il terzo squillo.
Il presidente della Onlus mi guarda con un po’ di imbarazzo: è come se dal mio ‘scusi, devo rispondere’ avesse intuito che è meglio filarsela, che c’è puzza di guai.
Mi dice: “prego, faccia pure.” Ed esce, lasciandomi sola con il telefono tra le mani, che squilla ancora una volta.
La tentazione di togliere la suoneria, cacciarlo nella borsa e aspettare l’ultima vibrazione, è forte, ma sto aspettando questa telefonata da ieri.
Mi stupisce che il mio shopping non lo abbia infastidito. O forse è talmente distratto — da lei — da non aver fatto caso al primo messaggio della banca.
Ma questo non può essergli sfuggito: diecimila euro non sono una cifra da poco, nemmeno per noi.
Mi chiederà dove sono, che cosa sto combinando e io avrò quello che voglio: la resa dei conti.
Gli dirò che non sono tenuta a informarlo dei miei affari — non mi pare che lui lo abbia fatto — e che questo è solo un piccolo risarcimento.
“Pronto.” dico in tono distaccato.
“Ciao mamma!”
Le parole più belle del mondo, pronunciate da Sofia in viva voce, riescono a togliermi quello sguardo accigliato che avevo impostato alla partenza.
“Ciao amore mio! Dove sei?”
“Sto andando con papà a fare merenda.”
Come immaginavo: è con il nemico.
“Come stai?”
Le faccio la domanda, tenendo una mano sul petto: è come se tentassi di frenare il cuore, che sta scoppiando di gioia.
“Io sto bene. E tu e Michi? Vi state divertendo a Cortina?”
Il sorriso che si è appena materializzato sul mio viso, si blocca, lasciandomi con un’espressione che assomiglia a una paresi: non so cosa dire.
È chiaro che la parte in cui mi raccomandavo di non dire a papà, dove mi trovassi e con chi, deve esserle sfuggita.
E va bene: giochiamo a carte scoperte.
“Ci stiamo divertendo un sacco.” rispondo euforica. “Ma ho tanta voglia di vederti.”
“Anche io mami, tantissima.”
Adoro la sua vocina. Ha un suono vispo, allegro: è un raggio di sole. È la quiete prima della tempesta che sta per arrivare.
“Ciao Eva.” interviene Davide.
Ecco: la mia nuvola carica di pioggia.
“Ciao. Come va?”
Dai dillo. Dillo che sei arrabbiato perché ho speso i tuoi soldi. Dillo e ti faccio nero.
Ma non come avrei sperato: c’è Sofia che ci sta ascoltando e devo trattenermi.
“Molto bene.” risponde pacifico.
Come molto bene? E i soldi? E la parte in cui dico: ‘mi riprendo la mia vita’?
“Novità?”
Se non dice niente neanche adesso, vado a rifarmi seno e glutei.
“Nessuna. Tu piuttosto: Sofia mi ha detto che avete cambiato destinazione. Cortina è bellissima nel periodo natalizio…”
Aspetta di vedere l’albero che ho comprato.
“Michele come sta?”
Sta cercando di fare conversazione, come se nulla fosse. Nella sua voce non c’è un filo di risentimento. Nessuna forzatura.
E un po’ mi dispiace.
“Mamma, sai che abbiamo un gattino!” interviene Sofia.
Rimediare un gatto qualunque è un po’ più semplice di un chihuahua biondo a pelo lungo: l’unico che sono riuscita a trovare è decrepito.
“Ma che meraviglia!” dico falsamente eccitata. “E chi te lo ha regalato?”
Vista da fuori, facendo quella domanda, di cui già conosco la risposta, sembro la strega di Biancaneve mentre prepara la pozione.
“Me l’ha regalato Andrea!”
Pronuncia quel nome con la stessa vocina dal suono vispo e allegro, di cui credevo di avere l’esclusiva, e sono gelosa.
Le sue parole hanno il suono della felicità, io, invece, mi sento triste, spaventata.
Ho paura che possa affezionarsi a lei.
