aggio di musica di fine anno.
I bambini che dovranno esibirsi entrano mezz’ora prima dell’inizio dello spettacolo, dopo aver mangiato con l’imbuto — in macchina, durante il tragitto casa-teatro.
Ad accompagnarli ci sono genitori, fratelli, sorelle, nonni, e cugini di primo, secondo e terzo grado, che aspettano trepidanti il segnale di uno degli addetti alla sicurezza, per entrare e scatenare l’inferno.
Platea e galleria cominciano a riempirsi e nel caos generale, vedo Tilla.
Anche Vera, la sua bimba, partecipa al saggio. Corro a salutarla e mi dice che ci sarà anche Claudia. Le ha ceduto uno dei suoi biglietti, perché il nonno ha avuto un contrattempo — in realtà, sappiamo entrambe che non è vero, ha solo gettato la spugna — e siccome Claudia è la zia di Vera e adora ogni tipo di spettacolo, è un rimpiazzo perfetto. La cerchiamo nel trambusto, ma non riusciamo a trovarla. Mancano cinque minuti all’inizio, le poltroncine di velluto rosso sono tutte occupate, l’eccitazione è nell’aria.
La nostra fila è completa. A partire da sinistra: il nonno Giorgio, il nonno Beppe, la nonna Anna, la nonna Alberta, Emma, Giaco e la sottoscritta che, appena si siede, riceve una telefonata. È Claudia.
“Dove sei?” le chiedo.
“Girati di 180 gradi.”
Quella frase, messa lì così, mi fa capire quanto siano grandi i miei limiti in fatto di geometria.
“Allora, dunque, 180 gradi…”
“Sono dietro di te.”
Poteva dirlo subito. Mi volto, la vedo.
Chiedo alla signora che mi siede accanto di farmi passare e la raggiungo.
È felice, sorride — come sempre del resto — ma è la sua prima volta e non immagina ciò che le attende.
“Cosa canta Carola quest’anno?” mi chiede eccitata.
“Canta Hola di Mengoni, insieme a un altro bambino.”
“Wow!”
“Oggi ho visto le prove di Vera, è bravissima!”
“E lei cosa canta?”
“Suona e canta.” preciso. “‘Zombie cat’ con il pianoforte e ‘Come un pittore’ dei Modà.”
“Peccato che non ci sia la Secca.” mormora.
In effetti ha ragione, manca solo lei all’appello, e dire che un posto le sarebbe spettato di diritto, visto che ha un diploma in pianoforte al conservatorio.
Le luci si abbassano, qualcuno intima di fare silenzio, lo spettacolo sta per cominciare. Torno al mio posto.
Sul grande schermo, posizionato dietro al palco, comprare Nek, che ha deciso di fare un video di incoraggiamento ai ragazzi, spronandoli a mettere carica ed energia nelle performance.
Anche gli spettatori si allineano a questa linea di condotta, mettendo carica ed energia negli applausi, nei ‘brava’, ‘bravo’, ‘bravissimi’, ma dopo un’ora e mezzo, il pubblico inizia a dare segni di cedimento.
La Sonus Academy, che ha preventivato tutto ciò, gioca sul fatto di non aver consegnato alcun tipo di programma — nessuno sa chi si esibirà e quando — una mossa strategica per inchiodare gli spettatori alla poltrona a tempo indeterminato.
Mi guardo intorno e ciò che vedo mi ricorda la scena del secondo tragico Fantozzi, quella in cui il potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli, fanatico cultore del cinema d’arte, obbliga dipendenti e famiglie alla terrificante visione de La corazzata Kotiomkin.
Qualcuno con aria furtiva estrae dalla borsa un set di cuscini, qualcun altro , meno organizzato, ha deciso di adagiarsi sulla spalla del vicino — anche se non lo conosce. C’è chi cerca la posizione orizzontale appoggiando i piedi sullo schienale della poltroncina che ha di fronte e chi, invece, si infila gli occhiali da sole per schiacciare un pisolino, approfittando dei posti di alcuni genitori che se ne sono già andati.
E mentre tutti in silenzio si domandano: ma quanti sono ‘sti bambini?’, un inatteso momento anni Novanta riaccende la serata.
Uno dei partecipanti canta ‘La notte vola’, accompagnato dai maestri che si cimentano nel classico balletto della Cuccarini, ed è subito standing ovation.
A seguire, Nord, Sud, Ovest, Est degli 883, la folla è in delirio. Batte le mani a tempo di musica, qualcuno sta addirittura ballando come Mauro Repetto.
Se non fosse che sono già passate due ore e mezzo dall’inizio, chiederei il bis.
Tilla mi manda un messaggio:
“Le hanno rapite per caso?”
Manco l’avessero sentita: dopo cinque secondi, Vera è sul palco, sana e salva. Gli spettatori la accolgono con un applauso.
Carola arriva dieci minuti più tardi, si esibisce, la nostra fila esulta.
Mancano solo i saluti finali, poi tornerò a casa e mi metterò a scrivere, peccato che sia quasi mezzanotte.
Il saggio di canto si conclude con un selfie di gruppo.
I maestri ringraziano, il teatro si svuota.
E lì, sulla via di casa, mentre tutti ci complimentiamo con Carola, sento lo stress evaporare, i nervi distendersi e la testa si mette pensare. Tra qualche anno, questi momenti — seppure frustanti per certi versi — non ci saranno più, mi mancheranno come l’aria. Sono attimi di vita che volano via e invece, vorrei che avessero un nido dove poter tornare.
“A cosa pensi?” mi chiede Giaco.
“A niente.” rispondo sorridendo.
La stanchezza deve avermi rammollito: meglio andare a dormire. Anche per quest’anno è andata.
Illustrazione: Valeria Terranova