ichele ha appena chiesto al concierge di chiamarci un taxi, e la destinazione resta ancora un mistero.
Ha scelto lui la mia mise di stasera: dopo avermi detto che il mio charme è in coma, non poteva essere altrimenti.
Tutto è cominciato dalla Louboutin, a cui ha aggiunto l’abito di Missoni, la borsa di Celine e la giacca di pelle che avevo alla partenza — salvata solo per il suo sapore decisamente rock.
Non so cosa abbia in mente, ma non sono preoccupata. Ormai ho capito il suo gioco.
Vuole farmi credere che mi presenterà qualcuno, solo per vedere la mia faccia.
Un test ulteriore per valutare la mia voglia di reagire. Ma Michele ha una mente troppo brillante per rifilarmi un appuntamento al buio: non sarebbe nel suo stile.
Il taxi si ferma davanti all’albergo, il portiere mi fa salire e Michi sale dalla parte opposta.
“All’hotel Cristallo, per favore.” dice, allacciandosi la cintura.
So cosa si aspetta: una serie interminabile di domande — pronunciate in tono greve e ansioso — a cui rispondere in modo enigmatico, al solo scopo di studiare i miei comportamenti. Certe volte, mi fa sentire una cavia.
Posso aspettare: tra poco, scenderò da questo taxi, farò il mio ingresso in albergo e qualcuno ci accompagnerà nel suo ristorante, con vista sulla Valle d’Ampezzo.
Non funziona. Troppo prevedibile. Anche questo non è da lui.
Un brivido mi corre lungo alla schiena, e non è di piacere, anche se dovrebbe. E se avesse affittato la stanza dei giochi con dentro Christian Grey?
Devo sapere, ora, subito.
“Che si fa?” gli chiedo con tutta la nonchalance possibile.
“Curiosa eh?”
“Terrorizzata è il termine corretto : terrorizzata.
Michi scoppia a ridere.
“Arriveremo e lo saprai.”
Il suo modo goliardico di mettere in subbuglio il mio sistema nervoso mi sta mettendo a dura prova, ma dirgli ciò che penso, davanti al tassista, potrebbe risultare sconveniente.
L’auto imbocca una lunga salita, visto da qui, l’albergo illuminato sembra quasi un castello, e per un momento, smetto di pensare al suo piano diabolico per gustarmi il momento.
Scendiamo dal taxi ed entriamo, passando per una grande porta girevole, metto un piede dentro e chiarisco le cose, una volta per tutte.
“Qualsiasi cosa tu abbia in mente, ti avverto: non sono il tipo da una notte via, non mi piacciono gli sconosciuti e neanche le sculacciate…”
Michi mi guarda perplesso. Poi, distoglie lo sguardo da me, per rivolgersi alla persona che sta dietro le mie spalle — di cui non mi sono accorta e che, probabilmente, ha sentito tutto.
“Buonasera, abbiamo un invito per la festa in mansarda.” dice in tono formale.
Mi volto, sorrido nervosa, mentre sgrano un rosario immaginario, con cui sto pregando che le mie parole non siano giunte alle sue orecchie, ma la sua faccia, curiosa e divertita, mi conferma il contrario: voglio morire.
“Certo, vi accompagno.”
Il ragazzo in uniforme ci fa strada verso un lungo corridoio. Adoro questo stile classico e senza tempo: i grandi lampadari appesi ai soffitti dipinti, i salotti eleganti, le luci soffuse, il suono del pianoforte in lontananza. Ma l’ascensore, che è appena arrivato e su cui sto per salire, mette fine al mio attimo di pace.
Michi mi sta buttando nella fossa dei leoni e so bene che non basteranno quattro piani per rispolverare le tattiche di seduzione: è passato troppo tempo dall’ultima volta. E anche se ogni molecola del mio corpo non vorrebbe uscire, le porte si aprono e non posso fare altrimenti.
Il ragazzo ci indica la mansarda e ci saluta, portandosi via l’ascensore dentro cui mi sentivo al sicuro. Ma tutto sommato, una festa è una festa: dovrei rilassarmi e godermi la serata.
Arriviamo all’ingresso e una ragazza, con una maschera sugli occhi, ci chiede la parola d’ordine.
Parola d’ordine? Io non so niente della parola d’ordine. Sapevo che non poteva filare tutto liscio. Ora, Michele pronuncerà ‘Fidelio’ in tono solenne e io sarò catapultata nel convitto orgiastico di Eyes Wide Shot.
“Una cosa a tre.” risponde divertito.
La ragazza sorride e ci lascia entrare.
Mi basta un secondo per capire che si tratta di una festa qualunque: luci psichedeliche, musica altissima, gente che si diverte. E in quel momento, capisco che le mie intuizioni iniziali erano buone: non c’è nulla di cui preoccuparsi.
“Dunque era questa ‘la cosa a tre’.” dico sollevata.
“Esatto, sei tu che ora devi spiegarmi la storia delle sculacciate.”
Sono letteralmente in imbarazzo, se ora gli dicessi che ho immaginato la stanza dei giochi di Christian Grey, Christian Grey e tutto il resto, rischierei di dargli uno spunto per la prossima volta, meglio cambiare discorso.
“Vieni, andiamo laggiù.” suggerisco, mentre indico un tavolo libero, lontano dalla consolle.
Michele mi segue e ci sediamo.
“Ora, tesoro, gradirei che tu bevessi.” dice, prendendomi la mano.
È così bello che toglie il fiato, ma so che sta cercando di fregarmi.
“Non se ne parla.” dico liberandomi dalla presa.
“Stai dicendo che non farai un brindisi con me?”
In effetti, se la mette in questo modo, sembra un rifiuto crudele.
“Ti ricordo che l’ultima volta che abbiamo esagerato…”
“Ci siamo divertiti come pazzi.” mi interrompe.
“E mi hai messo in un gran casino.”
“Felpa rossa non era un gran casino.”
Sono le frasi come questa che hanno il potere di farmi riavvolgere il nastro, ma Davide non è più lo stesso che ho sposato, e lui potrebbe dire lo stesso.
“Be’, poi lo è diventato. E ora eccomi qui: io ho quattro borse di vestiti in più, lui diciotto mila euro in meno. Così è la vita.” dico sarcastica.
“È curioso: pensi davvero di avergli fatto un torto?”
“Certo! Era questo lo scopo, no?”
“Per l’ennesima volta ti sottovaluti.” dice severo. “I soldi che hai speso oggi, erano vostri, non erano suoi.”
“Forse dimentichi il particolare più importante: non stiamo più insieme.” preciso.
“Non l’ho dimenticato: però ti ha chiesto di lasciare il tuo lavoro per seguirlo, e in cambio ti ha dato l’impiego di mamma a tempo a pieno, non retribuito. Tutti hanno diritto alla liquidazione di fine rapporto.”
Anche Michele — come Olivia — avrebbe un futuro nell’editoria. Potrebbe scrivere un manuale: ‘Come risolvere in modo facile i problemi difficili.’
Best seller dopo una settimana.
“Giusto.” dico ravvivandomi i capelli.
“Quindi, brindi con me. Punto.”
Non ho il tempo di fare nessuna obiezione,
lo vedo alzarsi, dirigersi verso il bar e tornare, dopo cinque minuti, con due Vodka Tonic.
“A noi due.” dice porgendomi il bicchiere.
Lo afferro, lo guardo e dico:
“Non uno di più.”
Il mio tono severo fa intuire che non intendo mettermi in situazioni imbarazzanti, e il suo sguardo d’intesa me lo lascia credere: sono soddisfatta.
“Cin cin.” dice allungando il suo bicchiere verso il mio.
Mi basta un sorso per sentirmi su un altro pianeta. Sono più sciolta, decisamente a mio agio. E al terzo, mi tolgo la giacca e comincio a godermi la serata.
“Tesoro, guarda laggiù, ore tre…” mi dice facendomi un cenno con il capo.
Mi volto verso destra, ma ci sono mille persone, difficile capire a chi si stia riferendo.
“C’è un tipo con una giacca da tirolese, alto, fisico asciutto, sorriso super sexy.”
“Non voglio nessun altro, ho già il mio uomo.” dico svenevole, mentre mi siedo sulle sue ginocchia per abbracciarlo.
“Eva non era per te, era per me.” precisa con un colpo di tosse.
“Ah, scusa.”
Lo identifico tra la folla, ha ragione: è proprio carino e ora, che mi sento un po’ su di giri, potrei addirittura portarlo qui.
Lo seguo con lo sguardo e viene nella nostra direzione. Si ferma a pochi metri da noi, afferro il bicchiere e finisco il Vodka Tonic per prendere coraggio.
Michele vuole quell’uomo e lo avrà.
Mi volto verso di lui in cerca di approvazione, ma non la trovo: la sua faccia assomiglia a quella del pazzo di Psyco.
Chi se ne importa, ormai sono in piedi.
L’uomo del Tirolo è a un passo da me, sta parlando con una ragazza, ma è chiaro che è solo una copertura. Sfodero il mio sorriso favoloso e lo raggiungo.
“Ehi, ciao!” dico con una ventata di allegria.
“Eva. Ciao!”
Chi è? Chi lo ha mandato?
Ma prima che il mio cervello possa rispondere, lui mi abbraccia, mi bacia e io non so cosa dire.
Anche la ragazza con cui stava parlando è andata via, e non può suggerirmi chi sia costui.
È in momenti come questo che vorrei avere dei poteri soprannaturali. Vorrei usare la forza del pensiero per trascinare qui tavolino, sedie e Michele. Possibile che non abbia capito che mi serve una mano?
Se conosce me, forse conosce anche il mio amico, decido di metterlo in mezzo.
“Io e Michele stiamo bevendo qualcosa, ci fai compagnia?”
Questa è la Vodka: dieci minuti fa non avrei mai fatto una proposta simile a un uomo — specie se il tema della festa è ‘una cosa a tre’.
“Sono con un gruppo di amici, perché non venite voi a farci compagnia.”
È gentile, è carino, è sexy. E poi sarebbe scortese rifiutare un invito.
“Okay, dammi un secondo.”
Mi volto verso Michele per raggiungerlo e sento tirare i muscoli facciali. Perché?
“Michi…” dico, appoggiando una mano sul tavolo, “alzati, ci ha appena invitato al suo tavolo.”
“Solo se ti togli quel sorriso che assomiglia a una paresi.”
“Stai dicendo che mi ha invitato per il mio sorriso favoloso, vero?” dico strizzandogli l’occhio.
“Sto dicendo che sei un po’ ubriaca e mezz’ora fa hai detto che non ti piacciono gli sconosciuti.”
Sta cercando di provocarmi, riconosco quel sorrisetto.
“Senti ‘Norman Bates’, lui non è uno sconosciuto. Lui sa chi sono io, sono io a non sapere chi sia lui. È diverso. E non sono ubriaca.” preciso.
“Lui ti conosce?” chiede stupito.
“Sì, e devi aiutarmi a scoprire chi sia.”
“Andiamo.”
Michi si alza dalla sedia e raccoglie la mia giacca, poi, mi prende per mano e siamo di fronte all’uomo del Tirolo.
“Piacere, sono Michele.”
“Ciao, io sono Paolo.”
“Lo so, Eva mi ha parlato tanto di te.”
Che cosa?
“Davvero?” gli chiede sorpreso.
Mi guarda e ha un sorriso che fatico a interpretare, e forse, neanche mi importa. Riesco solo a concentrarmi sul suo modo di sorridere: sui suoi occhi che si chiudono e sulle fossette che gli incidono le guance.
È bellissimo. Anche se non so chi sia.
QUINDICESIMO EPISODIO
Illustrazione: Valeria Terranova