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3 Set

Un libro per amico

not for fashion victim

enrica alessi not for fashion victim

 

 

 

 

 

N

on ho rispettato i limiti di velocità, ma ho tenuto conto del colore dei semafori, fatta eccezione per l’ultimo: un fotofinish tra il giallo e il rosso. Ma ora sono qui, sto entrando in clinica.
Federica capisce al volo che non ho tempo di salutare, mi sto chiedendo dove sia Lolita. Punta il dito verso il corridoio e dice: “nell’ambulatorio di Cristina.”
Come immaginavo.
Mi tolgo il cappotto, inizio a correre.
Afferro la maniglia della porta e la apro come si fa nei film drammatici: mi trovo di fronte il dottore che sta sorridendo.
Getto lo sguardo sul tavolo su cui giace Lolita e vedo due piccoli cuccioli vicino a lei: hanno le macchie, proprio come Max.
Ora sorrido pure io, sono eccitata, felice.
Anche Lolita sembra aver messo fine alle sue sofferenze.
Mi volto verso il dottore per congratularmi: ora siamo nonni, ma Cristina mi chiama.
“C’è un altro piccolo in arrivo, vuoi pensarci tu?”
Mi sta dicendo che ho ancora una possibilità? Che posso assistere alla nascita di uno dei miei nipotini?
“Certo.”
Infilo uno dei camici che trovo appesi dietro la porta. Mi lavo le mani e metto i guanti. Rassicuro Lolita, ma senza intervenire: un eccessivo stress potrebbe essere controproducente e causare inibizione del parto, andrà tutto bene, Lolita sarà bravissima.
E lì, mentre mi chiedo se sarà maschio o femmina — e che comunque sarà il mio preferito, visto che sarò io a farlo nascere — sbuca il sacco amniotico. Lo estraggo lentamente, Lolita è una primipara, avrà paura di romperlo, lo faccio io.
Non so ancora dire se sia un lui o una lei, ma di certo è color carbone.
Come diavolo è potuto succedere?
Guardo Lolita con l’aria di chi si sente tradita, ma lei ha un musino innocente e scodinzola.
Sono una professionista, non voglio trarre conclusioni affrettate, farò delle ricerche. Forse ci troviamo di fronte a un miracolo della genetica: al primo caso al mondo di albinismo in forma inversa.
Lego il cordone ombelicale, lo taglio e massaggio il cucciolo con vigore delicato, liberandogli naso e la bocca per farlo respirare. Com’è carino.
Mi volto verso il dottore soddisfatta, ma lui pare aver smarrito il sorriso felice di poco fa: ha la faccia di chi non ha capito.
“Melissa, il cucciolo che è appena nato è nero…”
Crede che io non lo veda?
“Lo so, ma ora dobbiamo capire quanti ne restano e di che colore saranno…”
Lo dico con un’autorevolezza svampita, sfuggo dal suo sguardo stordito e mi precipito sulla macchina ecografica per visitare Lolita.
Cristina sta fissando l’ultimo nato con un ghigno divertito: sta insinuando che Max non sia il padre? Avrei voglia di tirarle un calcio. A placarmi è scoprire che non ci sono altri cuccioli da far nascere: le sorprese sono finite.

Ho cercato di sorvolare riguardo alla mia teoria sull’albinismo inverso, non credo il dottore si sarebbe convinto, non sono convinta nemmeno io.
Più tento di scansare un pensiero, più quello mi perseguita, e seppure non voglia ammetterlo, assomiglia più a un presentimento che si chiama Benji.
Quel cane è già finito in clinica un paio di volte a causa del suo grilletto facile, e se avesse sedotto anche Lolita? E se i cuccioli non fossero i figli di Max?
Non mi resta che aspettare che crescano: dimensioni e aspetto mi diranno la verità.
Mi sono offerta di occuparmi dei coniugi e della prole per qualche giorno: il dottore ha accettato con piacere, dice che si sentirà più tranquillo.
E tutto sommato, anche io ho necessità di fare una pausa. L’ultimo periodo è stato un tantino frenetico, e se penso che mi aspetta una cena a casa di Jafar, una piccola vacanza è proprio ciò di cui ho bisogno.

Sono sempre più convinta che le coincidenze non esistano. Anche gli episodi che possono sembrare casuali, in realtà non lo sono. E ora mi spiego perché ho incontrato Ron Moss in quella spa: non serve essere un attore di Beautiful per trovarti alle prese con un esame del DNA.
Quel cucciolo nero — seppure sia il mio preferito — continua a evocarmi un tradimento, ma l’istinto animale è l’istinto animale: nessuno può sottrarsi a un tale richiamo. E mentre me no sto qui, seduta sul mio divano sgombro dai panni da stirare, quasi mi commuovo per l’ordine che sono riuscita a mantenere in casa, dopo l’intervento provvidenziale di mia madre. — E poi ho sempre amato gli spazi puliti e confortevoli, è solo che li amavo di più quando non toccava a me renderli tali. Ma a commuovermi di più è forse quel profumo di famiglia che aleggia nell’aria.
Sorrido mentre mi gusto quel delizioso quadretto che sta lì, vicino ai miei piedi. Dormono tutti. I cuccioli vicino alla mamma, Max accanto a lei, e anche se non fosse lui il padre, li amerei comunque.
Gli occhi li fissano, la mente va altrove: a immaginare la primavera e il portico della fattoria di Luca: d’un tratto, l’idea di trasferirmi da lui e di lasciare il nido in cui sono cresciuta con Cassandra non mi spaventa più. Il naso mi pizzica, gli occhi si bagnano. Anche io avrò una famiglia?
E su quella domanda che tante giovani donne si fanno, mi dico che questa settimana di vacanza mi ci voleva davvero. Farò la nonna, mi occuperò degli ultimi dettagli della festa, e ora che il mio diorese è praticamente perfetto, potrei anche concedermi una lettura leggera, il romanzo di Enrica per esempio.
Se voglio davvero una famiglia, sarà meglio farsi un’idea di ciò che mi aspetta.
Afferro il libro che ho di fronte e mi concedo qualche secondo per valutare la copertina: il colore fucsia è incoraggiante, ma il bambino — o forse è una bambina? — che cammina in salita riparandosi con un ombrello lascia intendere che sia un percorso faticoso e pieno di insidie. Ma non voglio lasciarmi influenzare dalle apparenze, lo apro e vado dritta a pagina sette.
“Il dolore che sarebbe durato nelle cinque ore successive — ma forse anche di più — ebbe inizio in una tarda mattina di maggio mentre passavo l’aspirapolvere…”
Anche l’incipit non lascia presagire niente di buono, ma mentre mi convinco a continuare, il campanello suona: sembra più un salvataggio che un’interruzione.
Anche Max e Lolita si mettono in allerta, mi alzo dal divano, raggiungo la porta e quando la apro, mi trovo di fronte Cassandra. Non la stavo aspettando, gli ormoni devono aver attivato la modalità ‘visite a sorpresa in pausa pranzo’, però sono contenta di vederla. Sto per salutarla, ma lei mi anticipa: “Melissa, la tua macchina! Il paraurti è distrutto!”
Vorrei precisare che non è così grave: il portellone si apre ancora.
“Mi hanno tamponato…”
“Quando?” chiede basita entrando.
“Venerdì, dopo essere fuggita dall’atelier.”
“Tu stai bene?”
Mi accarezza la nuca mentre me lo domanda: il suo senso materno è sempre vigile.
“Sto benissimo, non mi sono fatta niente.”
“Chi è stato? Perché non me lo hai detto?”
Se rispondessi con sincerità alla prima domanda, credo che la seconda risulterebbe superflua.
“Be’ ecco… non ho idea di chi possa essere stato…” mormoro strizzando gli occhi in attesa di un rimprovero.
“Un pirata della strada! Sei stata vittima di un pirata della strada: è gravissimo! È fuggito? Sei riuscita a prendere il numero di targa? Lo hai denunciato?”
“Non proprio…”
“Lo sapevo: quel delinquente ti ha seminata…”
“In realtà sono stata io a seminarlo.”
Mi guarda con una faccia didascalica e sotto, scritto in piccolo, leggo: è uno scherzo, vero?”
“Avevo fretta, i cuccioli stavano per nascere, non potevo accostare e compilare un modulo con tanto di disegnino!”
La didascalia continua con l’espressione successiva: Cassandra si sta chiedendo se sia diventata matta.
“Ti toccherà pagare un danno di cui non sei responsabile.”
“Lo so, lo so… ma ho fiducia nel genere umano: magari qualcuno si farà vivo…”
“Melissa, siamo nel 2019, il nostro paese è in piena crisi economica, nessuno verrà mai a cercarti per rimborsarti un danno.”
Potrei contraddirla?
“Dovevo correre da Lolita, non avevo tempo per queste sciocchezze.”
“Sciocchezze? Sarà un danno da mille euro…”
“Ottocento per essere esatti. La carrozzeria mi ha già fatto il preventivo, ho l’appuntamento domani.”
“Melissa…”
Il modo in cui pronuncia il mio nome è un mix tra rammarico e disapprovazione. Devo cambiare discorso.
“A ogni modo, ne è valsa la pena: non sono meravigliosi?” mormoro voltandomi verso il plaid su cui giace Lolita con i cuccioli.
“Spero almeno che ti diano una macchina migliore della volta scorsa: quella Punto scassata color amaranto era terribile.”
E mentre realizzo che nemmeno la cucciolata le toglierà dalla testa quel dannato paraurti, mi mordo la lingua per evitare di confermare che è proprio quella l’auto sostitutiva che mi hanno promesso.
“Viene a vedere…” bisbiglio prendendola per mano.
“Deduco che quello illegittimo sia quello più scuro…” esordisce sarcastica.
“Come sai che illegittimo?”
“Me lo ha detto Cristina.”
Pettegola.
“Cosa ti ha detto? Precisamente…”
“Che potrebbe trattarsi di un caso di super fecondazione. Una femmina può accoppiarsi con più maschi… se si considera il comportamento poligamo dei cani, non è così strano.”
Perché ho l’impressione che voglia giustificare il comportamento disdicevole di Lolita?
“Forse Lolita si è accoppiata con Max…”
“Toglierei il forse.” replico tentando di riscattare l’onore del mio cane che mi guarda smarrito.
“Non avevo finito la frase. Non interrompermi: Lolita si è accoppiata con Max e in seguito, potrebbe essersi accoppiata segretamente con un altro cane.”
Quella frase, seppure pronunciata con estrema naturalezza, è pungente come una freccia: mi trafigge il cuore.
Ora mi starà a sentire, le dirò tutto sulla mia teoria dell’albinismo inverso. Ma mentre sto per iniziare il discorso, lei mi anticipa.
“E allora potremmo trovarci di fronte a un comune caso di cucciolata con mezza razza pura e mezza razza mista.”
E va bene, mi arrendo: Max tiene le corna.
La delusione che si palesa sul mio viso deve suggerirle la prossima battuta:
“Puoi sempre ricorrere a un test del DNA…”
Si sta parlando di ficcare un tampone dentro la bocca di un cucciolo, prelevare un campione dal suo palato e spedirlo in laboratorio per farlo analizzare. È appena nato e deve già sostenere un esame?
Non posso farcela. Lolita potrà anche essersi comportata come Brooke Logan, ma un test del DNA su una cucciolata mi pare esagerato. Mica siamo in Beautiful.
“Meglio rimanere nel dubbio, in fondo cosa importa? I figli sono di chi li cresce: non si dice così?” concludo fiera.
Sapevo che una frase come quella avrebbe trovato la sua approvazione, ma non pensavo che si sarebbe commossa. Ha gli occhi lucidi, le labbra a mestolo: questi ormoni avrebbero bisogno di un sintonizzatore. Che cavolo.
“Chi li terra?” mi chiede chinandosi su Lolita per accarezzarla.
“Non abbiamo ancora deciso, ma dubito che il dottore sceglierà Illy.” mormoro indicando il cucciolo nero.
“Geniale: come il caffè!” esclama lei.
“No, come illegittimo.” preciso io.
Scoppiamo a ridere entrambe, ma un attimo dopo, la sua espressione cambia, si fa seria.
“Non penserai davvero di poterti occupare di tutti questi cani da sola? Hai una casa, un lavoro, un fidanzato…”
Sono quasi sul punto di proporle di adottarne uno, ma so cosa direbbe: ho tenuto Max giusto per un weekend e ho dormito con l’aspirapolvere sotto il cuscino; mi restano sei mesi di libertà prima che arrivino le notti in bianco, le ragadi al seno e la depressione post-partum, non posso sprecarli a raccogliere pipì e pupù di cane per casa. Questo direbbe e francamente non la biasimo.
“Luca mi aiuterà.”
“Non ne dubito, ma la casa è troppo piccola…”
Ecco il tassello che le manca: il mio trasloco. L’omertà con cui sto gestendo il suo party a sorpresa deve aver inevitabilmente contagiato il mio modo di divulgare informazioni.
“Non starò qui per sempre…”
Lascio la frase in sospeso, così, sperando che intuisca il resto.
“Sì okay, ma fino ad allora?”
Non ha intuito. E non ha nemmeno intuito che questo trasloco è imminente: dovrò essere più esplicita.
“Luca mi ha chiesto di trasferirmi da lui.”
La sua faccia dice tutto e niente, o forse dice ciò che mi sarei aspettata: né più, né meno. La felicità si mescola alla sorpresa e poi cade in un dirupo, dopo essere stata spinta dalla tristezza. So a cosa sta pensando: te ne vai? Lasci il nostro nido e non mi dici nulla?
Una parte di me vorrebbe che mi pregasse di restare. Vorrei che mi dissuadesse, che mi chiedesse di aspettare, di pensarci bene. L’altra, però, tradurrebbe le sue raccomandazioni come un atto di egoismo e sentirebbe la necessità di chiarire a entrambe che anche io, come lei, posso iniziare una nuova vita.
“Melissa! Che bella notizia!” esclama abbracciandomi.
E la tristezza? Le raccomandazioni? La perplessità che mi sarei aspettata? Ho fatto tutto da sola? Davvero è felice per me?
“Hai già avvisato il padrone di casa?”
“Non abbiamo ancora definito una data, pensavo di aspettare l’arrivo della primavera…”
“È un’idea fantastica!”
Il suo entusiasmo mi infastidisce.
“Melissa… tutto okay?”
E probabilmente fatico pure a nasconderlo.
“Davvero non ti dispiace?”
“Che cosa?” chiede stupita.
“Che me ne vada, che lasci la nostra casa per sempre.”
Giuro che se non smette di sorridere, la caccio. Sono solo io a soffrire per questo addio?
Le labbra di Cassandra si rilassano, si abbassano leggermente per consentire al viso di assumere un’espressione più seria.
Ora mi sento meglio.
“Questa sarà sempre la nostra casa. Anche dopo aver visto quaranta inquilini diversi.” sussurra afferrandomi le mani.
Ora sono io che sorrido divertita.
“Tutto ciò che abbiamo vissuto qui lo porteremo via con noi, nei nostri ricordi. Sarei un’egoista se ti chiedessi di restare.”
Si guarda attorno, fa una pausa. Difficile capire se stia cercando di memorizzare più dettagli possibili da portare con sé quando tutto questo le mancherà, o se, piuttosto, per scegliere le parole giuste con cui concludere il suo discorso.
“Dopo ciò che hai passato qui…”
Credo si stia riferendo ai fiumi di lacrime che ha visto scorrere a causa del mio ex.
“Ero fermamente convinta che tutto quel dolore non ti avrebbe più permesso di innamorarti di nuovo, ma poi è arrivato Luca ed è tornata la Melissa che sa sorridere. Lui è l’uomo che speravo esistesse, quello che desideravo per te: lui ti adora.”
È sull’orlo del pianto, io pure. Se questa non è una benedizione non so cosa possa esserlo. Le sue parole sono così cariche d’amore da farmi dimenticare…la paura.
Paura? Ho detto paura?
No. L’ho solo pensato: devo dirglielo.
“Ho paura.” mormoro abbassando lo sguardo. “Sono innamorata di Luca, l’idea di andare a vivere con lui mi eccita, ma se la realtà in cui ora si sente al sicuro cominciasse a stargli stretta? Se decidesse di tornare a Milano per seguire gli affari di famiglia?”
Non ho ancora finito, prendo fiato, vado avanti: “Stiamo insieme da tre mesi, la convivenza è un salto nel buio, come faccio a sapere che andrà bene?”
Cassandra mi ascolta con interesse divertito, pare abbia capito la mia necessità di esternare uno stato d’animo che da tempo mi procura ansia e resta in silenzio, senza interrompermi.
“Qualcuno dovrebbe prendersi la briga di studiare i comportamenti umani e fornire alcune regole di base per affrontare la convivenza con serenità. Un decalogo garantito con cui preservare la salute della coppia.” concludo imbronciata con la consapevolezza che ciò che mi occorre non esiste.
“Capisco il tuo punto di vista, la tua necessità di concretezza, ma è il bello della diretta Melissa, tutto è una sorpresa, non puoi privarti di vivere un sogno per paura… non puoi fasciarti la testa prima di romperla.” ribatte lei. “Ma credo anche che potresti prendere in considerazione l’idea di traslocare con calma… e tenere l’appartamento per un altro po’. Questo ti aiuterebbe a stare più tranquilla, quindi, perché non farlo?”
Ecco la benedizione di cui avevo bisogno. La guardo, sorrido, la abbraccio.
“E poi hai il libro giusto da leggere.” aggiunge strizzandomi l’occhio mentre punta il dito sulla copertina fucsia.
“Lo hai già iniziato?”
“Tecnicamente sì…”
Cassandra lo afferra, lo sfoglia, sorride.
“Dove sei arrivata?”
“Ho appena finito la quarta riga.”
“Melissa!”
“Sei arrivata tu! Mi hai interrotto.”

CINQUANTASEIESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova