lla parola femminuccia, mi assale un’improvvisa debolezza. Sento le gambe che mi cedono, gli occhi chiudersi: credo che il mio corpo mi stia suggerendo di perdere i sensi, anche per poco, nella speranza che al mio risveglio, la bambina sia diventata maschio.
Come può essere una femmina?
Com’è potuto succedere?
“Che meraviglia!” dico fingendomi felice. “Ma sei proprio sicura?”
“Perché me lo chiedi?”
L’ipotesi di sospetto che vedo nei suoi occhi deve essere sicuramente frutto della tempesta ormonale in atto.
“Così… era per chiedere. Ecco, se fosse stato un maschio avrebbero notato…”
“I suoi genitali.” conclude Cassandra. “E siccome non li hanno notati, vuol dire che è femmina.”
Mi sembra chiaro che desiderasse un fiocco rosa dall’inizio: non prenderà mai in considerazione che possano aver sbagliato. Ma dimentico che la prima che deve farsene una ragione sono io.
“Sono felice che sia una femminuccia.” preciso. “Forse non mi sarà concesso di sperimentare con i suoi look, potrei rovinarle la reputazione, ma faremo insieme tante altre cose.”
Sono stata convincente, stavo addirittura per convincere me stessa.
“Sì! Sarà bellissimo.”
E scoppia a piangere.
Questa storia degli ormoni è davvero destabilizzante, sembra di dire sempre la cosa giusta nel momento sbagliato — e viceversa — le mamme sono delle strane creature, penso, mentre raggiungo Cassandra per abbracciarla. E alla parola ‘mamme’ si accende la lampadina di Archimede.
L’ecografia non è una scienza esatta, è un’interpretazione: dirò a Jérôme che c’è stato un avvistamento sbagliato, che il bambino è in realtà una bambina e che Cassandra ha deciso di darle il nome di sua madre. Ricordo di aver letto in un’intervista che si chiama Nadine.
Nadine non è male.
“Come la chiamerai?” le chiedo.
“Non ho ancora deciso, tu cosa suggerisci?”
Ho davvero voce in capitolo?
“Nadine!” rispondo prontamente.
“Nadine? E perché?”
Bella domanda.
“Nadine… come la canzone dei Whitehorse. La conosci?”
“No e non mi interessa. Lo sai che se sbagli il nome di un bambino, puoi segnarlo per tutta la vita?”
“E dove sta scritto, sentiamo…” ribatto decisa.
“Se proprio lo vuoi sapere, l’ho letto sul libro di una tizia divertente. Faceva una classifica dei nomi dei bambini e questo è sicuramente da catalogare tra gli ‘improponibili’. Non esiste!”
Forse dovevo suggerire Geronima.
A ogni modo, anche se non sarà facile farglielo digerire, basta un po’ di zucchero e la pillola va giù. Direbbe Mary Poppins.
E mentre mi immagino vestita come lei, a riordinare la futura stanza dei giochi, rifletto sulle tempistiche matrimonio-parto: se Jerôme deciderà di accettare l’invito, la bambina non sarà ancora nata e lui non saprà mai la verità.
Devo rifletterci, nel frattempo, meglio cambiare discorso:
“E tu Max? Sei contento?”
Sta lì, seduto davanti a me, scodinzola e mi guarda come se stesse sorridendo: anche lui è felice che sia femmina. Mi sembra evidente che non ho alleati in questa battaglia.
Guardo l’orologio, è ora di cena: mangiare qualcosa mi farà stare meglio.
Vado in cucina, apro il frigorifero, ma non c’è niente di papabile. Se non fosse che ordino la pizza solo per i momenti romantici, mi verrebbe da pensare a lei.
“Cosa mangiamo per cena?”
“Sushi?” suggerisce Cassandra.
Adoro il sushi.
La camionetta del ‘trasporto sushi’ si ferma davanti al cancello mezz’ora più tardi. Al trillo del campanello, Max corre verso la porta, Cassandra la apre e io pago — come direbbe Totò.
Ci mettiamo sedute a tavola e davanti a due porzioni di spaghetti di riso, Cassandra fa un altro annuncio:
“Domani sera, vorrei organizzare una festa per la piccola.”
Di già? Non è ancora nata e stiamo già organizzando una festa? Al battesimo?
I fuochi d’artificio.
“Ah sì?” chiedo prima di strozzarmi con i germogli di soia.
“Sì, solo pochi intimi…”
Bevo un sorso d’acqua per mandare giù il boccone: chi saranno quei ‘pochi’? Appoggio le bacchette sulla riva del piatto, e faccio la mia domanda:
“Chi ci sarà?”
Mi accorgo di aver aggiunto troppa enfasi nel chiedere, ora penserà che temo qualcuno degli invitati e non ho ancora trovato il coraggio di dirle che Britney non mi piace.
“Io e Tommaso, tu e Luca, Cristina e Cristian.”
“E chi sarebbe Cristian?”
“Il nuovo ragazzo di Cristina.”
“Il ragazzo del Rigattiere?”
“Brava! Proprio lui.”
Non ci credo: mi sento svenire di nuovo.
Lui è intelligente, è stimolante: non ha niente a che vedere con lei.
“Fantastico!” esclamo.
La mia reazione falsamente entusiasta arriva in ritardo: non sono credibile, ma se proprio mi tocca, per questa serata, sono disposta a sotterrare l’ascia di guerra.
Non sarò prevenuta, sorriderò a ogni sua battuta stupida, accompagnerò la sua risata insipida — se non altro per offrirle un rinforzino — e cercherò di non guardarla in cagnesco. Ammetto che l’ultimo aspetto mi mancherà in modo particolare.
“Posso aiutarti a organizzare?” le chiedo.
“Preferisco gestire tutto in autonomia.”
È un modo carino di dirmi che sono un disastro. E un po’ ha ragione.
L’ultima volta che abbiamo organizzato una cena con le sue colleghe, ho rovesciato una caraffa di sangria sul tavolo. Ma non in modo classico: non da seduta, mentre verso da bere e sbaglio il bicchiere. Peggio. Scendendo le scale, mancando un gradino, inciampando e gettando la caraffa a tavola come un gavettone.
Ne sono uscita con una piccola storta alla caviglia e il disprezzo generale, però non mi sono sporcata.
“Meglio senza di me, eh?” chiedo, mentre riprendo a mangiare.
“Assolutamente. Ma grazie per avermelo chiesto: se non lo avessi fatto, l’avrei presa molto molto male.”
Apprezzo la sincerità dettata dai suoi ormoni.
La sera successiva ho aperto il mio armadio e poi l’ho richiuso.
Ho supplicato Cassandra di aprirmi le porte del suo guardaroba: mi serve qualcosa di adatto alla serata.
Prometto di lasciare in pace il cappotto miracolato — stiamo a casa, non ne ho bisogno — e di non mettere nulla che abbia ancora il cartellino. Faccio ‘giurin giuretta’, lei acconsente e mi dirigo nella sua cabina armadio.
Mi perdo: troppi abiti, troppi colori.
Devo concentrarmi e andare a colpo sicuro. Strega comanda color: nero.
Lo vedo: un paio di capi scuri bordati di bianco. Mi avvicino, sollevo il cellophane che lo protegge e lo sfilo. È un completo in maglia: classico, intramontabile, adatto a ogni tipo di occasione. In dotazione, avvolto intorno alla gruccia, c’è un foulard. Non so dove metterlo, ma se è qui, significa che anche lui ha uno scopo nella vita: devo solo indovinare quale possa essere.
Afferro il malloppo, attraverso il corridoio e vado a prepararmi.
Dopo quindici minuti, ho fatto la doccia e cambiato versione alla mia mise, almeno quattro volte: il problema è stato il foulard.
D’intuito, ho deciso di annodarlo in vita come una cintura, e mi sono lanciata con un ombretto che riprende i suoi colori.
Mi piaccio.
Cassandra è in cucina, la raggiungo, ma resto sulla porta, il suo ordine restrittivo mi impone di non avvicinarmi.
La guardo: è impegnatissima, non si accorge nemmeno della puzza di bruciato. Come glielo dico che il sugo della parmigiana sta andando a fuoco?”
“Tesoro… il sugo.”
“Lo so: il mio sugo è speciale.”
Suda come se stesse giocando a calcetto, forse ha preso questa cosa un po’ troppo sul serio.
“Tesoro: il sugo.”
“Ho capito! Che c’è?”
I suoi scatti repentini di umore rallentano le mie reazioni: non so mai cosa fare, cosa dire, come.
“Cassandra: girati. Il sugo sta bruciando.”
La vedo precipitarsi verso i fornelli, come chi vuole fare tana a nascondino. Li spegne tutti, anche quello che stava cuocendo gli spaghetti, che a questo punto non hanno senso di esistere: il sugo si è bruciato.
Ho letto che la gravidanza sviluppa l’olfatto: a Cassandra deve aver fatto l’effetto opposto.
Le suggerisco di farmi entrare in campo e di permettermi di aiutarla: Se vogliamo mettere insieme una cena per tempo, deve piegarsi e consentirmi l’ingresso in cucina.
“Mi chiamerai anche ‘chef?’” chiede divertita.
“Va bene, ora passami il grembiule, abbiamo solo mezz’ora.”
Ci mettiamo al lavoro e allo scadere del tempo, mettiamo in tavola un paio di antipasti, un sugo a base di pomodoro fresco e una parmigiana deliziosa.
Ci guardiamo con la faccia di chi non avrebbe immaginato tanto e mentre finiamo di apparecchiare, suonano alla porta.
Lascio che sia Cassandra ad aggiungere alla tavola il suo tocco personale e vado ad aprire: Tommaso sembra l’immagine della felicità.
Tiene in mano dei fiori, immagino che siano per la futura mamma, invece me li porge.
“Sono per te, come stai?”
E come se un mazzo di tulipani non fosse abbastanza, aggiunge anche un abbraccio, cogliendomi doppiamente di sorpresa.
“Sto meglio, grazie. Entra pure.”
dico indietreggiando di un paio di passi.
Anche Max si precipita verso di lui.
“Max! Ciao.”
Si china e lo accarezza, pure il mio cane è in brodo di giuggiole. Quando hanno fatto amicizia?
Ma la domanda che non ho fatto ad alta voce, sembra comunque esplicita.
“Mentre eri in ospedale, ho sempre pensato io a lui, guardaci: non siamo una grande coppia?”
Tra me e lui, non so dire chi sia più soddisfatto di questa nuova amicizia, ma devo ricredermi sul suo conto: il sosia antipatico di Danny De Vito sembra essersi dileguato.
“Amore mio!”
Cassandra corre verso di lui, lo bacia, lo abbraccia, ma prima che possa sentirmi in imbarazzo, nel ruolo del terzo incomodo, il campanello suona di nuovo e Luca viene a salvarmi.
Tommaso ci versa del vino e ci ritroviamo in cerchio sorridenti, per un brindisi alla piccola che ha fatto saltare i miei piani.
Se fossimo solo noi sarebbe la serata perfetta, e mentre incrocio le dita, augurandomi che Britney abbia avuto un contrattempo, suonano alla porta. Cassandra va ad aprire.
“Buonasera mammina!” esordisce entrando, buttandole le braccia al collo.
Ricordo al mio inconscio della promessa fatta a proposito dell’ascia di guerra, ma basta il tono della sua voce a farmene pentire subito: non immaginavo fosse così difficile.
Cristian è dietro di lei, tiene in mano un paio di cartoni: la sua pizza peripatetica.
Cassandra si offre di metterla in forno per servirla insieme agli antipasti, Tommaso li fa accomodare in salotto, io vorrei solo svignarmela.
Se non altro mi aiuterebbe a risparmiare la pazienza — utile e indispensabile — per reggere la cena che mi aspetta.
Guardo Max ed è proprio lui a offrirmi una via di uscita: penso alla buca enorme che ha scavato qualche giorno fa, quella che avevo promesso di sistemare con Luca prima di essere scoperti da Cassandra: questo è il momento migliore.
“Luca, potresti venire in giardino? Devo mostrarti una cosa…”
“Certo.” dice alzandosi.
“Come siete romantici…” interviene Britney.
Sorrido come una povera imbecille, nel tentativo di allinearmi al suo standard, ma è difficile. Vorrei precisare che la fuga in questione è causata dalla sua presenza in casa mia, ma cerco di evitare, preservando la modalità ‘pace e amore’ che questa serata necessita.
Luca si alza dal divano, mi prende per mano e raggiungiamo l’uscita. Mi aiuta a infilare il cappotto e usciamo seguiti da Max.
“Confermo: è insopportabile.” dice, chiudendo la porta.
Ammetto di avere descritto Britney con aggettivi forti e nonostante sia consapevole di averlo condizionato con il mio giudizio, sono felice che sia dalla mia parte.
Il portico di casa sembra quello dei film americani, immagino la scena di un bacio e Luca sembra leggermi nel pensiero, appoggia il suo braccio sulla mia spalla e mi avvicina alle sue labbra.
Vorrei che fossimo soli, che il timer della pizza non suonasse per avvisarci che è ora di rientrare e vorrei anche che queste costole non fossero incrinate.
Chiudo gli occhi, lo bacio di nuovo, accarezzo il suo viso, sforzandomi di non pensare a ciò che potrebbe succedere, cercando di limitare la sofferenza di un desiderio che non può essere soddisfatto nell’immediato, e riprendo lucidità.
“Devo farti vedere una cosa…”
Lo guardo e nei suoi occhi vedo la mia stessa esigenza: arrossisco, fingo di ignorarla e lo conduco sul retro della casa, di fronte alla grande buca di Max.
“Complimenti!” esordisce divertito. “Se non sapessi che è opera di Max, mi verrebbe da pensare ai cerchi nel grano di Signs con Mel Gibson.
Rido. Il paragone rende l’idea.
“Credi di riuscire a sistemarlo?”
“Certo, serve solo un badile.”
Lui riesce a essere sexy, anche quando pronuncia la parola badile: non è da tutti.
“Potresti dormire qui e pensarci domattina…” suggerisco, tenendo a bada la mia audacia.
“Potrei…”
Mi bacia ancora, con passione, con trasporto, sento il cuore battere a mille.
Le labbra sfuggono dalle labbra, si appoggiano sul mento, sul collo, sugli zigomi. Penso alla cena, alle persone che ci stanno aspettando, ma la consapevolezza di non essere soli, sembra non bastare.
“Melissa…”
La mia migliore amica riesce sempre a mandare in pezzi i miei piani. Perché?
“La cena è pronta.”
Ecco perché.
Luca mi guarda con l’aria di chi ha appena cominciato, la serata che tanto temevo sembra farsi interessante.
Facciamo il giro del giardino, chiamo Max per rientrare, ma non lo vedo.
“Max… dove sei? C’è la pappa.”
La parola magica che lo fa scattare.
“Max, la pappa…” insisto.
La porta di casa è socchiusa, lo immagino già attorno al tavolo, in attesa di avere la sua parte, ma non è nemmeno lì.
“Cassandra, hai visto Max?”
“No, era fuori con te… Max…”
Anche lei si mette a chiamare il suo nome e la calma che ho cercato di mantenere fino a ora si sostituisce all’agitazione che sento nella sua voce.
Luca è il primo a uscire in giardino, io lo seguo e mi accorgo di un particolare che non avevo notato: il cancello è aperto.
“Chi ha lasciato il cancello aperto?” chiedo, mentre rabbia e disperazione prendono il sopravvento.
Nessuno risponde.
Mi precipito verso la strada, la luce dei lampioni, offuscata da un velo di nebbia, non mi consente una buona visuale.
“Max… Max dove sei?” grido disperata.
“Chi ha lasciato aperto il cancello?”
L’esigenza di trovare un colpevole sembra essere più forte di me, anche se non ci vuole un genio per capire chi sia stato.
Britney è stata l’ultima ad arrivare e io ero troppo presa a sbaciucchiare il mio ragazzo per accorgermene.
“Sono stata io.” mormora Britney, abbassando lo sguardo desolata.
Ma la confessione che aspettavo non è più importante. Sento un nodo in gola, le lacrime calde che bagnano il mio viso ghiacciato e le mie grida disperate:
“Max, dove sei?”
Il singhiozzo mi spezza la voce, mi sembra di impazzire: non so cosa fare.
“Vado io a cercarlo, rientra in casa.” suggerisce Luca preoccupato.
“È il mio cane, vengo con te.”
VENTESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova