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12 Nov

Una serata da dimenticare

not for fashion victim enrica alessi

not for fashion victim enrica alessi

 

 

E

in un attimo, la disperazione per la presunta fine della mia storia d’amore si dissolve, scompare. Perché Cassandra è in ospedale? Perché Cristina ha riattaccato senza lasciarmi il tempo di chiederglielo? La richiamo, non risponde.
Le mani mi tremano. Frugo nella borsa per cercare le chiavi della macchina, ma la frenesia con cui tento di recuperarle non aiuta. I nervi cedono, scoppio a piangere.
Porto le dita alla bocca tentando di smorzare i singhiozzi, riprendo fiato e freno le lacrime che ora non ho il tempo di versare. Cassandra ha bisogno di me.
Al secondo tentativo, le chiavi collaborano. Mi precipito verso la macchina in punta di piedi, le luci di casa sono spente, Giulio starà dormendo e non voglio svegliarlo. Vista da fuori sembro un ladro di auto, o forse no: nessuno ruberebbe mai una Punto color amaranto.
Salgo, metto in moto, corro da lei.
Durante il tragitto, più tento di allontanare quel cattivo presentimento, più mi si palesa nella mente la più tremenda delle ipotesi. E in quel silenzio, carico di tensione, realizzo che siamo solo particelle piccolissime di un universo che spesso e volentieri ci travolge, senza darci la possibilità di cambiare ciò che il fato ha già deciso, e che inesorabilmente ci attende.
La vita è assurda: in un attimo cambia tutto. Ed è forse più assurdo credere di poterla controllare, considerando che il pianeta in cui vivo non è altro che una palla verde e blu sospesa nel vuoto, che può precipitare da un momento all’altro. Tutto ciò che fino a poco fa mi faceva stare bene, ora mi uccide. Così, senza preavviso.
Dopo quattro minuti di puro sconforto —trascorsi fregandomene bellamente dei limiti di velocità — la pietà celeste mi accompagna fino al parcheggio che Dio ha voluto assegnarmi proprio davanti all’ospedale. Ma ciò che dovrei tradurre come un dono divino, mi sa di più di uno ‘sbrigati!”
Scendo dall’auto, prendo il cellulare dalla borsa per richiamare Britney, ma mi accorgo di un suo messaggio in cui c’è scritto il reparto: Ginecologia.
Mi precipito verso i tabelloni componibili che mostrano come raggiungerlo. Il cuore sta per uscirmi dal petto, lo afferro, gli impongo di calmarsi, e dopo un bel respiro, mi concentro sulle indicazioni.
Ascensore e piano mi balzano agli occhi, ma immaginarmi sospesa in un scatola di latta zigrinata, agganciata a due cavi d’acciaio, aumenterebbe lo stato d’ansia che già mi opprime: prendo le scale.
Stremata, dopo otto rampe, arrivo davanti alla guardiola delle infermiere, la porta è aperta. Mi trovo di fronte a una signora con il camice bianco a cui chiedo notizie di Cassandra, lei si alza dalla scrivania a cui sta seduta e mi indica una panchina posta in fondo al corridoio della corsia.
Mi volto e laggiù ad aspettarmi ci sono Thor e Cristina con la testa china sul pavimento.
A destarli da ciò che descriverei come profonda desolazione sono i miei passi rapidi e disperati. Britney si precipita verso di me, ha gli occhi lucidi.
“Cristina che succede?”
Thor si alza, viene verso di me.
“Dov’è Tommaso? Perché non è qui?”
Britney prende tempo, è evidente che stia sforzandosi di trovare le parole giuste, ma, di fatto, non ne pronuncia nessuna e ciò mi fa capire tutto ciò che c’è da sapere: le cicogne non serviranno più.

Sono le sei di sabato mattina quando la Punto amaranto si ferma davanti a casa. Spengo il motore e rimango lì, sul sedile di guida, in stato catatonico.
Ho sempre creduto che la fine di una relazione fosse la cosa più terribile che può capitare a una donna, ma ora devo ricredermi. Sapere che Cassandra ha perso la sua bambina mi fa stare molto peggio.
Sollevo lo sguardo, l’alba mi dà il buongiorno. Mi volto a guardare il cortile, la magnolia, il piccolo portico, le ciotole di Max e non posso fare altro che trovare consolazione in ciò che vedo. Ho sempre saputo che non dovevo lasciare casa mia, e forse sono sempre stata consapevole che tra noi non sarebbe durata. È un po’ come se il mio sesto senso volesse darmi una pacca sulla spalla. Ma sappiamo tutti e due che non è abbastanza.
Gli occhi mi bruciano, li sento così gonfi da sentire l’esigenza di controllarne lo stato nello specchietto retrovisore: sono tumefatti.
Se non altro Giulio si risparmierà di chiedermi com’è andata la serata.
E con quella magra consolazione, afferro la borsa e scendo dall’auto.
Raggiungo la porta, tutto tace. Infilo le chiavi ed entro. Max e Lolita vengono verso di me scodinzolando, Giulio che è ancora sul divano, si sveglia di colpo guardandosi attorno con l’aria di chi non ricorda dove si trova e perché.
“Devo essermi appisolato, che ore sono?” chiede confuso.
“Sono le sei.”
“Sei rientrata ora? Non avevo capito che dormissi da Luca…”
“Scusami.”
“E di che? Io e i cuccioli siamo stati benissimo.” dice sorridendo.
Anche io mi sforzo di fare lo stesso, ma il risultato è pessimo.
“Melissa, tutto okay? Hai pianto?”
Questa è la sola domanda che, di solito, ti fa piangere di nuovo.
“E il cappotto? Dove hai lasciato il cappotto?”
“Il capotto di Cassandra è rimasto in macchina di Luca.”
“Oh! Meno male.” mormora sollevato.
“Io e Luca ci siamo lasciati.”
Giulio mi guarda esterrefatto. Come biasimarlo? Una frase del genere sconvolgerebbe chiunque. È la prima volta che la dico ad alta voce.
Ma prima che Giulio possa travolgermi con un tir di domande, il desiderio di liberarmi, di raccontare tutto a qualcuno prende in mano la situazione. E tutto d’un fiato, si offre di fare un breve riassunto della serata.
“Mi ha taciuto una relazione precedente durata tre anni: è stata sua madre a dirmelo.”
Il sorrisetto amaro con cui pronuncio quelle parole deve averlo disorientato.
“E questa gli ha pure telefonato la sera del suo compleanno… mentre era con me.”
Urlerei se potessi, ma i cuccioli dormono.
Avrei voglia di continuare in giardino.
“Ti ha dato delle spiegazioni però…”
“Per citarlo: ha detto che gli dispiace che questa non sia la favola che mi aspettavo, ma ci sono cose che lo riguardano che non è disposto a condividere con nessuno, nemmeno con me.”
Nei suoi occhi, che piano piano scivolano verso il pavimento, per schivare i miei, trovo la conferma che il mio dramma ha motivo di esistere.
“Pensa che quando sono scesa dall’auto, speravo che mi rincorresse per stringermi, per farmi sentire al sicuro, è questo che avrebbe dovuto fare l’uomo che diceva di amarmi!”
È ufficiale, sto per piangere: i cuccioli si sveglieranno.
“E invece se n’è andato!”
La scena è descritta in modo così patetico che mi faccio pena da sola.
“Mi dispiace tanto…” dice abbracciandomi.
E lì, su quella spalla, prima di confessare il vero dramma, mi concedo un’altra dose di lacrime.
“Cassandra ha perso la bambina. Torno ora dall’ospedale.”
Giulio tenta di ritrarsi per guardarmi in faccia e capire se ha sentito bene, ma i miei singhiozzi glielo impediscono. Mi accarezza sussurrandomi di calmarmi.
A interrompere quel momento teneramente tragico è il mio telefono che squilla. Mi allontano da Giulio, afferro la borsa per prenderlo e vedo il nome di Luca sul display.
“È lui.” mormoro.
“Rispondi!”
Ho il telefono in mano e non so cosa fare.
“Devi rispondere.” insiste
“Sono arrabbiata, sono delusa.”
“Ma forse vuole darti delle spiegazioni…”
E forse io non sono pronta per starle a sentire.
“Melissa…” dice Giulio con rimprovero.
Il telefono smette di squillare.
“Ho capito che sei arrabbiata, ma devi concedergli la possibilità di spiegarsi: richiamalo, forza!”
Stava quasi per convincermi, ero quasi sul punto di richiamarlo, ma un suo messaggio, ricevuto dopo qualche secondo, mi ha chiarito che sarebbe stato uno sbaglio.
“Ho lasciato il tuo cappotto in clinica.”

SESSANTACINQUESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova