To top
30 Lug

Stefano Guerrini e le sue “pillole” per Crem’s Blog

STEFANO GUERRINI GQ

Incontrarlo durante le sfilate è sempre un piacere, Stefano Guerrini, famoso per le pillole quotidiane pubblicate nel suo blog di GQ e per la sua webzine www.webelieveinstyle.it, ci ha concesso una piccola intervista. Ognuno di noi ha qualche scheletro nell’armadio…figuriamoci poi se si tratta di un personaggio che si occupa di moda…e andiamo a meta!

Ciao Stefano, innanzitutto grazie per il tuo tempo, cominciamo…1.Qualcuno voleva che da grande facessi il chirurgo, ma la tua passione per questo mondo ti ha fatto cambiare direzione e la storia della tua vita, se ogni romanzo ha un incipit, il tuo qual è? Sono stato da sempre un grande sognatore, il mio sogno era quello di essere con i personaggi che vedevo in televisione, vivere la vita entusiasmante che loro vivevano. Da bambino davanti alla tv, i film di Hollywood sono stati la mia prima fonte di ispirazione, di sogno, il mio desiderio di essere altrove. Guardare Fred e Ginger volteggiare elegantissimi, William Powell e Mirna Loy nei gialli della serie “L’Uomo Ombra” risolvere casi cambiandosi d’abito in ogni scena. E poi i divi degli anni Ottanta. Io volevo essere a cena con Warhol insieme a John Taylor e Nick Rhodes dei Duran Duran, volevo essere in prima fila al Live Aid, volevo ballare con Madonna al Danceteria e mi nutrivo di quei sogni e di quelle immagini. Poi un link tira l’altro e scoprii le supermodel, la creatività di Gianni Versace, di Herb Ritts, di Dolce & Gabbana e di Steven Meisel. Non smetterò mai di dirlo, la prima volta che vidi il video di “Freedom ’90” di George Michael con tutte le modelle top dell’epoca, io piansi e capii che volevo quello o almeno provare ad avvicinarmi a quel mondo. 2.Qualche anno fa le cose andavano diversamente, entrare alle sfilate non era un gioco da ragazzi, ma sotto certi aspetti era più semplice, eccezione fatta per Dolce & Gabbana che ti ha dato parecchio filo da torcere, come sei riuscito ad averla vinta? Erano gli anni in cui Dolce & Gabbana mandavano in passerella Cindy e Linda come novelle dive di un neorealismo rivisitato, le campagne di Steven Meisel vedevano la Evangelista e Christy Turlinton amoreggiare con Tony Ward che sembrava uscito da “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti. Io rimasi abbagliato, per me tutto quello che facevano era meraviglioso. La campagna con una giovanissima Monica Bellucci, Isabella Rossellini e l’attore Vincent Spano ricreava La Dolce Vita, mentre Sherilyn Fenn, appena uscita dal “Twin Peaks” televisivo di David Lynch, era fotografata come una giovane Liz Taylor. Era il mio sogno, mi rifugiavo in quelle foto quotidianamente, iniziai a ritagliare, a fare dei collage, a giocare, in epoca pre-photoshop, a costruire immagini e finte didascalie. Con la mia più cara amica Roberta, al telefono, (che telefonate fiume!), mi inventai/ ci inventammo di mandargli alcune di quelle mie creazioni, accompagnate da una lettera, una finta lettera minatoria composta ritagliando, con immane fatica, le lettere dai giornali, in cui, scherzando, gli dicevo che se non mi avessero dato un segno, mi sarei trasferito con una brandina fuori dalla loro sede in Via Santa Cecilia. Mi firmai Steven NOT Meisel! Una sera ricevetti una telefonata. Qualcuno che si definiva Dolce & Gabbana, ma io riconobbi la voce di Dolce, mi diceva che avevano ricevuto e che erano curiosi. Parlammo un po’ e fu molto gentile, mi disse di continuare, che si erano divertiti. E io continuai. Ogni volta mi inventavo lettere diverse, girasoli che ruotavano, patchwork di tessuti. Poi li incontrai nel backstage di Complice, collezione che disegnavano all’epoca, e furono super carini. Scrissi ancora per un po’, l’ultima volta inviai delle foto che aveva scattato Roberta, l’amica complice di sempre, mentre un’altra amica si era prestata come modella, ed io avevo fatto lo styling. Mi scrissero (o chi per loro, ma voglio credere che fossero loro, come in quella telefonata) che li avevo stupiti e di continuare, che quella poteva essere la mia carriera. Ancora oggi, quando ci ripenso, è un tuffo al cuore per me! Furono molto gentili e mi spronarono. Se ho deciso che avrei continuato lo devo anche a loro. 3.I nomi John Taylor e Ava Gardner ti dicono nulla? Qui secondo me un uccellino ti ha cinguettato e spifferato qualcosa! E chissà cosa ti ha raccontato! Torniamo davvero indietro nel tempo. Come ti ho accennato ero pazzo dei divi musicali degli anni Ottanta, i Duran Duran su tutti, ma non solo loro, ci fu un periodo in cui moltissimi fan prendevano e passavano le estati in Inghilterra, sperando di incontrare i loro idoli. Ed io con loro. Ricordo giornate intere trascorse fuori casa di Simon Le Bon, per la gioia dei suoi vicini, in una Londra invasa dai zaini Invicta di turisti italiani! Ripenso a quel periodo e, anche se non sono proprio fiero dell’opera di stalkeraggio ai miei idoli, mi fa molta tenerezza quel ragazzo dalle grandi aspettative e dalle molte ingenuità. Comunque, tornando a John e Ava, con la mia fidata amica del cuore Roberta, andammo alla ricerca della casa di John Taylor, casa che all’epoca il bassista dei Duran Duran condivideva, se non ricordo male, con quella che divenne la madre della figlia Atlanta Bean, cioè Amanda De Cadenet, che ora stimo molto come conduttrice e fotografa, ma che all’epoca non mi stava proprio simpatica. Fatto sta che, come spesso succede in Inghilterra, alcune vie hanno nomi simili, differiscono solo per un Gardens o un Mews o altre parole finali. E noi ci sbagliammo. Ci trovammo di fronte ad una casa che pensavamo fosse quella di JohnTaylor e ovviamente ci facemmo un po’ sentire. Da dentro quella casa i segnali furono pochissimi, ricordo solo un’ombra scostare una tenda e noi che, vinti anche dal fatto che solitamente fuori da casa dei componenti del gruppo stazionavano orde di fan, mentre lì non c’era nessuno, decidemmo di andarcene perplessi. Anni dopo, mentre leggevo la biografia di Ava Gardner, nota attrice di Hollywood, un mito per la sua bellezza e per una vita che l’aveva spesso legata a Frank Sinatra, portata in Italia e resa leggenda del cinema, mi accorsi che la diva aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita in quella via e a quel numero civico. Mi si gelò il sangue per un attimo. Non saprò mai se quel giorno a scostare la tenda fu lei o chi per lei, immagino una signora anziana che vede due ragazzi stranieri far baccano in una via e pensa “Move away”, magari sorridendo alla nostra petulante, un po’ sciocca, ma anche tanto tenera sfacciataggine. Spero nel suo sguardo benevolo e a una sorta di sua immaginaria benedizione a noi due che ci stavamo affacciando ad un mondo come quello, per lo meno mi illudo sia così! 4.Scrivere sulla piattaforma di una testata importante credo sia il sogno di ogni blogger, o almeno il mio, com’è nata la rubrica “Le pillole di Stefano”? Perché “pillole”?  In passato ho scritto sul sito del giornale gq.com, che viene fatto da altre persone, da validissimi colleghi, che stimo molto, ma lepillole non è una rubrica, è un blog su quel portale. Non voglio millantare cose che non ho! Però ho la fortuna di essere molto seguito, di essere apprezzato e l’essere su una piattaforma importante aiuta! Sono grato di tutto quello che è successo negli anni legato al mio lavoro, ho collaborato con L’Uomo Vogue e con Velvet, è stato elettrizzante vedere il mio nome su quelle testate e sono fiero del mio lavoro con lepillole. Ho avuto modo di intervistare personaggi interessanti, partecipare a manifestazioni prestigiose e vantare collaboratori eccellenti, e, senza le persone che mi hanno assistito sui set per gli shooting che ogni tanto pubblico, non sarei nessuno, gli assistenti sono importantissimi, io poi adoro lavorare in team e sul set il clima deve essere disteso, professionale, ma rilassato. Perché “lepilloledistefano“? Prima del blog c’era una newsletter che inviavo agli amici, nacque una sera, per la frustrazione di non riuscire a raccontare passioni e interessi nei mezzi in cui scrivevo all’epoca, volevo che venisse fuori quello che sono io. Mi inventai queste mail chilometriche che in poco più di un anno arrivavano a più di duecento amici ogni volta, da lì l’idea di trasformarlo in un sito, che non andò bene, poi un giorno al telefono con Roberta ci siamo chiesti: “Ma questi blog di cui si parla all’estero che cosa saranno? E se ne aprissi uno?”. E lo feci, stando al telefono con lei! Il nome rappresenta la voglia di dire semplicemente: “Stai entrando a casa mia, questo sono io, nelle mie tante sfaccettature”. Ovviamente il gioco con i miei studi iniziali di medicina è decisamente voluto, ma non tutti quelli che aprono il sito lo sanno. 5.E della “specie blogger” che ne pensi? Partiamo dal fatto che in generale non amo le categorie. Sono sempre fuggito dalle definizioni e da chi volesse incasellarmi in qualcosa, dare un nome preciso ad una cosa o ad un settore mi sembra sempre nasca da un’esigenza umana, ma non per questo sempre positiva, di essere rassicurati nel trovarsi davanti qualcosa che non si capisce bene che cosa sia o da dove arrivi. Ad un certo punto, di fronte a tutta una nuova realtà, legata ad un nuovo modo di fare comunicazione, qualcuno ha inventato la parola blog e blogger. Come in tutti i mari, oserei dire oceani, ci sono i pesci colorati e belli, quelli poco amichevoli, quelli che non spaventano, quelli che è meglio starci alla larga. Detestando le generalizzazioni ho molto poco apprezzato il tam tam mediatico positivo iniziale, quel: “Evviva, ci sono i blogger che finalmente liberi da intralci pubblicitari e obblighi redazionali, vengono a dirci le cose come stanno!!!“. Allo stesso tempo, ora, mi infastidisce la demonizzazione che si fa nei confronti della categoria, tanto che se ti chiedono cosa fai, ci si deve inventare nuove definizioni, perché ci si vergogna un po’ a dire blogger. E allora, ora, siam tutti fashion writer, web influencer e vattelapesca! Semplicemente, e vi svelo una realtà incredibile, ci sono i blogger bravi e quelli non bravi, quelli che per capacità ed esperienza hanno una certa autorevolezza e quelli improvvisati. Ma come in tutti i mondi e in tutte le realtà professionali! 6.Essendo una categoria tanto discussa, secondo il tuo giudizio, quali caratteristiche deve avere un bravo blogger? Non so quale sia la ricetta giusta. Anche perché, come dicevamo prima, ci sono non solo tanti blogger, ma anche tante tipologie diverse di blogger. Ci sono quelli che scattano street style, quelli che amano scrivere, quelli che fotografano tutto di se stessi e del loro mondo, pure lo spazzolino al mattino, e così via. Io sono un acceso sostenitore della serietà e della professionalità. Vuoi fare l’outfit blogger? Mi sta bene, ma se il tuo guardaroba è solo Zara ed H&M, oppure solo Gucci e Dolce &Gabbana, cioè se non sai giocare con i tuoi abiti, che non vuol dire spender tanto o spender poco, ma saper scegliere,  se non dai varietà al tuo modo di vestire, se non hai cultura dell’abito, allora non solo io mi annoio, ma non so neanche perché qualcuno dovrebbe seguirti, ce ne sono così tanti là fuori. Personalità, creatività, essere voci fuori dal coro vale anche per gli outfit blogger. Lo stesso vale per chi scrive. Se non sai scrivere e la grammatica italiana è un optional, direi che non è il tuo mestiere. Se sai scrivere, ma non hai una tua voce, una tua cifra, un tuo stile, se scrivi in maniera totalmente impersonale, perché qualcuno dovrebbe leggerti? Forse la parola chiave è proprio personalità. Poi c’è un’altra parola che amo tantissimo: umiltà…Troppe volte ho visto persone appena arrivate atteggiarsi da Anna Wintour. E se mi urta in generale chi pensa che lavorare nella moda sia andare solo alle feste, quando invece è una professione seria che richiede impegno, passione e dedizione, allo stesso tempo mi crea delle orticarie violente vedere ragazzine e ragazzini che solo perché hanno aperto un sito da tre giorni possono atteggiarsi da divi e sedersi in front-row ad una sfilata, spesso di loro spontanea volontà, di fianco a un direttore che ha una carriera trentennale alle spalle. Oppure quelli che contattano uffici stampa per richiedere regali o samples, non si sa bene meritati per quali motivazioni. Serietà, professionalità, educazione. Sempre. Grazie! Aggiungo che una buona dose di auto-ironia aiuta! Ricordiamoci che non stiamo salvando il mondo. 7.Ultima domanda, quella di rito, sogno nel cassetto? Sai che è una domanda che mi mette in crisi? Vorrei continuare ad amare quello che faccio, continuare a trovare energia e voglia di fare. Continuerò ad essere contento fino a quando sarò coinvolto in progetti nuovi, fino a quando parlare con un giovane designer sarà per me elettrizzante, fino a quando uno studente mi ringrazierà perché gli ho trasmesso amore per questo mondo, fino a che continuerò ad avere un brivido tutte le volte che in sala si spengono le luci, parte la musica e inizia una sfilata. In passato ti avrei risposto che vorrei più riconoscibilità dal mondo mainstream, una presenza più costante nelle realtà cartacee, ma vista la crisi, non è che ci speri più tanto. Se deve capitare, capiterà. Mi auguro che la moda continui ad essere una grande passione! Riflettendoci…Un sogno completamente folle? Una versione di “Nonsolomoda” Guerriniana! Tu come la vedresti?

STEFANO GUERRINI GQ

 

 

STEFANO GUERRINI GQ

STEFANO GUERRINI GQ

STEFANO GUERRINI GQ

First photo by: ANDREA FERRATO

Second photo by LUCIO ARU

Third photo by: LUCIO ARU

Fourth photo by: SAM COSMAI

Meeting him during catwalks is always a pleasure, Stefano Guerrini, famous for the daily tips on his GQ blog and for his webzine www.webelieveinstyle.it, he granted us an interview. Everyone of us has a skeleton in the closet…and if we’re talking about someone who deals with fashion…it’s  more than obvious!

Hi Stefano, first of all, thanks for your time, let’s start…1.someone wanted you to become a surgeon but your passion for fashion made you change your direction and your life, if every novel starts with a prologue, what’s yours? I’ve always been a dreamer, my dream was to be like the celebrities on TV, to live their exciting life. When I was a child, in front of the telly, Hollywood films were my first source of inspiration, dream, my desire to be somewhere else. Looking at Ginger and Fred elegantly dancing, William Powell and Mirna Loy in “The Thin Man” where they solved mystery cases changing their dress in every scene. And then the stars of the 80s. I wanted to be having dinner with Warhol together with the Duran Duran’s John Taylor and Nick Rhodes, I wanted to have a ringside seat at the Live Aid, I wanted to dance with Madonna at the Danceteria and I was fed by those dreams and images. Then, a link goes after the after and I discovered super-models, the creativity of Gianni Versace, Herb Ritts, Dolce & Gabbana and Steven Meisel. I’ll stop saying, the first time I’ve watched George Michael’s “Freedom ’90” video with all the models of the time, I cried and realised that I desperately wanted to try and get close to that world. 2.Some years ago, things used to be different, being invited to a runway show was not easy but, from a certain point of view, it was easier, except for Dolce & Gabbana who gave you a rough time, how did you make it? Those were the years when Dolce & Gabbana had models like Cindy and Linda as the new divas of a revamped neo-realism, Steven Meisel’s campaigns saw Linda Evangelista and Christy Turlington flirting with Tony Ward who seemed a character of the film “Rocco e i suoi fratelli” by Visconti. I was dazzled, everything they did was marvellous to me. The campaign with the young Monica Bellucci, Isabella Rossellini and actor Vincent Spano recreated the Dolce Vita, while Sherilyn Fenn, who had just starred in TV series “Twin Peaks” by David Lynch, was photographed as a young Liz Taylor. It was my only dream, I took shelter in those photos every day, I started to cut and paste to make collages, in a pre-photoshop era, I started to build images and comments. With my best friend, Roberta, I spent hours on the phone, we imagined to send them some of my creations, together with a letter, a fake menacing letter made up using newspaper scraps and saying, coking of course, that if they hadn’t given me a sign, I would have camped in front of their office in Via Santa Cecilia. I signed the letter “Steven NOT Meisel!” One night, someone called me. Someone saying he was Dolce & Gabbana but I immediately realised it was Dolce’s voice, he told me they had my letter and they were curious. He was very kind, he told me to keep on as they had fun. And I kept on. Everytime I invented new letters, spinning sunflowers, fabric patchwork. Then I met them in the backstage of the Complice collection they were designing at the time and they were so kind to me.  I continued to write and I sent some pictures taken by my friend Roberta while another friend had modelled for the shooting and I had dealt with the styling. They replied to my letter(or someone of their staff but I prefer to think they replied in first person), they wrote that they were amazed and that I should continue that career.  Today, when I think about these days, I’m still excited! They were so kind and encouraged me a lot. I must thank them too if I decided to keep on. 3. What about John Taylor and Ava Gardner? Well, probably a someone has revelead you some of my secrets! And God knows what they have told you! Let’s go back in time. As I’ve already told you I was mad about music celebrities of the 80s, Duran Duran but not only, it was a time when many of us spend their summer holidays in England hoping to meet their idols. And I was one of them. I remember entire days I spent out of Simon Le Bon’s house in a London invaded by Italian Invicta’s rucksacks!  I think of those days and even if I’m not proud of my stalking behaviour, I think of me as a young guy with great expectations and great ingenuity. Back to John and Ava, with my friend Roberta, we went and looked for John Taylor’s house, Duran Duran bass-player, who was living with Amanda De Cadenet, the mother of his daughter Atlanta Bean, who today is a recognised photographer even if I didn’t like her much at the time. Well, as it usually happens in England, some streets have similar names, they simply differ for Gardens or Mews. And we got wrong. We found ourselves in front of what we thought John Taylor’s house and made some noise. No signals from the house, just a shadow from behind the curtain. We went away, perplexed, also because no other fans were camping in front of that house, quite unusual thing for the period. Years after, while reading Ava Gardner’s biography, Hollywood actress who was myth for her beauty and her flirt with Frank Sinatra, a legend of the cinema, I realised that the diva had lived the last days of her life in that house in that street and number. I was shocked. I will never know if she was the shadow behind the curtain on that day, I imagine an old lady who sees two guys making noise in front of her house and thinks “Move away”, maybe laughing at our insolent, stupid but also sweet boldness. I hope in her indulgent look as if a blessing to us guys facing the world, or, at least, I flatter myself! 4.Writing for an important magazine is the dream of every blogger, at least mine, how did the column “Le pillole di Stefano” started? Why”pillole (pills)”?  In the past I wrote on gq.com, created by professional and qualified colleagues but lepillole is not a column, it’s a blog. I don’t want to take on roles that are not mine! Luckily I have a lot of followers and readers and being on an important website helps me much! I am grateful for what I’ve had during these years, I’ve worked for L’Uomo Vogue and Velvet,  it was thrilling to read my name on these magazines and I am proud of my job at lepillole. I had the chance to interview important people, take part in prestigious events and count on qualified collaborators, without all the people who helped on the set for shooting, I wouldn’t be here, my assistants are more than important and I love to work in a team; on the set the atmosphere must be professional but relaxed. Why “lepilloledistefano“? Previous to the blog, I had a newsletter I used to send to friends. An idea I had one night as I was frustrated not to be able to tell and write about my interests and passions. I invented these extremely long emails and, in less than one year,  I reached more than two hundred friends, there, the idea to create a website that didn’t go well. One day, on the phone with Roberta, we wondered: “What about these blogs so famous outside Italy, what are they? What if I write one myself?”. And I did it, on the phone with her! The name I’ve chosen simply means: “you are entering my home, this is what I am, in all my facets”. Of course, my medicine studies are a reference but not everybody knows about it.  5.What do you think of the “blogger species”? let’s start with the fact that I don’t like categories. I’ve always tried to escape definitions and rigid classes, give a precise name to a thing or a sector is a human need, not always positive, to know exactly what we have before our eyes. At some stage, in light of a new reality and a new way to communicate, someone invented the words blog and blogger. In every sea, in every ocean I’d say, there are colourful, wonderful fish, unfriendly fish, fish that are not dangerous and other you should avoid. I hate generalisation and I didn’t appreciate the initial positive comments of the media: “Wow, bloggers are free from advertising obligations and they tell things as they are!!!”. In the same way, I hate the negative comments of today, as today it’s quite embarrassing to tell people you are a blogger as a job. So we’re all fashion writers, web influencers and God knows what else! Simply, and I disclosing an incredible truth, there are good and bad bloggers, those who have skills and awareness and others unprepared. But this is true for every job and career! 6.As it is a controversial category, what characteristics should a blogger have, in your opinion? I don’t know the right recipe. Also because there are so many bloggers and so many different types of blogs. Street style bloggers, bloggers who love to write, those who love to take pictures of themselves and their world, toothbrush in the morning included and so on. I am a supporter of professionality. Do you want to be an outfit blogger? Fair enough but if you only have Zara and H&M, or else only Gucci and Dolce &Gabbana, if you’re not able to play with your dresses, which doesn’t mean spending a lot or a little, if you don’t have a culture of outfits, then I get bored, I can’t find a good reason to follow you. Personality, creativity and originality is a rule for outfit bloggers too. The same for writers. If don’t have a flair, if grammar is an optional to you, well, it’s not your job. If you can write but you don’t have a personal style, why should people read you? Perhaps, the keyword is originality. Then there’s another word I love: humbleness…too many times I’ve seen neophytes acting like Anna Wintour. And I am annoyed by people who think that working in the fashion world only means partying, as it’s a serious job, requiring commitment, passion and dedication. In the same way, I am annoyed by teen-agers who have just opened  a site and they have front-row seats at runway shows, often next to people who have thirty years of career on their back. Or other who contact press offices to ask for presents or samples. Solidity, professional skills, good manners. Always, thanks! And a good amount of self-irony helps! Let’s remember that we’re not saving the world. 7. The last ritual question, you secret wish? This question makes me think. I would like to continue to love what I do, to find new energy and dynamism. I will be happy until I have new projects, when I am thrilled to meet a new designer, until a student says thank you as I was able to transfer the love I have for this world, until I feel a shiver everytime the lights turn off, the music on and the catwalk starts. In the past I would have answered that I wanted more mainstream recognisability, a constant presence on magazines, but, due to the crisis, I’m no longer hoping this. We’ll see. I wish that fashion continues to be a passion! Wait, thinking again about this….a totally crazy wish? Guerrini’s version of “Nonsolomoda”! How would you see it?