To top
26 Mar

Una Nuova Vita Part 2

enrica alessi scrittrice crem's blog

enrica alessi scrittrice crem's blog

A

nna Molinari, la regina delle rose, la fondatrice di uno dei marchi più importanti della moda italiana, mi guarda e non favella. Cosa ho detto che non va?
Ripeto mentalmente il mio ultimo pensiero, analizzando ogni singola parola: ‘un accessorio è un involucro prezioso scelto da corpo e anima’ — okay, qui ammetto di avere un po’ esagerato — ‘non c’è spazio per la paura del giudizio e nemmeno per l’incoerenza’ — questo invece sarei pure disposta a ripeterlo davanti a una corte marziale. Se le mie idee non le piacciono, non posso farci niente, non sono disposta a sacrificare i miei ideali per un posto di lavoro. O invece sì? E mentre mi accorgo dei poderosi aloni che si sono materializzati sotto le ascelle della mia camicetta portafortuna, lei fa un cenno con la testa e inizia a parlare:
“Hai ragione, non c’è spazio per queste cose.”
Stiamo parlando di me o della paura di giudizio e dell’incoerenza?
“… ma forse ce n’è uno per te se accetti di lavorare per noi.” conclude soddisfatta.
“L’ufficio stampa è al completo, ma alla responsabile del reparto accessori serve un braccio destro per coordinare lo styling delle sfilate.”
“Le darei anche il braccio sinistro, se fosse necessario.” dico emozionata.
“Mi piaci… Eva”, dice controllando il nome sul curriculum.
“Vuole che le mostri qualcosa che ho disegnato? Ho anche creato un prototipo di…”
“Ho già preso la mia decisione. Avrai modo di dimostrarmi chi sei.”
E con quella che potrebbe quasi sembrare una minaccia, esco dall’ufficio con la sua stretta di mano e la promessa di essere contattata nei prossimi giorni per l’assunzione.
Ora faccio parte della squadra di Blumarine.
Chiudo la porta alle mie spalle e raggiungo Michi nella saletta in cui l’ho lasciato.
È seduto su una poltrona di pelle e tiene un catalogo di stagione davanti alla faccia, probabilmente per ripararsi dalla luce del sole che entra dalla grande vetrata che gli sta di fronte, ma a vederlo con quell’aria misteriosa sembra più un agente in missione che cerca di non dare nell’occhio.
Mi avvicino a lui, gli scosto dal viso il catalogo che ha tra le mani e aspetto che mi faccia la fatidica domanda.
“Allora, com’è andata?” mi chiede.
Faccio per rispondere entusiasta, ma non me ne lascia il tempo.
“Le hai fatto il tuo discorso? E il prototipo? Glielo hai mostrato? Che ha detto? Le è piaciuto?”
“Non ha nemmeno voluto vederlo…”
“Stamattina è stato un vero disastro.” interviene la signorina Rottermeyer da dietro la scrivania “Lo immaginavo.” conclude senza abbandonare quell’espressione insoddisfatta.
Michi si alza, getta il catalogo sul tavolo di cristallo, mancando per un soffio il vaso di rose che sta al centro, poi si avvicina alla sua postazione.
“Guardi che la signorina Galassi aveva tutte le carte in regola. Forse è questa azienda a non essere adatta a lei!” ribatte agguerrito.
Lei continua a fissarlo con un’aria indifferente, senza mostrare il minimo coinvolgimento.
“Andiamocene Eva, abbiamo già perso troppo tempo…”
Ora, anche io ho la stessa espressione divertita del mio nuovo capo.
Raggiungo Michi alla scrivania di Miss Delusione e dico: “Anna mi ha chiesto di lasciarle il mio numero di telefono, le servirà per avviare la pratica di assunzione.”
“Assunzione?” mi chiede basita.
“Già, assunzione?” ripete Michi incredulo.
“Assunzione, certo.”, rispondo tentando di trattenere l’entusiasmo.
“Glielo dicevo che la mia amica aveva tutte le carte in regola!” puntualizza guardando la ragazza in modo altezzoso.
“Hai anche detto che l’azienda non era adatta a me…” gli sussurro. “Eviterei di ricordarle tutto il discorsetto.”
“Forse hai ragione.” bisbiglia. “Posso darle io il tuo numero?”
“Ti farebbe sentire meglio, vero?”
E dopo averglielo ripetuto tre volte ed essersi assicurato che Miss Delusione lo scrivesse correttamente, usciamo dalla stessa porta satinata su cui è inciso il nome dell’azienda in cui ora è certo che farò carriera.
Ho affittato una casa a Carpi per essere più vicina all’azienda, non è molto grande, ma è carina e luminosa. Molto diversa dall’appartamento che avevo a Milano. È al terzo piano di una palazzina di nuova costruzione, credo di averla scelta per l’ampia terrazza che dà sulle vie del centro: perfetta come solarium e per organizzare qualche cena con gli amici.
Il trasloco è quasi finito, mancano giusto poche cose che Michele mi aiuterà a recuperare questo weekend. Sistemo i trolley vuoti vicino alla porta e controllo il promemoria che ho preparato per evitare di dimenticare qualcosa.
Il citofono suona, la telecamera si illumina e vedo Michi che si sistema i capelli.
“Scendo subito”, dico sollevando la cornetta.
Riattacco, prendo la borsa che ho appoggiato sul tavolo da pranzo ed esco di casa. Trascino i trolley sul pianerottolo e chiamo l’ascensore. Michi mi aspetta all’entrata e mi aiuta a caricarli in macchina.
“Come stai?” mi chiede premuroso.
Sapevamo tutti e due che non sarei rimasta a Milano per sempre, e seppure sia riuscita a ottenere il posto che sognavo da tempo, e abbia ben presente il portone satinato che si aprirà lunedì, chiudere una porta è sempre difficile.
“Sto bene.”
“Sicura?”
“S’ha da fare amico mio… ma nessuno ci impedisce di salutare Milano in grande stile…”
“Puoi dirlo forte, C**osecco!”
“Il mio c**o non è secco, è solo tendenzialmente piccolo.”
“E allora, C**osecco, porta il tuo culo tendenzialmente piccolo su quel sedile. È ora di andare.”
In via eccezionale, la padrona di casa mi ha lasciato le chiavi del garage. Un posto auto a Milano costa come un mini appartamento, io non sono mai riuscita a permettermelo, ma con il trasloco è diventato quasi indispensabile. Non ho ancora capito se me lo abbia concesso per gentilezza o per farmi sloggiare più in fretta, ma non importa.
Michi parcheggia la sua Golf nel loculo e mi aiuta a scaricare le valigie. Entriamo in casa e mi sembra ancora più triste di come l’ho lasciata la settimana prima.
I mobili sono rimasti, ma è l’assenza del mio spirito che la rende diversa. I fiori freschi sono spariti, come le candele profumate e le stampe colorate alle pareti.
Butto uno sguardo in camera da letto: mi conforta sapere che le mie lenzuola morbide sono ancora lì, insieme ai cinque cuscini e ai due orsacchiotti di Missoni che il signor Ottavio mi ha regalato lo scorso Natale. E mentre cerco di non pensare al momento in cui anche loro saluteranno questa casa per chiudersi in una valigia e seguirmi, apro l’armadio cercando una mise adatta alla serata.
“Dove andiamo stasera?” chiedo a Michele per farmi un’idea.
“Sarà una lunga notte, metti delle scarpe comode…”
“Avevamo detto una serata in grande stile, perché la tua faccia dice weekend no-limits?”
“Senti, C**osecco, lunedì sarai in quell’ufficio che ti terrà in ostaggio per la maggior parte del tempo, come possiamo dire no a un weekend no-limits?”
In effetti non ha tutti i torti. Una sbronza colossale è quello che ci vuole.
“Andata. Tu prenota il ristorante, io penso a cosa mettermi.”
Dopo un’ora, siamo già fuori di casa.
“E quelli? Erano proprio necessari?” mi chiede Indicando i sandali
“Sono il modello di punta della collezione estiva di Caovilla… Si stava parlando di week-end no limits o sbaglio?”
“Si parlava anche di scarpe comode, ma questo deve esserti sfuggito visto il tacco che hanno.”
“Sono una ragazza previdente: ho un paio di ballerine nella borsa… e poi c’è la Vodka: il mio anestetico preferito.”
“Sei fortunata C**osecco, ho anche trovato parcheggio vicino.” dice mettendo la freccia a destra. Scendiamo dall’auto e raggiungiamo il ristorante.
Abbiamo sicuramene una visione differente della parola ‘vicino’: sto camminando da due chilometri e i piedi mi fanno male. Ma mi basta vedere in lontananza l’insegna del ristorante per sentirmi meglio. Michi apre la porta e mi cede il passo per entrare.
All’ingresso, sulla sinistra, c’è una lunga scrivania d’epoca e un uomo sulla quarantina che controlla le prenotazioni. Ci avviciniamo e Michele chiede il nostro tavolo. Mentre osservo il suo dito che scorre lungo la lista dei nomi, immagino il momento in cui finalmente sarò seduta, ma lui scuote il capo e il mio sogno s’infrange.
“Mi dispiace, non c’è nessuna prenotazione a tuo nome.”
“Ma ho appena parlato con Lorenzo al telefono…”
“Scusatemi un attimo”, dice allontanandosi verso la sala principale.
“Non capisco che succede”, sussurro cercando di ignorare il dolore ai piedi.
Michi si volta verso di me, digrigna i denti e sbotta: “Vuoi vedere che quel brutto…”
Ma prima che possa concludere, lo colpisco con un calcio per avvertirlo che lo abbiamo di fronte.
L’unico modo di evitare un autogol è dribblare l’avversario con un sorriso: “Ciao Lorenzo, come stai?” chiedo abbracciandolo.
“Ciao ragazzi! Stasera sono al completo, ma vi ho lasciato un tavolo nella Sala Calcio. Okay?”
“Okay!” risponde Michi entusiasta.
Okay?
Questo è un autogol: io detesto la Sala Calcio.
Lorenzo fa per accompagnarci, ma io afferro Michi per un braccio: “Sai che non sopporto quella sala!” sibilo sottovoce.
Michele mi guarda imbarazzato: “Lo so, ma è l’unico posto che ha. Ci ha fatto un favore, glielo dici tu che ce ne andiamo?”
“No, glielo dici tu!”
“Io non glielo dico.” ribatte combattivo sforzandosi di sorridere per camuffare il nostro disaccordo.
“E io nemmeno! Vigliacco!” concludo con un colpo di tosse.
“Tutto bene ragazzi?” ci chiede Lorenzo dubbioso.
I piedi mi fanno troppo male per continuare a combattere, voglio sedermi.
“Certo!” rispondo avvicinandomi a lui.
Poi, mi volto indietro, punto l’indice sulla giacca di Michi e dico: “Ricordati che mi devi un favore.”
Gli prendo la mano e senza esitare entro nella Sala Calcio.
Mi trovo di fronte a una lunga tavolata di ragazzi che ridono in modo fragoroso. Ecco ‘i calciatori di serie A’, penso mentre raggiungo il nostro posto.
Lorenzo ci fa accomodare, ci porge i menu e io mi affretto ad aprirne uno, tentando di capire perché sto morendo dalla voglia di voltarmi verso di loro. Da dove viene questa strana tentazione?
Meglio concentrarsi sul menu: antipasti, primi, secondi, dolci… Potrei giurare di aver incrociato due occhi dolci mentre passavo: neri come un tortino di cioccolato.
Voglio voltarmi.
Non posso voltarmi.
Mi volto lo stesso.
Mi giro con uno scatto repentino, rischiando pure un torcicollo e, ancora una volta, i suoi occhi incrociano i miei.
“Tu cosa prendi?” mi chiede Michi riportandomi alla sua attenzione. “Io prendo un’insalata di pollo con riso basmati”, dice mentre chiude il menu per appoggiarlo sul tavolo.
“Io prendo il tipo che mi sta dietro che manco so come si chiama. E come contorno un’insalata di carciofi con scaglie di grana.”
Michi mi guarda interdetto.
“Ma non eri tu quella che li disprezzava, descrivendoli come viscidi esemplari maschili senza cervello?”
“Davvero ho detto questo?” chiedo tentando d’ignorare l’immagine dei grandi occhi di cioccolato che mi perseguita.
“Hai detto anche che non sprecheresti un solo minuto del tuo tempo con un calciatore vanitoso.”
Michi solleva lo sguardo fissando la tavolata.
“Chi è? Spara.”
“L’ho visto di sfuggita, come faccio a descriverlo?”
“Eva…”
“Credo — credo, eh? — che sia castano, con gli occhi scuri e che indossi una felpa rossa con una grande foglia verde.”
“Dsquared?”
“Potrebbe essere… Fa caldo qui dentro.”
Cerco di allentare il colletto dell’abito, tiro indietro i capelli e comincio a farmi aria usando il menu come un ventaglio.
“Lo vedi?” chiedo sperando di vedere quell’immagine idilliaca riflessa nei suoi occhi.
“Beccato. Ce l’ho dritto a ore dodici.”
“Com’è?” gli chiedo esitante, mentre mi assale un’altra vampata di calore.
“Fa schifo.”
“Dai scemo. Sii serio.”
“Belloccio. Ma hai anche detto che solo una velina si interesserebbe a un calciatore, e tu non lo sei, sbaglio?” mi chiede ironico.
“No, non sbagli”, rispondo con indifferenza sperando che non si accorga della mia punta di delusione.
“E comunque, il fatto che sia seduto a quel tavolo non fa di lui un calciatore. Il mio istinto mi dice che potrebbe essere un medico sportivo, un preparatore atletico, un arbitro, un guardalinee…”
“Vediamo se il tuo istinto ha ragione…”
“Perché?”
“Perché Felpa Rossa sta venendo qui.”

 QUINTO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova