Quella frase sta lì soltanto per una questione di forma. Vuole che tu dica che non è vero, che sei felice di aver visto la sua chiamata e che sei dispiaciuta di non aver potuto rispondere…”
“Per forza: ero in ambulanza.”
La sua espressione infastidita, mi fa capire che non devo interromperla.
“Facciamo così: io detto, tu scrivi.”
Mi sembra di capire che se voglio risolvere questa situazione con successo, devo affidarmi alla sua esperienza, senza ribattere.
“Ciao Luca, sto bene grazie e tu? Ho tolto la suoneria al telefono e non ho sentito la tua chiamata. Ho un paziente con due costole rotte e mi sto occupando di lui. Possiamo sentirci domani? Un bacio Melissa.”
“Domani?” chiedo terrorizzata?
“È solo un modo per prendere tempo…” dice, cercando di tranquillizzarmi.
“Okay… e la parte del bacio è indispensabile?”
“Certo che lo è. Devi fargli capire che sei predisposta a un avvicinamento…” chiarisce con autorevolezza.
Coerenza: ecco che ci vuole. Se il mio inconscio ha partorito un sogno erotico di tutto rispetto, significa che si trova d’accordo con lei riguardo alla conclusione del messaggio: da qualche parte bisogna pur cominciare.
Premo invio e sorrido nervosamente.
“Ora dovresti riposare.” suggerisce Cassandra premurosa.
E questa volta, sono d’accordo con lei.
Sposto lentamente il mio corpo verso il basso, per infilarmi dentro le lenzuola, quando arriva un altro dei suoi messaggi.
“Domani sarò fuori a cavallo con il mio gruppo, ma se ti va, possiamo vederci mercoledì sera: conosco un posto carino, dove fanno una pizza speciale, ti andrebbe di di uscire con me?”
Lo leggo ad alta voce, davanti a Cassandra che sembra essere emozionata quanto me.
“Sì, sì, sì. Assolutamente sì!” interviene con entusiasmo.
“Tre sì? Poi un avverbio e un altro sì? Non sarà troppo?”
“Melissa: sei un disastro. Certo che è troppo. Scrivi!” mi ordina.
Ancora una volta, lei è la mente, io il braccio:
“Certo, volentieri, passi a prendermi alle otto?”
Premo invio e tengo il telefono tra le mani.
Intuisco che anche lui, come me, sta facendo lo stesso. Lo vedo in alto, mentre compare la dicitura che mi fa battere il cuore: ‘sta scrivendo…’
“Alle otto è perfetto. Mandami pure l’indirizzo. Un bacio Luca.”
SEDICESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova