e c’è una cosa che ho imparato nei miei primi quarant’anni, è che fare tesoro delle proprie esperienze, belle e brutte, è una grande opportunità.
Chi lo avrebbe detto che subito dopo la nascita di Emma, quando passavo gran parte del mio tempo sul divano, davanti alla TV ad allattare, avrei avuto un’illuminazione involontaria?
Succede che in quel periodo, su Canale 5, a intervalli regolari di circa quattro secondi e mezzo, passa la pubblicità di una mini serie televisiva intitolata “Sposerò un calciatore”. Ma quell’insistenza mediatica più che incuriosirmi, provoca l’effetto contrario, esasperandomi a tal punto da detestare la moglie del calciatore, senza aver visto una sola puntata. Per qualche strana ragione, quella reminiscenza, rimasta intrappolata nella memoria, torna a farsi viva mentre scrivo Prêt-à-bébé: nella prima stesura, Chiara di Non è la Rai è la moglie di Davide, un calciatore di serie A.
Dopo aver concluso il romanzo, un paio di anni fa, l’agente letterario è così entusiasta del risultato che mi propone di scrivere un sequel e io accetto. Ma in quel periodo, il mio coach di scrittura mi sprona a usare l’immaginazione, evitando i riferimenti reali e di farlo cambiando la voce narrante, per raccontare una storia diversa, da un punto di vista differente.
Nel frattempo Prêt-à-bébé non raccoglie il favore della critica, il mio insegnante scompare e io mi ritrovo con quattro capitoli di un nuovo romanzo che non so effettivamente se andrà in porto oppure no. L’agente, delusa quanto me, suggerisce di mettere il mio ‘baby’ in un angolo e di andare avanti, certa che questo nuovo lavoro editoriale porterà risultati migliori. Ma io, con il cuore tenero come il burro e la testa dura come il marmo, come avrei potuto abbandonare la storia della mia famiglia, quella che ho sempre immaginato di leggere ai miei nipoti con la premessa: guardate cosa ha scritto la nonna?
Non mi arrendo, cerco un nuovo agente che riesca a piazzare il mio libro, sospendo la stesura del sequel e continuo con le mie storie sulla pagina che pubblico con regolarità nei giorni dispari della settimana. Ma dopo un weekend fuori porta con Claudia e Matteo, per festeggiare il mio compleanno, il lunedì non ho nessuna storia da pubblicare.
Cerco qualcosa di già pronto e trovo un pezzo che avevo scritto tempo prima per un profumo. Alle lettrici piace e seppure non fosse previsto alcun seguito, mi chiedono come continua: quella diventa il primo episodio del primo romanzo a puntate.
Lo porto avanti per un po’, ha uno stile molto diverso da quello che uso di solito, mi diverte mettermi alla prova, scriverlo in diretta, però, di settimana in settimana, è difficile e a causa degli impegni lavorativi presi con il blog, mi serve una soluzione che mi dia un po’ di respiro. Quattro capitoli di qualcosa che non so come andrà, sono comunque quattro puntate di un nuovo romanzo che posso pubblicare viaggiando con un mese di anticipo: non è poco. Se non fosse che quando rileggo ciò che ho scritto, seppure lo abbia scritto con l’aiuto di un professionista, non mi soddisfa, sento di poter fare di meglio.
E poi il nome della protagonista non va: se voglio davvero fare qualcosa di nuovo, devo creare una storia indipendente e autonoma — o quasi.
Chiara diventa Eva, ma suo marito resta Davide, il calciatore della serie TV che non ho mai visto e che ho sempre detestato. Porto con me le pantofole in raso con inserti in lapin e un amico indispensabile: Michele, che si ispira totalmente a Matteo di Prêt-à-bébé; Olivia, invece, viene ripescata da un precedente romanzo che mi aveva commissionato Australian Gold per pubblicizzare i suoi prodotti nell’estate del 2016.
Il nuovo lavoro prosegue, improvviso l’intreccio nella solita modalità ‘last minut’ e il personaggio di Eva, che della moda ne fa un mestiere, mi lascia intuire che il mio pubblico non dia alla stessa una grande importanza.
Decido quindi, per esigenze morali nei confronti del genere femminile, di inventare una nuova storia che consenta a chi legge di appassionarsi alla moda, senza subirla. A differenza degli altri romanzi, per cui trovare un titolo è sempre stato un dramma, con questo mi è chiaro da subito: Not For Fashion Victim. E ciò che sembra l’ennesima sfida si trasforma in un’avventura divertente e stimolante.
Creo un personaggio in cui le lettrici possano ritrovarsi, a cui possano affezionarsi, un’eroina simpatica e pasticciona che però sa il fatto suo, con un nome vicino a quello di chi evoca qualcosa di forte.
Un giorno di tanto tempo fa, prima che Giaco mi facesse la proposta davanti al famoso cassonetto, trovo una gattina malconcia sotto casa dei miei. Quando sto per caricarla in auto per portarla dal veterinario, l’inquilino che vive al piano di sotto, affacciato al balcone, cerca di dissuadermi dicendo che è più morta che viva, di lasciare perdere, ma io me ne frego e la accompagno in clinica.
La gattina reagisce alle cure e piano piano si riprende. Rimane con me per gli otto mesi successivi che mai dimenticherò, fino a che le sue condizioni di salute non peggiorano.
Ho sempre pensato che Cassandra fosse un dono del cielo e che qualcuno, lassù, avesse voluto che fossi io a trovarla, certo del fatto che mi sarei presa cura di lei. E nonostante la moda avesse la pretesa di essere l’ingrediente principale della storia, a esserlo è invece la vera amicizia tra donne: il simbolo di quell’episodio vissuto.
Alla protagonista affido il nome di Melissa solo perché suona bene con Cassandra.
A luglio 2018, il mio nuovo agente letterario, lo stesso di Luciano De Crescenzo, mi incontra a Milano. Ha con sé una cartellina rossa con il logo Mondadori che contiene il contratto di Piemme, la casa editrice appartenente allo stesso gruppo. Il romanzo che sognavo di leggere ai miei nipoti uscirà l’anno successivo.
Pochi mesi prima della pubblicazione, la mia editor mi chiede se desidero revisionarlo. Certo che voglio, anzi, devo: non posso certo lasciare un calciatore nel posto sbagliato. Cambio nome e professione al marito di Chiara e il gioco è fatto — più o meno. Modifico il testo innumerevoli volte, tanto che, dopo l’ennesima bozza consegnata, sarà Francesca a dirmi basta.
Il risultato finale è quello che oggi è in libreria. E ancora oggi non posso fare a meno di chiedermi: sarà un caso che il mio romanzo abbia lo stesso inizio di It di Stephen king e che quel bambino con l’ombrello, che compare sulla copertina che io non ho scelto, mi ricordi tremendamente Georgie?
Illustrazione: Valeria Terranova