“Ah! Andrea! Sai che si chiama come una delle tue Lego Friend?”
Il mio tono provocatorio, purtroppo, non è percettibile al telefono.
“Sì, ci abbiamo anche giocato… ieri sera.”
Ieri sera? Era con lei, ieri sera?
Ripercorro velocemente il piano che ho preparato, prima della partenza: sapevo che questo era il weekend con papà e lei non poteva mancare.
“Davvero? Ma che carina!”
Se ce l’avessi di fronte, la tratterei come un sacco da box.
“Sì e poi abbiamo guardato un film: ‘tutti insieme appassionatamente’.”
È il titolo o sta descrivendo le modalità della visione?
“È uno dei miei preferiti…” aggiungo, tentando di nascondere la delusione.
“Anche il mio. Ci sono tanti bimbi che cantano…”
Già. Mentre loro cantavano, io ero fuori a sbronzarmi con il mio migliore amico e a flirtare con il mio primo bacio: complimenti Eva. Complimenti. Quasi, quasi, preferisco tornare sul discorso del gatto.
“E il gattino com’è?
“È bellissimo mamma!”
Ci manca solo che sia nero.
“È piccolino e nero.” aggiunge contenta.
Calimero. Lo sapevo.
Tenuto conto dell’interminabile scambio di domande, mi chiedo se Davide stia portando nostra figlia in Tibet, a fare merenda.
E nella speranza di chiudere il discorso e anche la telefonata — che comincia a ferire la mia sensibilità — le chiedo:
“Come lo hai chiamato?”
“Lo abbiamo chiamato Romeo, come il gatto del Colosseo.”
Quel plurale maiestatis mi colpisce. Ma il sentirlo pronunciare in coro, con lei, sulla nostra macchina, è un pugno nello stomaco.
Sono tutti e tre insieme: come lo eravamo noi, una volta.
Prima il gatto, poi arriveranno i bambini — tanti bambini — e saranno la famiglia Trapp a tutti gli effetti: mi sento morire.
“Amore, è un nome bellissimo.” dico piena di approvazione.
Sto per congedarli, ma poi penso che sono io a voler dire cosa ho fatto oggi. Giusto per togliere ogni dubbio.
“Ora la mamma deve salutarti: ho comprato un albero di Natale a un’asta di beneficenza, e stanno per consegnarmelo.”
Chiudo gli occhi, aspettando che qualcuno dica qualcosa, ed è lui che inizia a parlare:
“L’ho visto sul messaggio: sei stata fantastica.”
Le sue parole, pronunciate con quel tono dolce e sincero, mi spiazzano.
Quindi la parte in cui ‘mi riprendo la mia vita’ non serve più?
Come ho fatto a non capire che lui non aspetta altro? Mi vuole fuori dalla sua, a qualunque costo. E un premio di consolazione, forse, lo aveva messo in conto: io l’ho sottovalutato.
A farmi riprendere è la voce di Sofia, che grida eccitata: “Brava mamma!”
Ringrazio, saluto e chiudo la telefonata.
Quanto è difficile accettare che ami ancora qualcuno che ti ha già rimpiazzato?
Mi sembra di stare lì a guardare, come uno spettatore, la parte più romantica di un film già visto. Li vedo. Li vedo anche se non li ho di fronte, e so che sono belli insieme.
Peccato che qualcuno abbia preso il posto
che è sempre stato mio.
Guardo il pavimento e la sola cosa che vorrei fare è mettermi in ginocchio e piangere ogni lacrima, che a stento trattengo. Ma non voglio farmi questo.
Ho una dignità e devo difenderla: devo reagire, andare avanti, desiderare di nuovo quel mondo che amavo e che ora non ho più.
Non me ne starò ferma e immobile, ad aspettare il trascorrere della loro nuova vita. Anche io voglio essere felice.
Guardo l’orologio: sono passati dieci minuti, se ne perdo un altro qui dentro, a piangermi addosso, potrei uscire e non trovarlo più. E io voglio uscire con Paolo.
Stasera.
DICIANNOVESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova