e donne sono consapevoli che agire in un certo modo è sbagliato, controproducente, stupido. Eppure, nonostante abbiano la certezza matematica di mettersi nei guai, non possono farne a meno. Forse è proprio vero: se la curiosità non fosse la caratteristica che più le distingue, non sarebbero donne.
Sembra un aforisma, invece è la spiegazione razionale che ho elaborato per giustificare la mia decisione.
Ho mentito al mio ragazzo, la mia migliore amica mi sta coprendo e il senso di colpa mi divora. C’è qualcosa di più sbagliato, controproducente e stupido? Non credo. Ma la verità è che il mio passato pieno di delusioni continua a perseguitarmi, le mie insicurezze continuano a perseguitarmi o non sarei in cerca di conferme.
Sulla bilancia, vedo oscillare il rimorso e il rimpianto e uno stilista che mostra il suo interesse smisurato — a tratti surreale — per Melissa, il disastro planetario della moda, la ragazza impacciata dallo stile discutile, ha prodotto una tentazione troppo grande a cui resistere è impossibile.
Il mio gesto è alimentato dalla voglia di riscatto, dalla sete di rivincita, non sto mettendo in discussione il mio rapporto con Luca, so bene cosa provo per lui, è una cosa che riguarda soltanto me e per non rinunciarci, mi sono convinta che non sarà una bugia a rovinare tutto.
E se non fosse così? Se lui si dichiarasse e io cedessi al suo fascino?
Che ne so io dell’amore? Della fedeltà?
Io combino solo guai: ecco la mia specialità.
Ma per limitare i danni, ho confezionato la mia mise questa mattina, prima di andare al lavoro. Non volevo passare da casa e cambiarmi, avrei dato troppa importanza alla cosa. E ho saggiamente evitato di indossare uno dei suoi abiti, sarebbe stato troppo celebrativo, anche la gonna è stata bandita dalla selezione dei capi, troppo frivola per quello che è stato definito come un appuntamento di lavoro. Ed eccomi quindi con un paio di jeans a vita alta, abbinati alle mie décolleté favolose — che ho infilato subito dopo essere uscita dalla clinica — e a una maxi maglia colorata che Cassandra ha voluto prestarmi a tutti i costi. Ha detto che avevo bisogno di un pezzo cult che potesse sorprenderlo e un pezzo di Kenzo di Antonio Marras non passa mai inosservato — specie per un addetto ai lavori.
Ho concluso con il cappotto di Scervino di mia madre: avevo bisogno di qualcosa che alimentasse la mia forza di volontà. Qualcosa che mi ricordasse che sono nata da una relazione in cui tutto è cominciato dicendo: ‘prometto che ti sarò fedele sempre, in amore e in malattia, in ricchezza e povertà, finché morte non ci separi.’ E sulla promessa dei miei genitori, arrivo davanti all’edificio di Enrico.
Mi volto verso sinistra, mi è quasi impossibile non dare un’occhiata al viale del dottore che dista solo qualche decina di metri. Non avevo mai considerato questa zona della città, chi lo avrebbe detto che il destino mi avrebbe condotto qui così spesso?
Scendo dall’auto, sistemo il cappotto e suono il campanello.
Il cuore si sta arrampicando sulle corde vocali, le sue pulsazioni sono così accelerate che quasi mi sembra di sentire le tonsille muoversi a ritmo cardiaco, e quando la porta si apre e appare lui, rimpiango di non aver portato un defibrillatore nella borsa.
In che guaio mi sono cacciata?
“Melissa ciao, che bello vederti, vieni…”
Sorrido, apro il cancello ed entro con lui.
È un WOW formato famiglia: jeans scuro, camicia bianca, giacca a doppio petto, mocassino nero.
“Allora? Raccontami, Max come sta?”
Non avrei desiderato una domanda migliore per rompere il ghiaccio, ora sposterò l’attenzione sul mio cane, il mio cervello smetterà di fare voli pindarici e tutto filerà liscio.
“Max sta benissimo, anzi, non è mai stato meglio: ha una fidanzata.”
“Ah sì? E chi è la fortunata?”
“La ragazza per cui ha perso la testa — e la strada di casa — si chiama Lolita e abita proprio qui di fronte…”
“Non ci credo!”
“So che sembra incredibile, ma il dottore, lo stesso dottore che mi ha curato dopo l’incidente, è il suo padrone.”
“Incidente? Quale incidente? Raccontami…”
Mi fa cenno di seguirlo e mi conduce in una stanza sulla destra in cui non sono mai stata: è il suo ufficio. Mi fa accomodare e prende posto di fronte a me, sul trono di plexiglas.
“Quindi?” mi chiede curioso.
Se nella fase iniziale il suo interesse mi aveva piacevolmente colpito, ora comincia a preoccuparmi. Non posso raccontargli dell’agguato in ospedale, delle accuse di rapimento, tantomeno dei pedinamenti. Ma per qualche strana ragione, è come se riavvolgessi il nastro per riportare la storia dall’inizio e cominciare da lì.
“Circa un mese fa, uscita dal lavoro, mi metto sulla via di casa, un gatto mi attraversa la strada e per evitarlo, finisco contro un albero. Ospedale, due costole incrinate e incontro il dottore…”
“La storia si fa interessante…”
Avevo immaginato la serie di frasi di circostanza e invece lo vede con i suoi occhi che sto bene e sembra curioso di sapere come va a finire.
“Il dottore mi dice di avere un bobtail che si chiama Lolita. Pensavo lo stesse dicendo tanto per dire, i bobtail sono bobtail, non si incontrano così spesso, e nel frattempo, Max scompare…”
“E se fosse stato lui a rapirlo?” mi chiede con aria atterrita.
Rimango di sasso. A stupirmi non è solo il fatto che abbia avuto il mio stesso sospetto, ma la strana esigenza di chiarire la sua ipotesi raccontandogli il resto. Lo conosco appena, eppure sento che posso fidarmi di lui.
“Ho pensato la stessa cosa… e non sono stata certo con le mani in mano…”
Enrico pende dalle mie labbra.
“Ho finto di avere un dolore fortissimo alle costole, sono andata in ospedale e ho chiesto di vedere il dottore.”
“E poi?”
“Sono andata dritta al sodo: gli ho chiesto se era stato lui a rapire Max…”
“Quindi lo hai accusato?”
“Be’, diciamo che non ho nascosto i miei sospetti…” rispondo fiera.
“Ehi, ragazza, complimenti! Ne hai di fegato! E lui che ha detto?”
Arrossisco, ma cerco di attenermi alla domanda proseguendo con la storia.
“Ha minacciato di denunciarmi.”
“Non ti sarai fatta intimidire?”
“Tu hai telefonato un minuto più tardi… ho dovuto chiedergli scusa.”
“Ah.” dice deluso. “Ma questo non significa che non possa averlo rapito…” aggiunge velocemente.
L’enfasi che ho dato al racconto potrebbe averlo condizionato, se andassi avanti dovrei parlargli dei pedinamenti, e mi sembrano un po’ eccessivi per una prima chiacchierata. Meglio concludere con la versione a cui ho deciso di credere per darmi pace.
“Ero certa che fosse colpevole fino a che Lolita non si è presentata fuori da casa mia…”
“Anche lei è scappata per raggiungere Max?” chiede basito.
“Proprio così, ho letto il suo nome
sulla medaglietta e ho realizzato che era il cane del dottore.”
“Ma hai detto che casa tua è distante da qui?”
Sto quasi per commuovermi: questo ragazzo ha la stoffa del detective. La sua domanda non solo è pertinente, ma pure arguta. Ora che parliamo la stessa lingua, l’imbarazzo si è completamente dissolto.
“Infatti… ci saranno dieci chilometri, non mi spiego come siano riusciti a raggiungersi. Ti confesso che ho cercato di trovare una spiegazione razionale alla cosa, ma siccome non ci sono riuscita, mi sono convinta che siano cani bionici.”
Enrico scoppia a ridere.
“Sei fantastica! Devo ringraziare Max per essersi perso o non avrei avuto il piacere di conoscerti.”
Arrossisco di nuovo, ma la storia è quasi giunta alla fine e non so cosa aspettarmi.
“E ora che Lolita è tornata a casa, come faranno a vedersi?” mi chiede.
“Dopo aver scartato l’ipotesi di sequestro per amore, ho deciso di prendere accordi con il dottore: si vedono un paio di volte a settimana.”
“Un bellissimo lieto fine, brava!”
È entusiasta, batte le mani, è felice.
E anche io.
“Bene, veniamo a noi…”
Ecco. Ora, invece, vorrei volatilizzarmi.
“Ti ho scritto della campagna vendite…”
E mentre lascia la frase in sospeso, facendomi presagire che siamo arrivati a un dunque, mi accorgo di non volere nessun dunque. Voglio Luca e basta. Ora gli dirò che di moda non so niente, che due mesi fa il mio stile non era quello di oggi e che un veterinario è l’ultima persona a cui assegnare un ruolo come questo. Ma lui mi anticipa:
“Avrai capito che era una scusa, vero?”
Questo è peggio dell’Apocalisse.
“Lo avevo intuito…” dico abbassando lo sguardo.
“Forse mi odierai, ma è come se ti conoscessi da sempre e devo confessarti un segreto…”
Mi sento impotente come il Titanic prima di urtare l’iceberg che lo farà affondare.
“Mi sono innamorato.”
“Vedi, io…” dico imbarazzata.
“Giulio lavora con te, vero?”
Anche io fatico a crederci: ma il mio timone ha virato evitando la collisione fatale.
“Sì, perché?” chiedo euforica.
“L’ho conosciuto domenica scorsa, ci siamo messi a parlare, mi ha detto che è un veterinario, che lavora nella clinica più importante della città e ho immaginato che fosse la stessa in cui lavori tu…”
Ora è lui a essersi incagliato, è in evidente imbarazzo. Io, invece, nonostante mi senta una stupida per aver frainteso i suoi modi gentili, mi sento quasi in dovere di aggiungere ciò che per lui evidentemente è difficile.
“Anche io ti confesso un segreto: Giulio è uno dei miei migliori amici e credo che sarebbe felice di uscire con te.”
“Dici davvero?”
“Sono pronta a scommetterci.” rispondo sorridendo. “Vuoi il suo numero?”
“Non la prenderà male?”
“Fidati di me.”
E dopo aver dato la benedizione a un rapporto che ha salvato il mio, saluto Enrico ricordandogli la cena di domani.
Non vedo l’ora di presentargli Luca, il pensiero di vederli insieme nella stessa stanza non mi fa più paura.
Risalgo in auto e mi metto in marcia.
Forse dovrei informare Cassandra: il granchio che ha preso è più grande del mio, ma non ho voglia di tornare a casa.
Prendo il telefono e chiamo Luca.
“Ciao.”
“Ciao a te… cowboy.”
Il mio tono sexy dovrebbe anticipare le mie intenzioni.
“Non eri al cinema?”
“Sì, ma devo aver sbagliato genere…”
“Il film non ti è piaciuto?”
“Mi ero fatta un’idea sbagliata.”
“Vuoi venire da me?”
“Sono già per strada.”
VENTINOVESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova