o chiuso la valigia.
Mi aspetta ai piedi del letto in cui Sofia sta dormendo, Olivia, invece, continua ad arrampicarsi sui pantaloni del mio pigiama per attirare attenzione. Sembra eccitata e più la guardo, più fatico a comprenderne la ragione: non può essere il nuovo look a entusiasmarla tanto. Forse sta solo cercando di dirmi che anche lei non vede l’ora di andarsene da qui.
Mi volto verso lo specchio, mi guardo: vedo una donna diversa.
Per l’ennesima volta ripenso alla conversazione a cui ho assistito, alla verità che ho scoperto e trovo assurdo che non sia la delusione il sentimento prevalente, ma una sorta di liberazione.
In fondo, cosa mi aspettavo? Un finale alla ‘e vissero tutti felici e contenti’?
Davide non è più Davide, io non sono più io: la vita ci ha cambiato. I nostri binari hanno preso strade differenti e viaggiano in direzioni opposte già da diverso tempo. Forse non eravamo fatti per avere una sola traiettoria.
A incentivare questa strana ventata di ottimismo è la mente che, in modo quasi involontario, si catapulta nel passato, a quel tragico venerdì nero in cui tutto è cominciato, quasi sentisse l’esigenza di fare un paragone con oggi per farmi sentire meglio. Sorrido, ha ragione.
Quei periodi bui sono finiti, ho solo voglia di voltare pagina, di correre da Paolo.
Mi siedo sul letto, Olivia si è messa a dormire accanto a Sofia. Guardo il suo viso, illuminato dalla luce tiepida dell’abat-jour, sembra serena, eppure sento il bisogno di proteggerla.
Ancora una volta, la donna, che vorrebbe l’uomo che l’ha tradita e umiliata fuori dalla sua vita per sempre, si fa da parte.
La mamma, dunque, accetta di buon grado che anche la fetta maschile del pianeta ha la sua distinzione dei ruoli: quello di uomo, quello di papà, e so di non poter condannare Davide come padre.
Sofia ci ha unito in un rapporto indissolubile, non possiamo negarlo, e se abbiamo fallito come coppia, tutto ciò che possiamo fare per renderla felice è impegnarci a essere la coppia di genitori che nostra figlia si merita: la migliore. Non sarà la fine del mio matrimonio a precludermi la possibilità di essere la madre che ho sempre desiderato essere.
È quasi mezzanotte, forse dovrei dormire, domani mi aspetta una lunga giornata.
E mentre sto per infilarmi sotto le coperte, sento due colpi alla porta comunicante. Sono basita. Fingo di ignorarli, ma dopo qualche secondo ricominciano. Dannazione.
Che devo fare? Non voglio vederlo, non posso reggere un altro round. Ma non posso nemmeno permettergli di svegliare Sofia.
Mi alzo, raggiungo la porta in punta di piedi, e quando la apro, Davide è di fronte a me. Ha gli occhi consumati dal pianto e mi implora di concedergli cinque minuti. Credo di non avere scelta.
Mi volto verso il letto per controllare che le sagome siano ancora immobili e varco la soglia della sua stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
“Sei impazzito per caso?” sussurro. “Hai visto che ore sono?”
“Ho aspettato che Sofia si addormentasse.” mormora.
Non ci vuole un genio per capire che anche lui deve aver origliato, ma visti i precedenti, non sono nelle posizione di ammonirlo.
“Quindi? Che c’è?”
“Devo parlarti…”
“Ci siamo già detti tutto.”
“Non è così: ti devo delle spiegazioni e te le devo ora, prima che tu parta.”
Sono infastidita, il solo suono della sua voce mi indispone, ma gli occhi di cioccolato, che credevo non avrei mai più rivisto, mi stanno implorando di farsi ascoltare e per rispetto di ciò che hanno rappresentato, non mi sento di negargli questa possibilità.
Attraverso la stanza da letto, mi dirigo velocemente nella zona giorno, in salotto, e mi siedo su una delle due poltrone. Lui prende posto di fronte a me, fa per iniziare, ma io lo interrompo.
“Non serve che tu aggiunga niente…”
Davide mi interrompe a sua volta.
“E invece sì, vorrei che mi lasciassi parlare.”
Mi rassegno, annuisco.
“Se il nostro matrimonio è finito, la colpa è solo mia. Sono stato io a chiederti di cambiare, di lasciare il tuo lavoro, di abbandonare i tuoi interessi per seguirmi. E quando mi hai dato ciò che volevo, mi sono accorto che non era abbastanza. Al mio fianco c’era una donna diversa, una donna che aveva messo la famiglia al primo posto e nonostante fossi stato io a chiederglielo, quella donna aveva perso la passione che mi aveva fatto innamorare, e invece di dirglielo, ho agito da codardo.”
Mi aspettavo l’ennesimo tentativo di riconquista e invece mi sbagliavo. Avrei voglia di rincarare la dose, di coprirlo di insulti, ma a cosa servirebbe? Sentirgli ammettere la realtà dei fatti è comunque una rivincita, se così può definirsi.
“Tu avevi Sofia, i tuoi impegni con la scuola, il comitato; io, il mio lavoro e le mie pressioni non erano neppure calcolate nella tua routine…”
“Aspetta.” lo interrompo, “Ero su quegli spalti ogni domenica a fare il tifo per te, ti ho sempre appoggiato, io e Sofia siamo sempre state al tuo fianco…”
Ma mentre pronuncio quelle parole, mi accorgo che forse il punto è proprio questo: non ero più solo io, eravamo io e Sofia. Forse non ho trascurato la famiglia, ma ho trascurato il nostro rapporto. Anche io sono stata una codarda, anche io non ho avuto il coraggio di ammettere che la passione non era più una costante nella nostra relazione.
“Posso finire?” chiede a fil di voce.
Annuisco.
“Ti ho tradito, più di una volta, volevo sentirmi vivo, desiderato. Sapevo di sbagliare, ma mi sono sempre giustificato pensando che la mia fosse solo una ricerca di emozioni che noi due non riuscivamo più a concederci.”
Prende fiato, quasi stesse cercando il coraggio di concludere una parte difficile e necessaria, una parte che credo di immaginare.
“Andrea è arrivata in un momento in cui tra noi non c’era alcun tipo d’intimità.”
Vorrei sostenere il contrario, ma so che ha ragione. Mi sento ferita, ma sento anche l’esigenza di lasciarlo continuare, senza opporre resistenza.
“Non credevo potesse essere una cosa seria, ma più il tempo passava, più riusciva a farmi sentire indispensabile, era una sensazione che non provavo da tempo.”
“Scoprire quel messaggio deve essere stata una liberazione per te.”
Difficile decifrare il tono con cui lo sto dicendo. Se una parte di me è arrabbiata e delusa, l’altra è solo curiosa.
“Ce l’avevo con te, ce l’avevo con te per le attenzioni che mi mancavano e che non ricevevo. Ero stanco di fingere. Dovevo mettere un punto e ricominciare.”
“Ce l’avevi con me?” chiedo in tono provocatorio.
“Sì Eva, ce l’avevo con te. Avrei dovuto parlartene, lo so, ma anche tu hai finto di non accorgertene, puoi dirmi che non è così? E se non è così, dimmi perché hai smesso di desiderarmi?”
“Io non ho mai smesso di desiderarti, ero solo presa da altre cose.”
“E io non ero tra quelle.” mormora.
Come posso negare ciò che ho ammesso tra me e me poco fa?
“Forse hai ragione. La colpa non è solo tua: anche io sapevo che le cose tra noi erano cambiate, e anch’io come te sono stata una codarda, ho preferito ignorare i segnali di una crisi, piuttosto che affrontare il problema. Forse credevamo che il nostro amore potesse reggere e invece ci sbagliavamo.”
“Ci siamo fatti troppo male.” dice commosso, “Quando ho rivisto la ragazza passionale di cui mi ero innamorato, ho capito cosa stavo perdendo e volevo riconquistarla.”
“E perché ho l’impressione che tu sia tornato soltanto perché Andrea ti ha tradito?”
“Guardami:” dice prendendomi le mani che cerco di ritrarre. “Sai che ti amo e sai che non cercavamo quel bambino.”
Potrei non credere a una sola parola, ma i suoi occhi dicono la verità.
“Eva, ascoltami: ho cercato di riconquistarti, ma ho fallito. So che non mi perdonerai mai, ma ti amerò per sempre. Ti chiedo solo di essere la metà della coppia di genitori che Sofia si merita.”
È come se mi avesse letto nel pensiero.
All’improvviso, in quella stanza, quei due estranei non sono più due estranei. E quello che non sembra essere un lieto fine, invece, ne ha tutta l’aria. Davide sorride e io con lui.
“Vuoi lasciarmi Olivia domani? Sofia ne sarebbe felice.”
La sua proposta suona come un buon inizio. Ora lo riconosco.
“È tutta tua e ha un nuovo look, preparati…” dico alzandomi.
“Cioè?” chiede divertito.
“Domani lo vedrai.”
La mattina seguente, mi metto in viaggio prima che Sofia si svegli.
La macchina che ho prenotato ieri mi aspetta nel parcheggio dell’albergo. Il mio autista carica i bagagli, mi apre la portiera e mi invita a salire.
L’uomo torna alla guida, si volta verso di me chiedendomi dove andiamo.
“Andiamo a Torino, Via Lagrange 12.”
La macchina si mette in moto, decido di inviare un messaggio a Olivia.
“Capo, me ne sto andando, dovrò raccontarti nel dettaglio gli ultimi sviluppi, ma c’è stato un chiarimento inaspettato questa notte. Davide ha voluto parlarmi, abbiamo messo la parola fine al nostro matrimonio, ma abbiamo deciso di collaborare e di essere la coppia di genitori che Sofia si merita. Grazie per il sostegno e l’amicizia, ti voglio bene.
Ah, dimenticavo: cerca di fare qualcosa per il ciuffo di Olivia, i bambini si sono divertiti e ora assomiglia alla versione canina di Cristiano Malgioglio con i colori invertiti. Credo basterà un po’ di sapone. Aggiornami, un bacio.”
Ci vorranno ancora venti minuti, prima di arrivare al casello autostradale, voglio chiamare Michele e raccontargli tutto.
Rifletto sul fatto che sono solo le otto, che probabilmente sta ancora dormendo, ma a preoccuparmi di più è la solita storia del taxi: qualsiasi cosa dirò, l’autista sarà lì ad ascoltarla. Rifletto. Metto sulla bilancia le due cose: il bisogno disperato di sentire la voce di Michele e l’assurda pudicizia di parlare dei fatti miei davanti a un estraneo. Prendo il telefono e cerco il suo numero.
Quattro chiamate, nessuna risposta.
Era da dire. Mi toccherà aspettare che sorga l’alba a Milano — la sua — farlo riprendere e riprovare. Ci vorrà almeno un’ora.
Non posso guardare il telefono, le curve mi fanno venire il mal di macchina. Un po’ di musica, ecco che ci vuole.
Prendo gli auricolari nella borsa, li infilo nelle orecchie, faccio per selezionare una canzone, quando Michi mi chiama.
“Pronto?”
“Sembri felice. Torno a dormire.”
“No, aspetta.” grido.
“Dice a me Signora?” interviene l’autista.
“No, scusi, sono al telefono.”
Mi sento avvampare.
“Michi, ascolta, sto tornando a casa.”
“Ecco perché mi sembravi felice…”
“Devo raccontarti cosa è successo… cos’è questo rumore?”
“Sto friggendo delle uova.”
“Giusto, sarà meglio che tu ti sieda.”
Prendo fiato e inizio a raccontare per filo e per segno.
“Primo giorno: arriviamo, ci assegnano due camere separate, ma comunicanti. Lui crede di poter entrare e uscire quando vuole, io glielo vieto.”
Michi scoppia a ridere.
“Che c’è di comico?” chiedo perplessa.
“Sto immaginando la tua faccia.”
“Esatto. Credo che tu abbia capito. Ma il bello deve ancora venire. Secondo giorno, torniamo dalle piste. Ad attenderci su uno dei divani della hall, c’è Andrea.”
“Continua, le uova sono quasi pronte.”
Mi sembra di sentire la sua acquolina.
Do uno sguardo allo specchietto retrovisore per controllare l’espressione dell’autista: sembra concentrato sulla strada, o forse cerco di convincermene per proseguire con il racconto.
“È un’improvvisata, Davide non la stavo aspettando, ma la raggiunge, mentre io cerco di trarre in salvo Sofia da questa situazione imbarazzante. Corro da Olivia che è appena entrata insieme ai bambini…”
“Olivia era in montagna con te?” mi interrompe.
“Sì, scusa, non te lo avevo detto.”
Sento il piatto che si appoggia sul tavolo, la sedia che si sposta sul pavimento e mi sembra di vedere Michele che si siede a mangiare: mi mette appetito.
“Olivia mi suggerisce di seguirli, di origliare dalla porta comunicante…”
“E tu?”
“Io… io l’ho assecondata. Che altro potevo fare?”
Lo dico con una buona dose di titubanza, so bene che origliare non è una cosa carina e temo il suo giudizio. Ma invece del rimprovero che aspettavo, lui si congratula e mi chiede di proseguire.
“Scopro che lei lo ha tradito.”
Non so se a strozzarlo siano le uova o il pettegolezzo fin troppo succulento.
Sento un colpo di tosse, la plastica della bottiglia che stritola tra le mani, lui che deglutisce, che riprende a parlare.
“Lei lo ha tradito?” Comincio a rivalutare questa Lego Friends…” dice in tono ironico.
“Scopro anche che Andrea non è stata la sola donna con cui mi ha tradito, ma di fatto lui non vuole più saperne di lei e le chiede di andarsene…”
“Vai avanti.”
“Aspetto che lei se ne vada, faccio irruzione nella sua stanza, lo ricopro di insulti e gli dico che ho intenzione di andarmene.”
“Direi che non hai cambiato idea, se ora stai tornando a casa… ”
“Esatto. Dopo essere tornata dalla cena a cui lui non era stato invitato, rientro in camera con Sofia. Le chiarisco che io e suo padre non torneremo a vivere a insieme, ma che saremo sempre presenti nelle fasi importanti che accompagneranno la sua vita, lei si addormenta felice e io preparo la valigia.
Ma mentre sto per andare a dormire….”
“Lui arriva con un calcio in scivolata sulla moquette e sfonda la porta comunicante…”
“Haha. Spiritoso.”
“Mi sono fatto prendere…” conferma divertito.
“Bussa alla porta, io fingo di ignorarlo, ma lui continua e per non svegliare Sofia, lo raggiungo. Ha gli occhi pesti, il viso affranto, mi chiede cinque minuti per chiarire e io non posso fare altro che concederglieli.”
“Occhi di cioccolato è tornato?”
Anche questa sembra una delle sue frasi fatte per sdrammatizzare, ma rimarrà sorpreso quando arriverò alla fine della storia.
“Mi spiega le ragioni che lo hanno portato ai tradimenti, alla decisione di lasciarmi e di vivere con un’altra donna. Mi chiede scusa per aver cercato di cambiarmi, mi confessa che rivedere quella donna passionale di cui si era innamorato gli ha fatto capire che sono la sola che amerà per sempre…”
“Aspetta: mi sto commuovendo.”
Non credo che stia scherzando, ma vado avanti: “dice che ha fallito, di essersi reso conto che non c’è più niente che possa fare per riconquistarmi, ma che Sofia ci ha unito in un rapporto indissolubile, e che se non possiamo essere una coppia di fatto, possiamo almeno essere una coppia di bravi genitori.”
Michi tira su col naso.
“Stai piangendo?” chiedo incredula.
“Te lo avevo detto che mi stavo commuovendo. Sono felice per te, ti meritavi un lieto fine come questo.”
Anche io sono commossa dalla sua reazione, lo ringrazio.
“E ora che farai C***secco?”
“Pensavo di fare tappa a Torino, di preparare una seconda valigia con un abbigliamento più consono e di precipitarmi a Forte per passare il capodanno con Paolo.” dico allegramente pregustando il momento del nostro incontro. Ma dall’altra parte del telefono, c’è troppo silenzio: forse si aspetta un invito.
“Volete venire anche voi?” mi affretto ad aggiungere.
“Non credo che sia una buona idea, forse è meglio che restiate da soli.”
Perché ho l’impressione che stia tentando di dirmi qualcosa?
“Non so come abbia preso la storia della foto…” aggiunge preoccupato.
La sua frase mi spiazza. Di quale foto sta parlando?
“Quale foto?”
“C’è una foto sul profilo ufficiale di Davide: vi ritrae tutti insieme abbracciati vicini a un rifugio, tu stai sorridendo e nella didascalia c’è scritto: ‘amo la mia famiglia’ non mi dirai che non lo sapevi?”
“Segui il suo profilo Instagram?” chiedo sconvolta.
“Sai che ho sempre apprezzato i tuoi uomini…” dice ironico tentando di camuffare l’imbarazzo. “Ma tu non l’hai vista?”
Vorrei precisare che sono rimasta per quasi un’ora con un bicchiere attaccato all’orecchio, che avevo questioni più importanti da risolvere, ma non credo servirebbe.
“So che l’ha scattata un uomo con una macchina professionale…” mormoro. “Era l’ennesima di una serie che Davide ha concesso ai fan che lo hanno riconosciuto sulle piste…”
E mentre cerco di capire come possa esserne entrato in possesso, Michi mi interrompe: “doveva essere un paparazzo.”
“Un paparazzo che è in contatto con Davide.” aggiungo sospettosa. “Quando ha postato la foto?”
“Stanotte alle due.”
Mi rifiuto di pensare che il mio ex marito abbia architettato tutto per mettermi in difficoltà, ma a Paolo non farà piacere, questo è certo.
“Potrebbe non averla vista…”
“E se l’avesse vista? Devi considerare questa possibilità…” suggerisce Michi.
“Senti: non ho nulla da nascondere, è solo una foto di famiglia, sapeva che ero qui con loro.”
“Già, ma hai preferito andare senza di lui e con una didascalia come quella, anche a Martin Luther King verrebbero i cinque minuti.”
So che ha ragione, ma cosa posso fare?
“Non cambio i miei programmi per una foto, andrò da lui, gli dirò che lo amo, che voglio lui, lui e basta.” dico in tono concitato. “E poi non posso rinunciare al nostro sesso tantrico.”
La conclusione potevo risparmiarmela, i miei occhi si fiondano su quelli dell’autista e vedo le sue sopracciglia alzarsi in segno di sorpresa: ha sentito tutto.
Mi tocco i capelli nervosamente cercando di riprendere il discorso, ma sono in imbarazzo.
“Lo avviserai spero…”
“No. Voglio fargli una sorpresa, lui non si aspetta che stia tornando.”
Ma l’entusiasmo con cui pronuncio quelle parole, si spegne un secondo più tardi, quando Michele mi fa presente che potrebbe esserci il rovescio della medaglia.
“Non sono sicuro che sia una buona idea… sai, una bionda nel cassetto, anche se fa parte del passato, può sempre essere utile quando vuoi fare ingelosire qualcuno…”
Freddezza, malizia, concretezza. Amo queste sue qualità, ma è come se mi stesse dicendo che non posso fidarmi, nemmeno di Paolo. E a questo punto della mia vita, sono stanca di nascondermi dietro situazioni di comodo che camuffano la verità per paura di accettarla.
“Non cambio idea, se devo vedermela con la bionda che sia: non la temo.”
QUARANTADUESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova